Impatto sui bambini nati o cresciuti in un gruppo a deriva settaria
- Lorita Tinelli Psicologa
- 3 giorni fa
- Tempo di lettura: 16 min
di Ashley Allen
Traduzione di Lorita Tinelli

Abstract
Questo articolo esamina l'impatto psicologico, emotivo e dello sviluppo sui bambini che nascono o sono cresciuti all'interno di gruppi cultuali o ad alta domanda. Attingendo alla letteratura clinica, ai resoconti dei sopravvissuti e alla teoria dello sviluppo, sostiene che i culti funzionano come sistemi sociali totalizzanti che distorcono profondamente le normali strutture familiari, la formazione dell'identità e la crescita emotiva. A differenza dei convertiti adulti, i bambini non hanno un punto di riferimento pre-culto, questo li rende più vulnerabili al controllo, all'abuso e al danno allo sviluppo. L'articolo esplora anche le complesse sfide che i membri di seconda generazione devono affrontare quando lasciano e si riprendono da questi ambienti.
Punti chiave
Interruzione della struttura familiare e dell'attaccamento
I culti minano il legame genitore-figlio erodendo l'autorità genitoriale ed elevando i leader come figure di attaccamento primarie, lasciando i figli emotivamente disorientati e dipendenti dal gruppo.
Il culto come sistema sociale totalizzante
Per i bambini senza un'identità pre-culto, i culti sostituiscono la società più ampia, modellando l'identità, la moralità e le percezioni di sicurezza durante i periodi critici di sviluppo.
Soppressione della cognizione, dell’emozione e della creatività
Il pensiero indipendente, l'espressione emotiva e il gioco sono scoraggiati o puniti, compromettendo il pensiero critico, la regolazione emotiva e lo sviluppo di identità sana.
Imprevedibilità e ipervigilanza come meccanismi di controllo
Una leadership imprevedibile favorisce l’ipervigilanza, l’ansia e la dipendenza dall’autorità esterna piuttosto che dall’auto-fiducia o dalla guida interna.
Lasciare, recuperare e conseguenze a lungo termine
Lasciare comporta la perdita di un’intera visione del mondo, non solo delle relazioni, con il recupero segnato da traumi, dolore, barriere pratiche e la sfida di costruire l’identità in un mondo sconosciuto.
Questo articolo, originariamente pubblicato su ICSA Today, Vol. 7, n. 1, 2016, 17-22, attinge a due articoli che l’autrice ha scritto per il Comitato educativo di New York City dell’ICSA, come parte della serie di presentazioni di modelli del comitato su questioni di culto. Il lavoro del comitato è stato presentato alla conferenza annuale 2015 dell’ICSA a Stoccolma. Esempi illustrativi utilizzati in questo articolo provengono sia dall'esperienza dell'auttrice sia da esperienze raccontate all'autrice da altri (i dettagli sono stati modificati per proteggere le loro identità).
Struttura familiare
Il sistema familiare tradizionale è composto da padre, madre e figli. Anche i nonni, le zie, gli zii e gli amici intimi dei genitori possono essere coinvolti in vari gradi; e c'è una qualche forma di struttura o gerarchia, con i genitori che decidono e implementano il come vengono cresciuti i bambini. Al contrario, i culti e i gruppi cultuali tendono a limitare il ruolo dei genitori e ad aumentare quello dei leader nell'educazione dei figli, spesso controllando i membri e abbattendo questo legame tra i membri della famiglia biologica.
Alcuni culti sostituiscono funzionalmente la famiglia tradizionale, mettendo un leader nel ruolo di genitore e relegando questi ultimi al ruolo di coetanei impotenti del bambino.
La genitorialità nei culti è dettata dalla leadership per raggiungere gli obiettivi del gruppo senza considerazione di ciò che potrebbe beneficiare o danneggiare il bambino. Ad esempio, Perry e Szalavitz (2007) descrivono l’effetto di David Koresh e dei Davidiani del ramo sul senso di famiglia sul sé di un bambino:
Il suo disegno rifletteva ciò che aveva imparato nel gruppo: l'elaborazione di cose che Koresh apprezzava, il predominio del suo leader supremo, un senso confuso, impoverito della famiglia e un quadro immaturo e dipendente di se stesso (para. 31).
In definitiva, il leader usurpa il potere dai genitori biologici e diventa la figura centrale e onnipotente nella vita dei genitori e del bambino (Goldberg, 2006b; Whitsett & Kent, 2003).
In alcuni culti, genitori e bambini vengono fisicamente allontanati l'uno dall'altro (Whitsett & Kent, 2003). Alcuni culti richiedono ai bambini di entrare in convitti gestiti dai membri della setta. Altri culti costringono i genitori a regalare i figli ad altri adulti all'interno del gruppo. I modi più sottili per abbattere il legame familiare includono la vergogna dei genitori di fronte ai loro figli e il controllo dei genitori su come vengono cresciuti i loro figli (Goldberg, 2006b; Whitsett & Kent, 2003; Markowitz & Halperin, 1984).
Il ruolo del genitore biologico diventa notevolmente limitato quando i bambini testimoniano il degrado dei loro genitori da parte del leader. I membri e i loro figli vedono il leader come onnisciente, e quindi il leader come l'altro idealizzato diventa un sostituto per il genitore (Whitsett & Kent, 2003).
Il culto come sistema di socializzazione
Possiamo considerare l'ambiente di culto come un sistema di socializzazione, che è molto più influente sui bambini rispetto agli adulti. In una situazione familiare tradizionale, i genitori, i figli, i fratelli, la famiglia allargata e gli amici esistono all'interno e accettano la società più ampia, che consiste di individui nelle scuole, nel sistema giuridico e politico, nella sfera economica e così via.
I culti spesso tendono a isolarsi psicologicamente o fisicamente o entrambi, e si sforzano di esercitare un controllo così totale sulla vita dei membri che il culto diventa esso stesso la società per i suoi membri. Questa tendenza verso il totalismo è particolarmente significativa per i bambini cresciuti nel culto. A differenza degli adulti che sono coinvolti in un gruppo coercitivo, un bambino non ha identità o esperienza precultista. Il mondo cultuale pervade l’esperienza e la percezione di un bambino durante i momenti critici nella crescita e nello sviluppo del cervello, quando si stanno formando percorsi neurali, l’identità sviluppata e una visione del mondo stabilita come ambiente sicuro o ostile.
L'ambiente cultuale ad alto controllo crea le condizioni per l'abuso e talvolta anche per i traumi. Herman (1997) spiega: “Il trauma ripetuto nella vita adulta erode la struttura della personalità già formata, ma il trauma ripetuto nelle forme infantili e deforma la personalità” (p. 96).
I gruppi ad alta richiesta variano a seconda dei livelli di isolamento dalla società tradizionale. Alcuni gruppi limitano ogni interazione con la società esterna: vivono in comunità isolate; praticano l'homeschool i loro figli; rifiutano cure mediche esterne; ed eliminano l'accesso a notizie, televisione, libri, musica e così via. Altri gruppi consentono ai membri di vivere, lavorare e andare a scuola nella società tradizionale; tuttavia, questi gruppi tendono anche a mostrare livelli così elevati di controllo che i bambini sono sotto pressione nella percezione su quale persona approcare, in modo che anche quando entrano in contatto con estranei, il loro comportamento è spesso sceneggiato e disonesto.
Ai bambini viene insegnato che il mondo dentro il culto è “buono” mentre il mondo esterno è “male” e da temere.
Perry e Szalavitz (2007) usano l’esempio dei Davidiani, mettendo in relazione che “...forse la paura più pervasiva che Koresh ha instillato era la paura dei ‘Babiloniani’: outsider, agenti governativi, non credenti” (para. 5). Mentre i membri del culto adulti sono anche indottrinati per temere e diffidare del mondo esterno, nei bambini questo è esponenzialmente ingrandito.
Lalich e Tobias (2004) spiegano che i bambini cresciuti al di fuori dei culti entrano in contatto con molti individui, personalità e strutture di credenze diverse. Al contrario, i bambini cresciuti in culti non hanno questa influenza multidimensionale sul loro sviluppo. Sono cresciuti in un ambiente in cui esiste un solo modo di essere e di credere (2004).
I culti sono caratterizzati da pensieri in bianco e nero, noi-contro-loro.
Come con gli adulti, il pensiero autonomo e il sentimento da parte dei bambini in ambienti cultuali sono gravemente soppressi, il che ostacola il normale sviluppo cognitivo ed emotivo. Furnari (2005) osserva che “i bambini, che si sforzano naturalmente di svolgere i normali compiti di sviluppo come l’identità, la sicurezza e l’indipendenza, sono etichettati come “posseduti”, pazzi o cattivi” (para. 10). Punizioni dure per domande o un comportamento ribelle diminuiscono il pensiero indipendente e interferiscono con uno sviluppo cognitivo sano (Whitsett & Kent, 2003).
Goldberg (2006b) suggerisce che i bambini fanno fronte a queste punizioni estreme e all'ansia che si evoca diventando passivi.
Oltre alla soppressione cognitiva, i culti sopprimono le emozioni. I culti in genere non tollerano l'espressione di rabbia o dolore; quindi, i bambini hanno poca esperienza con l'autoregolamentazione delle emozioni e dell'influenza (Goldberg, 2006b). I culti dettano anche quali emozioni sono accettabili e possono essere espresse dai membri (Wehle, 2010). La soppressione delle emozioni è importante e potenzialmente dannosa quanto la soppressione cognitiva perché le due sono intimamente connesse. May (1994) spiega, “i dati nelle risposte di Rorschach ... che indicano che le persone possono osservare con maggiore precisione quando sono coinvolte emotivamente – cioè, la ragione funziona meglio quando le emozioni sono presenti ...” (come citato in Wehle, 2010, p. 47). Pertanto, se le emozioni vengono soppresse nell'ambiente di culto, allora anche la capacità di pensare in modo critico sarà gravemente ostacolata (Wehle, 2010).
Un’altra dimensione di emozione e cognizione è la creatività. Wehle (2010) ha condotto un sondaggio tra ex membri del culto e professionisti della salute mentale che stavano lavorando con ex membri e ha scoperto che la maggior parte degli intervistati sentiva che la loro creatività era stata soppressa nell'ambiente di culto. Poiché l’espressione delle emozioni è coercitivamente negata all’interno dell’ambiente di culto, la creatività viene interrotta. Ad esempio, una bambina in un gruppo di culto sperimenta la perdita di sua madre. Nel tentativo di piangere e far fronte alla perdita, usa il disegno come mezzo creativo attraverso il quale esplorare le sue emozioni. Un leader trova i disegni, li distrugge di fronte a lei, e la punisce per (a) aver provato tristezza per qualcosa che era ovviamente il piano di Dio e (b) indulgere in attività egoistiche che non favoriscono i bisogni del gruppo. La sua creatività e la sua capacità di elaborare emozioni difficili e rendere il senso dell'esperienza sono stati negati.
Un modo potente in cui i bambini usano la creatività e i simboli è attraverso il gioco. Molti gruppi di culto scoraggiano il gioco nei bambini, etichettandolo come “sciocchezza” o “distrazione”. Ad esempio, un ex membro di seconda generazione ha riferito che tra i 3 e i 4 anni è stata distratta ogni giorno attraverso il “gioco al bambino” con coperte arrotolate.
La soppressione creativa ha un impatto sullo sviluppo dei bambini in modi significativi.
Coloro che studiano lo sviluppo del bambino concordano sul fatto che la creatività, in particolare il gioco, è essenziale per una crescita cognitiva ed emotiva sana nei bambini. Il gioco aumenta la capacità di attenzione, le capacità di risoluzione dei problemi, la flessibilità cognitiva, il riconoscimento delle emozioni negli altri e il legame tra genitore e figlio. Il gioco può essere definito come “qualsiasi attività liberamente scelta, intrinsecamente motivata e diretta personalmente. Si trova al di fuori della vita ‘ordinaria’, ed è non grave...” (Goldstein, 2012, p. 5). Queste sono tutte cose che non sono permesse all’interno di ambienti cultuali. Guardandolo attraverso la lente delle neuroscienze, il gioco aumenta le connessioni neurali e la crescita del cervello. Pertanto, i bambini che non hanno l'opportunità di giocare mostrano uno sviluppo cerebrale compromesso. Gli studi indicano che la mancanza di gioco influisce sulla capacità dei bambini di sviluppare l'autocontrollo, regolare internamente le emozioni e il comportamento e provare gioia (Goldstein, 2005).
Un altro aspetto del sistema di socializzazione cultuale è l’imprevedibilità. Una caratteristica prominente dei leader di culto è quella di comportarsi in modo imprevedibile, mantenendo il controllo sui membri facendoli indovinare, sollevandoli un momento e schiacciandoli l'altro. Ad esempio, un ex membro di seconda generazione racconta questa esperienza: un pomeriggio il leader è arrivato attraverso la cucina mentre l'ex membro stava tritando i pomodori per il pranzo. In grande dettaglio e con entusiasmo, ha elogiato la sua tecnica usata per tagliare cubetti perfetti di pomodori. Il giorno dopo, il leader è passato attraverso la cucina e, anche se lo stesso adepto stava tagliando i pomodori esattamente allo stesso modo del giorno precedente, il leader l'ha denigrato a gran voce e gli ha detto di lasciare immediatamente la cucina.
Questa imprevedibilità crea ipervigilanza nei bambini, che lavorano per percepire ciò che ci si aspetta da loro in modo che possano ottenere l'approvazione e deviare la punizione. L’ipervigilanza crea un costante senso di insicurezza e paura.
Struttura dei culti come favorevole all'abuso o all'abbandono
La struttura dei gruppi cultuali è favorevole a dinamiche abusive. E a causa dell'isolamento fisico e psicologico di questi gruppi, le normali strade attraverso le quali può essere identificato l'abuso non sono disponibili (ad esempio, medici, insegnanti, amici e simili). Ad aggravare questo problema, poiché ai bambini è stato insegnato che il mondo al di fuori del gruppo è cattivo, potrebbero non rivelare abusi a estranei. Questa è una considerazione importante per i professionisti, come gli assistenti sociali, gli avvocati di famiglia e gli insegnanti, che possono entrare in contatto con questi bambini. In un caso ampiamente segnalato a Island Pond, nel Vermont, i figli di un gruppo sono stati allontanati, solo per essere restituiti allo stesso gruppo dal giudice perché non c'erano prove sufficienti per un mandato di allontanamento legale. In una dichiarazione, il procuratore di Stato ha spiegato:
Il problema che lo Stato ha affrontato fin dall’inizio è che la comunità religiosa sembra essere volutamente organizzata per proteggere l’identità dei genitori e dei bambini in questione, e per consentire loro di contrastare le fasi ordinarie del giusto processo che molti critici sembrano convinti avrebbero dovuto funzionare con successo. (Burchard, 1984, p. 7; come citato nel Kent, 2010, p. 40)
Lasciare gruppi cultuali e ad alta domanda
I membri di seconda generazione lasciano gruppi ad alta domanda in uno dei tre modi:
se ne vanno da soli senza la loro famiglia,
partono con la loro famiglia (volontariamente o involontariamente a causa dell'età),
oppure sono costretti dal gruppo ad andarsene
Il modo in cui se ne andranno avrà un impatto sulla loro ripresa.
Se i membri di seconda generazione se ne vanno da soli senza la loro famiglia, potrebbero non conoscere nessuno al di fuori del gruppo. Spesso i bambini cresciuti in culti sono isolati dai propri familiari che non sono nel gruppo.
Anche i membri di seconda generazione che partono con la famiglia spesso lasciano le uniche persone al di fuori della famiglia che abbiano mai conosciuto.
I membri che scelgono di andarsene hanno di solito attraversato un processo interno per disillusione con il loro gruppo e persino la propria famiglia. Hanno trovato una forza interiore che permette loro di allontanarsi. Per quanto isolati possano sentirsi al di fuori del loro gruppo, il dolore che hanno sopportato e la disillusione di solito impediscono loro di tornare indietro.
Ma coloro che sono costretti a lasciare possono sopportare il peso di sentire che hanno fallito il loro gruppo, il loro leader e la loro famiglia. Non hanno attraversato il processo di riconoscimento del fallimento del gruppo.
Tuttavia lasciando il gruppo, gli ex membri di seconda generazione non solo stanno perdendo un intero sistema di supporto relazionale, ma stanno anche perdendo in molti modi un intero mondo. Stanno perdendo l'unica struttura di credenze / visione del mondo che abbiano mai conosciuto.
Gli ex membri di seconda generazione possono affrontare preoccupazioni pratiche distinte.
I bambini cresciuti in culti potrebbero non avere una carta di sicurezza sociale, una patente di guida o un diploma di scuola superiore.
Potrebbero non avere nessuno al di fuori del gruppo da usare come riferimento per un lavoro o una scuola. Senza istruzione formale e solo sporadico homeschooling all'interno del gruppo, la loro unica opzione educativa sarà quella di perseguire un GED. Un ex membro racconta i suoi tentativi di unirsi ai militari che non hanno avuto successo a causa dell'assenza di una traccia di titoli di studio. Mentre si preparava per il GED, cercava un impiego ma mancava di riferimenti e non aveva familiarità con il processo di assunzione, incluso come completare le domande, seguire in modo appropriato o vestirsi per i colloqui. Gli sforzi per affittare un appartamento non avevano successo, poiché non egli non aveva riferimenti, né cosigner e storia di credito. In ogni direzione che ha girato, riferisce di essere profondamente consapevole di non essere pronto a funzionare nella società al di fuori del gruppo.
Starting Out in Mainstream America (2010), di Livia Bardin, MSW, è un'eccellente risorsa che discute di tutto, dalle preoccupazioni pratiche su come ottenere una licenza di guida a preoccupazioni più ampie come le capacità genitoriali.
Preoccupazioni di recupero
Furnari (2005) ha scoperto che gli ex membri di seconda generazione che avevano lasciato il loro gruppo identificavano molteplici perdite personali, tra cui il loro senso di sé, l'infanzia e la loro famiglia. Hanno anche identificato la perdita di spiritualità e una perdita di significato nella vita. Inoltre, hanno riportato difficoltà con le relazioni interpersonali (2005).
Una questione particolarmente pervasiva sollevata in letteratura riguarda la dipendenza (Goldberg, 2006b; Landa, 1990–1991; Langone & Eisenberg, 1993; Perry & Szalavitz, 2007). I membri di seconda generazione sono stati cresciuti in un ambiente strettamente controllato, dove il pensiero individuale e indipendente è stato soppresso e dove sono dipesi da un leader forte per dirigere le loro vite. La loro capacità di sviluppare un senso di indipendenza e di convalida interna è stata gravemente ostacolata (Herman, 1997). Quando lasciano questi ambienti, possono trovarsi in relazioni che imitano questo alto grado di controllo (Goldberg, 2006a). Nel caso dei bambini di Branch Davidian, Perry e Szalavitz (2007) hanno osservato,
Ma nessuno dei bambini sapeva cosa fare di fronte alle scelte più semplici: quando offrivano un semplice panino al burro di arachidi al contrario di uno con la gelatina, si confondevano, anche arrabbiandosi. Non essendo mai state autorizzate le scelte di base che la maggior parte dei bambini può fare mentre iniziano a scoprire cosa vogliono e chi sono, non avevano alcun senso di sé. L'idea di autodeterminazione era, come tutte le cose nuove per loro, poco familiari e, quindi, l'ansia provocante (para. 44).
Avvicinandosi ai membri di seconda generazione in un quadro psicoanalitico, Goldberg (2006b) vede come una delle questioni primarie la loro interiorizzazione delle dure vedute del culto e del leader di culto, che modellano la loro capacità morale.
Come risultato di questo adattamento, il bambino può adottare un atteggiamento sottomesso e masochista come risposta all’autorità del leader e, quindi, sviluppare un’esperienza interna di essere insignificante o cattivo. (Goldberg, 2006b, para. 17)
Goldberg (2006a) suggerisce che i membri del culto di seconda generazione sviluppano una coscienza dura e mancano di una coscienza amorevole che riconosce e accetta l'imperfezione intrinseca dell'essere un essere umano. “Ho imparato che gli ex cultisti di seconda generazione hanno spesso un ideale di perfezione che è impossibile da raggiungere” (Goldberg, 2006a, para. 19).
Lalich e Tobias (2004) aggiungono che i bambini cresciuti in culti non vedono la compassione e la negoziazione modellata perché l'obbedienza perfetta è richiesta e le dure conseguenze sono sperimentate da membri adulti di culti quando non si raggiunge la perfetta obbedienza e comportamento.
Un ex membro dà un assaggio interiore di questa “coscienza dura”: dall’esterno era una giovane donna guidata e di successo. Eccelleva a scuola e al lavoro. Ha avuto un buon matrimonio e buoni amici. Tuttavia, ha riferito di sentirsi afflitta da sentimenti di inadeguatezza e fallimento. Ogni correzione su un foglio, ogni telefonata persa, ogni errore è stato un fallimento monumentale. Si aspettava ad ogni curva una conseguenza catastrofica per ogni passo falso. Non è stata in grado di interiorizzare alcun successo, credendo invece che fosse solo una questione di tempo prima che commettesse un errore e si è rivelata il fallimento che sapeva di essere.
Altre preoccupazioni di recupero ruotano intorno al trauma / PTSD, dolore e perdita e isolamento. Molti membri di seconda generazione non si sentono in grado di condividere le loro esperienze cultuali con nuovi amici al di fuori del gruppo. Potrebbero anche sentire il bisogno di creare una seconda identità o una storia per adattarsi alla società tradizionale. “Come un Krishna Culture Kid lo ha descritto, [è ‘come agire un ruolo in un gioco, ma per tutto il tempo sapendo che questo non è il vero voi’” (McCaig 2002, p. 23; come citato in Horback & Rothery-Jackson, 2007, “Commonalità di Marginals”, para. 1). Questa esperienza aggrava i sentimenti di isolamento.
Lo shock culturale o l'adeguamento della cultura è un problema vitale per gli adulti di seconda generazione. La cultura è un’esperienza interna. Crea un'impalcatura o una mappa con cui dare un senso alle nostre esperienze. Maggiore è la differenza tra due culture, maggiore sarà lo shock culturale:
Quindi, una risposta a questa “unicità terminale” potrebbe essere stata la capacità dei partecipanti di agire come un “camaleonte”, “osservatore” e condurre “una doppia vita”. Si può presumere che creare una facciata sia un mezzo di adattamento da parte della persona per sentirsi accettati da un gruppo cultista. Tuttavia, è importante riconoscere che il dover passare culturalmente attraverso gli ambienti può essere estenuante per l'individuo. (Horback & Rothery-Jackson, 2007, “Layers of Marginality”, para. 2)
È importante capire che adattarsi a una nuova cultura è un processo, non un evento. Alcuni possono mantenere questa doppia identità per molti anni prima che l'integrazione inizi a verificarsi.
Lo shock/angoscia culturale è esacerbato negli ex membri del culto perché i culti attribuiscono esplicitamente significato alla cultura al di fuori del gruppo, e quel significato è pieno di immagini di tutte le cose cattive, con la morte dell'anima, della spiritualità o di entrambi. Pertanto, gli ex membri devono non solo imparare una nuova cultura, ma anche una nuova morale. Devono rifiutare (o almeno rivalutare in modo significativo) un'intera visione del mondo e costruirne una nuova che possa incorporare la cultura al di fuori del gruppo. Questo è un compito scoraggiante.
In ricordo dell'autore
Ashley Allen, MSW, LSW è passata a miglior vita nel novembre 2025.
Ha dedicato la sua vita a promuovere il recupero dei traumi e la riforma sistemica, intrecciando una carriera che ha offerto una risposta alle emergenze, al lavoro sociale, alla terapia e alla difesa internazionale. Il suo percorso professionale rifletteva sia straordinaria ampiezza che profonda compassione, segnata da un impegno a sostenere i sopravvissuti alla coercizione, alla violenza e al trauma in più contesti.
Il suo primo servizio come paramedico e assistente sociale in ambienti di hospice e di emergenza l'ha immmessa nella realtà della cura, delle crisi e della resilienza umana. Queste esperienze hanno plasmato la sua prospettiva informata sul trauma e hanno alimentato la sua passione per il lavoro di recupero. Passando al ruolo di terapeuta, Ashley ha fornito supporto diretto ai sopravvissuti alla violenza domestica, ai veterani che navigano in transizioni complesse e agli individui colpiti dall'incarcerazione. La sua pratica terapeutica si distingueva per l'empatia, la chiarezza e l'innovazione incentrata sui sopravvissuti.
I contributi di Ashley si estendevano ben oltre la sfera clinica. Come membro dello staff presso l'International Cultic Studies Association (ICSA), ha creato programmi specificamente progettati per coloro che sono stati danneggiati dai culti, assicurando che i sopravvissuti avessero accesso a risorse e percorsi verso la guarigione. Ha anche scritto e contribuito a diversi articoli e altri materiali che hanno illuminato l'esperienza vissuta del coinvolgimento del culto, aiutando professionisti e sopravvissuti a comprendere meglio le dinamiche del controllo coercitivo.
Il suo lavoro è stato di portata interdisciplinare e globale. Ashley ha collaborato a iniziative che affrontano l’estremismo, la riforma carceraria e gli affari dei veterani, portando la sua esperienza a sopportare alcune delle sfide più pressanti della società. Ha sviluppato programmi che colmavano la ricerca e la pratica, coordinavano gli sforzi internazionali per espandere la consapevolezza dei sistemi coercitivi e sosteneva costantemente che le voci dei sopravvissuti fossero centrate sulla politica e sulle riforme.
In tutti questi ambiti, l’eredità di Ashley è definita dalla sua capacità di integrare il rigore professionale con profonda compassione. Non era solo una terapeuta e una sviluppatrice di programmi, ma anche un avvocato visionario che ha riconosciuto l'interconnessione del trauma attraverso studi cultisti, violenza domestica, incarcerazione e ingiustizia sistemica. I suoi scritti, programmi e collaborazioni continuano a influenzare i professionisti di tutto il mondo, offrendo sia strumenti pratici che ispirazione per coloro che si impegnano per la guarigione e la giustizia.
La carriera di Ashley è la testimonianza del potere del lavoro interdisciplinare e della difesa centrato sui sopravvissuti. Attraverso la sua dedizione, ha lasciato un segno indelebile nei campi del recupero dei traumi e della riforma sistemica, incarnando un'eredità di compassione, innovazione e impegno incrollabile per i più bisognosi
Nota: Ashley Allen
Ashley Allen, MSW, LSW (d. 2025), è stata un'assistente sociale, una terapeuta e una ricercatrice il cui lavoro si è concentrato sul recupero dei traumi, sul controllo coercitivo e sulle esperienze degli adulti di seconda generazione cresciuti in gruppi ad alta domanda. Dopo aver trascorso i suoi anni formativi in un culto religioso, ha portato sia l'esperienza vissuta che il rigore clinico nel campo degli studi di culto. Ashley ha completato il suo Master in Social Work presso la Monmouth University, presentato ampiamente presso agenzie e università di salute mentale, e ha servito nel New York Educational Outreach Committee della International Cultic Studies Association. La sua scrittura e lo sviluppo del programma hanno contribuito in modo significativo alla comprensione e alla formazione professionale in studi di culto.



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