Può uno psicologo danneggiare il suo cliente? Sì se usa le stesse tecniche di controllo di un leader settario
- Lorita Tinelli Psicologa
- 19 set
- Tempo di lettura: 4 min

In un articolo pubblicato nell'edizione cartacea di ICSA Today, Vol. 13, N. 2, 2022, 18-20 si evidenzia che un terapista della salute mentale, quando ignora l'autonomia del cliente e adotta nei suoi confronti strategie di controllo, rischia di somigliare ai leader settari. Tipico delle relazioni terapeutiche coercitive è proprio l'uso di un approccio riparativo. E trasformare e riparare rientra proprio nelle azioni di un leader settario nei confronti dei propri adepti. Ovviamente la trasformazione dell'adepto dev'essere quella voluta dal leader, che lo uniformerà al resto dei seguaci.
Secondo l'autore dell'articolo Adam Arnold, professionista della salute mentale e membro del consiglio di amministrazione dell'International Cultic Studies Association (ICSA), che si considera sia un sopravvissuto che un autore di abusi spirituali, quando entriamo in contatto con qualcuno che vuole "aggiustarci" nella nostra mente si aggrovigliano così tante domande che fanno emergere la nostra vulnerabilità, portandoci a vivere vergogna e paura.
Difatti una relazione terapeutica coercitiva induce pensieri di inadeguatezza nel paziente che si convince di essere completamente sbagliato e di poter ricevere attenzioni e rispetto solo se cambia e si adegua alle volontà del terapeuta.
La vergogna e la paura che si provano nell'adeguarsi ai tentativi di "aggiustamento" possono spesso trasformarsi in un certo risentimento nei confronti di chi lo ha aggiustato. Ecco che il paziente può diventare ostile nei suoi confronti, a volte vivere in modo disonesto con lui e a volte decidere di placarlo del tutto: tutte strategie comuni che impieghiamo per far cessare il suo comportamento controllante.
È vero che la maggior parte di chi cerca un terapeuta ha pensieri, sentimenti e comportamenti che generano notevole sofferenza per sé stessi o per gli altri. Eppure, nessun "aggiustamento" avviene negli studi di terapia ufficiali.
L'autore dell'articolo sostiene l'importanza della terapia, ed egli stesso racconta di aver seguito un lungo percorso per raggiungere degli equilibri, coltivare la comprensione, chiarire i suoi valori, instillare competenze e ridurre il suo ruolo nei conflitti relazionali. E, racconta che, anche dopo una solida terapia, egli è ancora la stessa persona fondamentale di sempre. Quindi la sua terapia non ha avuto la pretesa di "aggiustarlo", trasformandolo.
Egli racconta in questo modo i due fattori fondamentali di una terapia di successo, :
I miglioramenti in me sopra menzionati sono avvenuti principalmente grazie al mio desiderio di cambiamento: ho scelto di andare in terapia, ho scelto il terapeuta, ho fissato gli appuntamenti, ho fissato i miei obiettivi. Principale nel programma del mio terapeuta era l'impegno a supportarmi nel raggiungimento dei miei obiettivi. Potevo dire "No" agli interventi terapeutici e potevo interrompere il rapporto con il mio terapeuta quando volevo. In sostanza, sia per la natura profondamente personale della terapia, sia per il beneficio della sicurezza emotiva che la terapia offre ai pazienti concentrati sul cambiamento del proprio comportamento, è fondamentale per i terapeuti ottenere il consenso dei propri clienti alla terapia".
Ricerche approfondite sostengono che l'efficacia della terapia è principalmente legata al desiderio di cambiamento della persona (Hubble, Duncan e Miller, 1999). Nonostante questo principio, e come molti individui hanno sperimentato, andare in terapia non è sempre un'idea del cliente; e farlo non è sempre del tutto volontario. Il trattamento potrebbe essere imposto dal sistema legale, da un datore di lavoro o persino da un cosiddetto guaritore che utilizza tattiche coercitive.
Lo scopo della terapia potrebbe anche essere la stabilizzazione a breve termine, necessaria per garantire la sicurezza del cliente e degli altri.
Ci capita spesso di desiderare ardentemente che una persona cara vada in terapia per quelli che vengono percepiti come comportamenti distruttivi. Il terapeuta però non puà indirizzare verso una modifica che è solo nella sua testa. Spesso gli stessi tribunali "ordinano" una terapia, magari affinche le coppie di genitori riescano a trovare un equilibrio. Ma usare la terapia in questo modo, come minaccia o punizione – di fatto, trasformarla in un'arma – è in diretta contraddizione con ciò che la terapia offre, ovvero una relazione calorosa con confini netti e trasparenti, che però necessita una motivazione e responsabilità individuale.
Per coloro che desiderano che qualcun altro cambi, la terapia relazionale¹ può rappresentare un approccio terapeutico migliore. Una realtà che rende umili è che, in una preponderanza di conflitti diadici², entrambe le parti contribuiscono, in un certo senso, al conflitto. Un terapeuta relazionale qualificato può aiutare a chiarire e districare queste dinamiche.
Trasformare la terapia in un'arma può avere un impatto negativo sulle relazioni e, in ultima analisi, può inasprire la nostra visione della terapia. Una relazione terapeutica curativa tra te, come cliente, e il tuo terapeuta è una relazione democratica, che garantisce che non ti venga fatto alcun male. Garantire una tale relazione può comportare che il terapeuta metta in discussione pensieri e comportamenti che apparentemente non ti aiutano. L'esperienza non dovrebbe comportare che il terapeuta metta in discussione le tue emozioni.
Adam Arnold suggerisce alcune domande utili da porre a se stessi e al terapeuta prima di iniziare la terapia e durante tutto il percorso terapeutico, una volta iniziato:
"Voglio la terapia?"
"Per cosa cerco la terapia?"
"Per chi cerco la terapia?"
"Qualcuno, incluso il terapeuta, sembra costringermi ad andare in terapia?"
Una guarigione è effettivamente possibile e questa è anche in grado di cambiare il comportamento dell'utente. Gli offre la possibilità di diventare più compassionevoli verso se stessi, di decidere di vivere in ambienti sicuri e coltivare relazioni affettive può aumentare le nostre possibilità di cambiamento comportamentale.
Adam Arnold esorta a diffidare di modalità coercitive (inclusi consigli invadenti, confessioni estorte e catarsi istigate) che possono inizialmente dare risultati soddisfacenti, ma che in realtà ci sconvolgono e ci spingono a cambiamenti di breve durata. Basate sulla paura, le modalità coercitive spesso non sono comprovate scientificamente e possono, a volte, essere psicologicamente traumatizzanti.
Per intraprendere una terapia di guarigione, cercate terapeuti che non facciano affidamento su tecniche semplicistiche e risolutive e che invece mostrino la volontà di adattarsi al complicato processo di cambiamento comportamentale (Prochaska, Redding e Evers, 2002), un processo che raramente procede in modo lineare.


