Abuso psicologico e controllo mentale

Definizione

Ci sono parole, azioni, comportamenti, interazioni che nessuna legge punisce, ma che possono risultare fortemente lesivi per una persona.

Questo tipo di violenza, definita psicologica (definizione vaga e per ora scarsamente codificata), riguarderebbe diverse situazioni, tanto di tipo carenziale, quanto di tipo attivamente lesivo, che colpiscono il benessere emotivo e psicologico della vittima. La provocazione continua, l’offesa, la disistima, la derisione, la denigrazione, la svalutazione, la coercizione, il ricatto, il silenzio, la privazione della libertà, la menzogna e il tradimento della fiducia riposta sono solo alcune forme in cui si manifesta la violenza psicologica.

Per parlare di abuso psicologico è necessario che una o più di queste dimensioni siano sufficientemente pervasive, da poter essere considerate caratteristiche delle interazioni e da far sorgere serie preoccupazioni in merito al funzionamento e alle condizioni emotive della vittima.

Ambiti di attuazione della violenza psicologica

La violenza di tipo psicologico si esplica in vari ambiti, domestico, lavorativo e sociale, ed è dunque caratterizzata da un tipo di relazionalità aggressiva che può essere o meno accompagnata da situazioni di maltrattamento fisico o sessuale, e che si connota per il carattere particolarmente minaccioso dell’approccio relazionale.

L’aspetto che distingue tale situazione da altre che per altro verso potrebbero essere definite nello stes-so mo-do, è rappresentato da un atteggiamento violentemente intrusivo da parte dell’aggressore nei confronti dell’aggredito, che può essere un partner debole o più frequentemente un figlio, oppure, un discente, un collega di lavoro…

La violenza psicologica che si perpetua nell’ambito familiare è quella maggiormente riconosciuta anche dal punto di vista giuridico.

Recenti sentenze hanno difatti sottolineato le caratteristiche della violenza psicologica domestica e i suoi effetti sulla relazione.

Una sentenza della Corte d’Appello di Torino, sezione I civile (RG. 895/99), per esempio ha attribuito il fallimento di un matrimonio alle violenze psichiche che il marito infliggeva alla moglie:

“E’ emerso infatti che il comportamento tenuto dallo S. ha comportato per tutta la durata del rapporto, offesa alla dignità dell’altro coniuge, in considerazione degli aspetti esteriori con cui era coltivato e dell’ambiente in cui era esternato, ed è stato oggettivamente tale da cagionare sofferenze e turbamenti, lesioni all’immagine ed offese pregiudizievoli della personalità del coniuge, con atteggiamenti di disistima e comportamenti espulsivi, particolarmente gravi per i toni sprezzanti ed in quanto esternati alla presenza dei componenti del gruppo parentale e amicale, benchè la moglie tentasse, in tali occasioni, di ricomporre le fratture. Lo S. ha dunque tenuto nel corso del rapporto una condotta offensiva ed ingiuriosa sotto plurimi profili. (Dalla sentenza, pag. 36).

La sentenza ha denominato tali metodi di attacco alla stima personale con il termine mobbing (pag. 45 della sentenza), addebitando la responsabilità della separazione al marito.

La Sesta Sessione Penale della Corte di Cassazione (3750/99) ha sostenuto che l’uomo che rende la vita impossibile alla ex moglie, sottoponendola ad ogni tipo di molestie e vessazioni, è punibile con il carcere, perché viene meno ai doveri di rispetto reciproco ai quali è tenuto anche se separato, a nulla rilevando il fatto che sia cessata la convivenza. Con questa affermazione ha respinto il ricorso di un signore separato che aveva tormentato la ex moglie con ogni tipo di molestia (foratura di gomme dei pneumatici, minacce) e per questo era stato condannato dalla Corte di Appello di Venezia per il reato di maltrattamenti in famiglia. Secondo la Suprema Corte, infatti, è vero che i singoli comportamenti tenuti dall’uomo costituivano di per sé reato (minacce, ingiurie, danneggiamento, etc.), ma quando la sottoposizione dei familiari, “ancorché conviventi”, ad atti di vessazione continui e tali da cagionare agli stessi intollerabili sofferenze presentino “il connotato dell’abitualità”, tutti i singoli episodi costituiscono espressione di un “programma criminoso” unitario, e quindi configurano il più grave reato previsto dall’art. 572 del codice penale.

Quindi vessazioni, minacce, ingiurie, danneggiamenti, ecc. continuativi all’interno di una relazione sono segnali di abuso psicologico.

La violenza psicologica si consuma anche nell’ambiente lavorativo. Il mobbing (dall’inglese To mob = assalire tumultuosamente) difatti è una chiara forma di violenza psicologica, definita anche terrore psicologico, esercitata sul posto di lavoro attraverso attacchi ripetuti di colleghi o superiori.

Il mobbizzato (vittima del mobbing), spesso, inconsapevolmente entra in un circolo relazionale vizioso che lo vede vittima di una sottile e diabolica aggressione da parte di un carnefice. Gli attacchi però non sempre sono eclatanti, e la vittima non è subito in grado di identificare chiaramente quello che gli sta succedendo: cattiverie, pettegolezzi…sono ritenuti regole del gioco e sdrammatizzate da parenti e amici a cui vengono raccontati. Così l’individuo inizia a provare senso di inadeguatezza, di colpa per non riuscire ad essere migliore e quindi inattaccabile. Non riesce subito a mettere in relazione il fastidioso mal di testa, la difficoltà di digestione, gli attacchi d’ansia…con lo stillicidio quotidiano di diffidenze, maldicenze e rimproveri gratuiti che riceve. Finisce spesso per attribuire a se stesso la responsabilità delle sue difficoltà di adattamento all’ambiente lavorativo. I disturbi psicosomatici e i danni alla stima della persona sono inevitabili.

Si passa dunque da un tipo di relazione simmetrica ad una relazione complementare fissa, in cui la vittima assume il ruolo di sottomesso (one-down).

Una delle forme più invasive dell’abuso psicologico è il controllo mentale o persuasione distruttiva, che il carnefice mette in atto nei confronti della vittima designata. La persuasione, o controllo mentale rappresenta lo sforzo di condurre una persona verso una direzione voluta, con mezzi diversi dalla forza (nel caso della violenza psicologica nel mondo del lavoro, il carnefice desidera portare al licenziamento la vittima; nell’ambito domestico o relazionale, l’obiettivo è di annientare psicologicamente il più debole). La persuasione distruttiva viene preparata secondo un programma preciso e nascosto, mediante il controllo strategico dei bisogni dell’altro.

Un ambito in cui si sviluppa ampiamente tale forma di relazione pervasiva, ma in modo molto più subdolo, è quello di appartenenza ad un gruppo ad ideologia radicale o settaria. La convinzione che un “profilo psicologico” caratterizzi i membri dei gruppi radicali è errata. Diversi fattori operano simultaneamente all’istante del reclutamento. Affinchè un individuo venga reclutato con successo, diventano importanti i seguenti fattori: convinzioni ed atteggiamenti precedenti, natura della strategia del gruppo persuasivo, variabili sociali ed ambientali, particolari bisogni dell’individuo in quel preciso momento.

Esistono dei gruppi altamente specializzati nelle tecniche di reclutamento che mescolano psicoanalisi, religione, scienza e pratiche iniziatiche per creare acquiescenza nell’individuo. Spesso aggirano le difese mascherandosi da scuole di formazione o corsi specialistici per operatori e manager. Tali gruppi, oggi molto “di tendenza” sono legati al variegato mondo della New Age.

Il lungo rapporto che il Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno ha inviato alla Commissione Affari Costituzionali della Camera punta il dito in particolar modo su questi tipi di gruppo, definiti “psico-sette” o “autoreligioni”, che agiscono anche nella nostra nazione con metodi reclutativi altamente aggressivi e lesivi.

Il rapporto sostiene difatti che “nella fase di proselitismo e in quella di indottrinamento tali gruppi usano sistemi scientifici studiati per aggirare le difese psichiche delle persone irretite, inducendole ad atteggiamenti acritici e obbedienza cieca”.

Per quanto questi gruppi sostengano di agire per garantire il benessere personale e psicologico degli individui, la sola cosa che ottengono con indiscutibile successo è di raccogliere enormi somme di denaro per i loro capi.

Nel rapporto del Ministero degli Interni difatti si legge tra l’altro: “Coloro che decidono di proseguire la terapia, sono indotti a frequentare corsi sempre più onerosi, durante i quali sono sottoposti a stress fisici (lavori logoranti, diete ipervitaminiche e ipoproteiche) e psicologici (letture forzate, pressioni e intidimidazioni)”. Contro organizzazioni di questo tipo, sottolinea il rapporto, l’azione penale rischia di non avere strumenti sufficienti: non esiste ancora il reato di “aggressione alla liberta” psichica e non è più previsto quello di plagio.

Il mantenimento all’interno del gruppo viene garantito da una serie di tecniche. Molti di questi gruppi utilizzano anche l’ipnosi di massa, che favorisce una attenzione di tipo estatico e, infine, obbedienza. Strumenti di ipnosi sono la preghiera o la ripetizione di frasi ritualistiche o mantra. Le parole utilizzate in queste cantilene non devono però essere significative per essere efficaci. La psicologia ha difatti dimostrato sperimentalmente che le parole senza senso sono più facilmente ricordate che non quelle dotate di senso. Questo perché le parole senza significato hanno un contenuto meno associativo e inibitorio di quelle significative.

Altra tecnica funzionale al controllo mentale ed efficace al mantenimento dell’individuo nel ruolo di vittima è la manipolazione della colpa: qualsiasi lacuna nella vita del culto viene attribuita ad una qualche falla tra i devoti. Quando un membro comincia a mettere in dubbio che i suoi bisogni trovino veramente una soluzione, le sue proteste verso i leaders generano soltanto accuse secondo cui egli stesso è responsabile delle proprie difficoltà (così come avviene per il mobbizzato nel mondo del lavoro). Addirittura un membro impegnato arriva a credere davvero che la sua insoddisfazione sia dovuta al proprio modo di agire. Come un bambino non può immaginare che i suoi genitori possano usargli violenza, un membro del culto può condannare solo se stesso per le esperienze negative.

Il processo di colpevolizzazione è un circolo vizioso: il considerevole numero di suicidi tra i membri del culto suggerisce che l’unica soluzione a questo dilemma sia l’autodistruzione.

Effetti dell’abuso psicologico

Nell’anno 1999 alle sedi del nostro Centro (Ce.S.A.P.) si sono rivolti 763 utenti, che hanno denunciato situazioni di abuso psicologico: il 16,4% (pari a 125) nell’ambito domestico, il 18,4% (140) nell’ambito lavorativo, mentre il 57% circa (436) ha portato alla nostra attenzione un problema di controllo mentale a causa di un’adesione ad un culto personale o di un proprio parente. I contatti solitamente avvengono per via telematica (605 e-mail di richiesta in un anno) oppure per telefono (65 telefonate) o per contatto diretto con i nostri operatori (93 visite).

L’età media dei richiedenti è di 43 anni circa, si tratta il più delle volte di donne (55,5%), coniugate (76% circa). Solitamente denunciano esperienze lunghe di abusi, vessazioni, lesioni ai propri diritti, dirette o indirette.

Si tratta di numeri dolorosi, minacciosi, indicativi della gravità del fenomeno, del quale lasciano però intuire dimensioni ben più ampie.

230 delle richieste pervenute sono state prese in carico dai nostri professionisti per:

– Psicoterapia (25%)

– Terapia medico/farmacologica (5%)

– Cause di separazione legale (56,5%)

– Interventi educativi su minori (10,5%)

Gli utenti presi in carico si distinguono in vittime dirette di un abuso perpetuato in uno degli ambiti sopracitati e in parenti delle vittime. I primi spesso non giungono a chiedere aiuto spontaneamente, ma sono spronati a farlo da amici o parenti. Sono diffidenti e molto aggressivi, all’inizio, in quanto non hanno più alcuna fiducia nella relazione. Il senso di violazione personale è indescrivibile.

Se hanno avuto un’esperienza in un culto distruttivo, appaiono arrabbiati, delusi e il più delle volte non desiderano sentir parlare di argomentazioni spirituali. In casi più rari, invece, la rabbia di essere stati ingannati è tale che le vittime più che rivolgere una richiesta d’aiuto desiderano acquisire quante più informazioni possibili sul culto di cui facevano parte, al fine di vendicarsene (in special modo se all’interno hanno dovuto lasciare una persona cara), oppure desiderano sporgere immediatamente delle denunce.

La maggior parte di loro presenta dei problemi di carattere emotivo e in alcuni casi disturbi mentali veri e propri. L’adesione ai culti distruttivi, per esempio, o il perpetuarsi di una distorsione nella relazione agevolano lo strutturarsi di una serie di problemi fisici e mentali (si comincia col manifestare disturbi di tipo psicosomatico, disordini alimentari, fino a giungere a disturbi di tipo psicotico, depressione cronica, alcoolismo…). Spesso gli ex aderenti ad un culto distruttivo risentono, a distanza di tempo, dei ricatti e delle vessazioni ricevuti dal resto del gruppo di appartenenza, nel momento in cui si sono allontanati o sono stati costretti ad allontanarsene. I culti distruttivi funzionano secondo la politica del Chi è fuori è un nemico!

Molti sono i tentativi di suicidio, specialmente perché la vittima spesso non si sente supportata nel suo dolore da nessuno, non trova via d’uscita e crede che la colpa della sua esperienza negativa sia esclusivamente sua.

Diverse sono le cause di separazione, specie quando l’altro coniuge è ancora all’interno del culto. Le cause non sono semplici, specie quando di mezzo ci sono i bambini. Spesso il coniuge-adepto, in questi casi, mette in moto una serie di meccanismi e strategie di denigrazione dell’altro (l’apostata) con accuse gravi, fino a trasformare le cause da civili a penali. L’adepto ha la tendenza a volere l’affidamento del proprio figlio al fine di tenerlo ancora nel gruppo e soprattutto lontano dall’altro che rappresenta nella sua mente satana. Nel quotidiano le vittime sostengono di non riuscire a rendere più nel loro lavoro o impegno, provano vergogna e ancora sensi di colpa, anche a distanza di tempo. Uno di loro una volta ha asserito di sentirsi in colpa per aver buttato 20 anni della sua vita in un culto, anni in cui aveva vissuto non vivendo.

I familiari delle vittime, specialmente quelli degli aderenti ai culti distruttivi, che sono coloro che più facilmente si rivolgono ai centri di aiuto, sviluppano una sorta di relazione di co-dipendenza, con il proprio caro, adepto. Dopo aver fatto diverse esperienze di fallimento iniziali, in cui hanno tentano di risolvere la situazione con le sole proprie forze, tendono a negare il fatto, quando sono di fronte al loro caro intrappolato, mentono per non affrontare la situazione, perché temono di non rivederlo più, sono spesso accondiscendenti, ma covano dentro tanta rabbia, depressione e risentimento che contribuiscono ad alimentare la loro frustrazione e impotenza.

Spesso ci chiedono aiuto per ricevere un miracolo dall’esterno, più che animati da desiderio di impegnarsi nei tentativi di recupero. Alcuni di loro, si mettono in contatto con tutte le associazioni e i professionisti di cui hanno sentito parlare su giornali o in TV, in Italia e all’estero, e contemporaneamente rivolgono a tutti richieste d’aiuto. In questo modo rendono molto più complessa l’azione di intervento, per il dispendio di energie. Anche i familiari delle vittime sviluppano malattie psicosomatiche dovute a disturbi connessi allo stress che vivono quotidianamente.

Metodi di aiuto e di recupero Nel corso della nostra esperienza abbiamo sviluppato metodologie sempre più specifiche di aiuto e recupero da abuso psicologico.

Le vittime entrano in contatto con i nostri operatori, i quali hanno il compito di verificare la natura della richiesta e a seconda dei casi inviarli al professionista più adeguato (medico, psicologo, psicoterapeuta, psichiatra, avvocato, pedagogista). Fanno parte del nostro gruppo anche ex vittime, che sono a disposizione nelle varie fasi di recupero con la loro personale esperienza nell’ambito specifico.

Una volta presi in carico, viene richiesta a ciascuno la redazione di un memoriale della propria esperienza, che aiuta sia loro sia gli operatori a focalizzare razionalmente la storia passata.

Il sostegno informativo è un’altra fase essenziale per il processo di recupero: gli operatori spesso mettono a disposizione dell’utente tutto il materiale necessario a comprendere meglio l’esperienza passata (libri e documenti dei culti, sentenze, circolari…) e le ex vittime provvedono a fornire particolari dello loro esperienza.

Questo tipo di aiuto emotivo è molto importante sin dal primo contatto.

Gli utenti chiedono subito se la loro esperienza è singolare o c’è qualcun altro che l’ha vissuta e se esiste questa possibilità chiedono immediatamente il contatto. Quando i vari utenti sono presi in carico dagli esperti, alcuni di loro contemporaneamente ricevono supporto emotivo mediante i gruppi di auto-aiuto. I gruppi di aiuto sono luoghi dove elaborare la propria guarigione, dove parlare di traumi passati con persone che hanno fatto la stessa esperienza e che sono state formate a dare sostegno.

Dal gennaio 2000 è stato attivato un gruppo di auto-aiuto per vittime di culti distruttivi, al quale hanno aderito 15 persone. Grazie al successo di questa iniziativa a settembre saranno attivati altri gruppi per vittime e familiari di vittime di culti distruttivi e di mobbing.

Quando le vittime sono riuscite a risolvere il loro problema, hanno sviluppato nuovi modi di comunicare con se stessi e con gli altri ed hanno recuperato fiducia nel prossimo, la maggior parte delle volte desiderano offrire la propria esperienza al servizio degli altri.

Lorita Tinelli

Presidente CeSAP

© Leadership Medica Anno XVI – No. 06.2000

Il potere delle sette

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dossier tratto da FOCUS – Febbraio 2007

È ferito, perde sangue, ma corre come un matto. Taglia i sentieri e la vegetazione delle campagne consentine, cerca aiuto. Raggiunge un ospedale a valle. È sotto shock, Tommaso, ha il respiro corto. Balbetta: «Mi hanno sparato durante una rapina». Ma non è la verità. La polizia lo mette alle strette, insiste: «Chi ti ha ridotto in queste condizioni?». L’uomo piange, prega, cede: indica una masseria sulle colline di Cosenza. L’inferno. È una notte di fine maggio del 1988. Gli agenti circondano la cascina e fanno irruzione, squarciando il velo su una scena da film horror: sessanta persone vestite di bianco, scalze e sudate, stanno scandendo una nenia misteriosa. Al centro della stanza, la santona Lidia, la guaritrice della Calabria, dirige le danze. A terra, ci sono oltre mezzo miliardo di lire, armi, una foto del piccolo Marco Fiora (rapito a Torino pochi mesi prima) e un giovane incaprettato e ucciso a colpi di pistola. Era stato l’ultimo degli adepti a tentare la fuga. L’ultimo prima di Tommaso.

Sono trascorsi quasi vent’anni dalla scoperta del Gruppo del Rosario. La setta, sulla quale gravano ancora tante ombre, era stata fondata negli anni Settanta da Antonio Naccarato. A lungo era cresciuta all’insaputa delle autorità, riuscendo a reclutare più di 800 seguaci, la maggior parte dei quali in Piemonte. Nel mondo, l’allarme sette era scattato da un pezzo: nel 1978, nel villaggio di Jonestown (Guyana), 923 adepti della setta del Tempio del Popolo si erano avvelenati col cianuro, istigati dal guru Jim Jones; episodi simili, pur con meno vittime, erano accaduti nel 1985 nelle Filippine e nel 1987 in Corea del Sud.

L’episodio di Cosenza, per l’Italia, fu un pugno nello stomaco. Il primo di una serie. Al punto da convincere il ministero dell’Interno a scandagliare il fenomeno. Un dettagliato rapporto fu pubblicato due anni prima del cambio di millennio (data fatidica per maghi e operatori dell’occulto): denunciava la presenza, nel nostro Paese, di 137 gruppi settari e di «sistemi scientificamente studiati per aggirare le difese psichiche delle persone, inducendole a un atteggiamento acritico e all’obbedienza cieca». In altre parole, alla «destrutturazione mentale degli adepti», condotti alla follia o alla rovina economica. Oggi, la Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha istituito un servizio antisette diretto da don Aldo Buonaiuto, stima che siano almeno 8 mila le associazioni italiane legate al satanismo, alla stregoneria o alla magia, o potenzialmente dedite allo sfruttamento e alla manipolazione della gente, per un numero di seguaci che oscilla fra i 600 mila e il milione. Per contrastare questo tsunami sotterraneo, nel dicembre 2006, il Servizio centrale della polizia ha dato vita a una speciale squadra antisette, formata da investigatori, analisti, criminologi e psicologi, e coordinata dal primo dirigente Luigi Carnevale.

Ma che cosa sono le sette? Darne una definizione non è semplice. «Nella maggior parte dei casi» spiega Buonaiuto «sono parodie di organizzazioni religiose, ma con obiettivi molto diversi da quelli di una religione tradizionale, e con un leader indiscusso dotato di grande carisma e ossessionato dai cerimoniali. Autoritari, dispotici, rapidi nel confondere le carte, questi movimenti possono nascere con fini ideologici apparentemente innocui (dal perseguimento della pace interiore all’adorazione di divinità esotiche), ma quasi sempre sfociano nell’abuso, nell’inganno, nella truffa, nel rifiuto delle leggi e del buon senso, nei maltrattamenti o nell’incitamento all’odio razziale». Un aspetto centrale delle sette (che possono contare dai dieci alle varie centinaia di iscritti) è che è facile entrarvi ma difficilissimo uscirne: sia per i ricatti a cui si è sottoposti e sia perché l’appartenenza a una setta tende a distruggere ogni legame familiare e sociale con l’esterno, immergendo i simpatizzanti in una realtà virtuale dove le uniche regole sono quelle dettate dal guru.

Le sette sono una galassia sfuggente, fluida, in continua evoluzione e, per questo, non c’è una classificazione universalmente accettata. Gli esperti, in genere, le suddividono in tre categorie: le sette giovanili, le lobby settarie e le sette apocalittiche (per queste ultime, si veda il box). Le prime sono per lo più gruppi dediti al satanismo, alla stregoneria o alla magia nera. Vi si aderisce per trasgressione e il sesso e la droga ne sono componenti essenziali. Al loro interno si consumano i cerimoniali più macabri: dalla riesumazione e dalla scarnificazione di cadaveri (dati in pasto agli adepti per suggellare il patto di sangue) all’omicidio. Il caso delle Bestie di Satana, svelato a Varese nel 2004 dopo l’uccisione di Mariangela Pezzotta, o quello degli Angeli di Sodoma (che adescavano studenti invitandoli a concerti di musica rock e offrendo loro ostie imbevute di Lsd) sono due esempi. Molte sparizioni e suicidi inspiegabili sono legati proprio a realtà di questo tipo. In una lettera a don Aldo, un anonimo ha raccontato che nella piccola località dove vive, «14 ragazzi e 3 donne si sono impiccati in meno di due anni», umiliati e minacciati da una setta rimasta a lungo in clandestinità. «Ci sono madri» dice Buonaiuto «che, dopo il suicidio del figlio, rinvengono nella camera della vittima pubblicazioni, testi musicali o documenti riconducibili all’attività di una setta».

Più subdole, e senz’altro più numerose, sono le cosiddette lobby settarie. Collegate ai temi dello spiritualismo, delle arti orientali, dello sciamanesimo, sono strutture con una gerarchia piramidale, frequentate da impiegati, disoccupati, liberi professionisti, medici o insegnanti, con grandi giri d’affari. Alcune sono camuffate da associazioni «benefiche», regolarmente registrate, altre sono del tutto segrete. Secondo gli investigatori, sarebbero frequenti i contatti fra queste organizzazioni e il traffico di organi, la pedofilia o lo spaccio di sostanze stupefacenti. Di questa categoria fanno parte le psico-sette (fra le quali va annoverata la controversa e gigantesca setta fondata da Ron Hubbard, Scientology).

Per attrarre le loro «prede», le psico-sette usano i metodi più diversi: da accattivanti siti internet alla pubblicità tradizionale. Organizzano seminari di memorizzazione veloce, sedute di medicina alternativa, test per valutare e accrescere le potenzialità intellettive, riunioni di chiromanzia o ginnastica rilassante, congressi dedicati alla meditazione o all’auto-guarigione. Dopo un primo incontro, le persone sono invitate a proseguire il «viaggio», durante il quale il guru della setta proverà, con tecniche collaudate, a interpretare lo stato emotivo dei partecipanti. Per cadere nella trappola non serve avere un basso grado di istruzione o vivere in contesti degradati. «In una società fragile e insicura come la nostra» nota Buonaiuto «momenti di crisi affettive o economiche sono tutt’altro che occasionali». Uscire da un’esperienza luttuosa o vivere un momento di vulnerabilità o disagio, anche con due lauree in curriculum, può essere fatale. Dice la psicologa Lorita Tinelli, docente di criminologia all’università di Bari e presidente del Cesap (il Centro sudi sugli abusi psicologici): «Le psico-sette, sempre più radicate negli ultimi anni, offrono alle persone una reinterpretazione della loro vita, rimarcandone i bisogni. Chi ha un bisogno, chi percepisce un vuoto, non ha infatti la lucidità per fare una scelta libera e personale e così si affida al proprio interlocutore. La setta promette che, seguendo un determinato percorso, si potrà superare ogni ostacolo e la vittima, alla fine, delega tutto all’organizzazione. Senza il permesso del guru, non avrà più il coraggio e la forza di fare nulla. Neppure una visita medica o una cena con i genitori».

Una volta in gabbia, cominciano i guai. I seminari e i cerimoniali hanno costi sempre più elevati: ogni nuovo incontro ha la scopo di creare fobie verso i valori tradizionali e sensi di colpa nei confronti della setta, di sgretolare l’equilibrio mentale e l’autostima degli adepti e di persuaderli che senza l’aiuto e i consigli del guru non potranno più essere se stessi. Per pagare i corsi, o sostenere l’organizzazione, c’è gente che fa fuori fino all’ultimo risparmio, che vende la macchina e la casa. Ai seguaci più brillanti, per coprire i debiti, viene proposto di lavorare come adescatori di reclute. L’adepto opera un vero e proprio transfert psicologico: «Il leader della setta» aggiunge Buonaiuto «diventa il suo unico punto di riferimento. Per lui, è disposto a subire umiliazioni, persino a ridursi in schiavitù».

Le psico-sette hanno spesso un testimonial (un adepto ai livelli alti della piramide) che racconta come la propria esistenza sia cambiata in meglio dopo l’incontro con il gruppo. Il legame fra l’attore Tom Cruise e Scientology è emblematico. Al contempo, scatta la fase dell’isolamento: «Il capo della setta» dice Luigi Carnevale «spiega all’adepto che è la famiglia a precludergli la possibilità di realizzarsi ed è perciò la famiglia l’unica causa dei suoi guai. Gli fa capire, mentendo, di essere stato violentato quand’era bambino e lo riduce in uno stato di prostrazione totale. La vittima ha il cervello resettato, la volontà annullata. Odia i genitori. E reagisce aggrappandosi ancora più saldamente al gruppo, tagliando i ponti col passato». Per evitare iniziative personali, i seguaci vengono deresponsabilizzati, educati a un linguaggio criptico (cosa che scoraggia la comunicazione con l’esterno) e convinti di essere gli eletti di un disegno imperscrutabile e divino. In alcuni casi, conducono una doppia vita: lavorano di giorno e dedicano alla setta il resto del tempo; in altri, scompaiono del tutto, ritirandosi in associazioni slegate dal mondo. Damanhur è una comunità fondata nel 1975 dal filosofo e guaritore Oberto Airaudi (alias Falco), tutt’ora guida spirituale della setta. Costituita da una quarantina di villaggi ai piedi delle Alpi piemontesi, in Valchiusella, Damanhur ospita centinaia di persone. Sul sito dell’organizzazione si legge che le conoscenze di Falco derivano «dal collegamento che Damanhur ha creato con le forze divine cosmiche del nuovo millennio».

Ci sono sette, dice Tinelli, che incentivano la procreazione, ma sostengono che un figlio, nel momento in cui viene al mondo, è membro della comunità, la quale si sostituisce ai genitori nell’educazione, «come succede tra i Bambini di Dio o, appunto, nella comunità di Damanhur». E non mancano circostanze estreme: alcuni ex appartenenti alla setta del reverendo Jim Jones, sopravvissuti al massacro della Guyana, riportarono testimonianze agghiaccianti sull’educazione che lo stesso Jones riservava ai minori.

A differenza delle sette sataniche, dove gli adepti conoscono almeno in parte il destino e la realtà a cui vanno incontro, chi entra in una psico-setta non è mai consapevole di entrare in una setta. Cosa che, naturalmente, rende ancora più complicato uscirne. «Il processo» prosegue Tinelli «è simile a quello dell’innamoramento. Dopo tanti anni insieme, bastano una parola, un episodio, un incontro fortuito con un vecchio amico, un libro, un piccolo tradimento per far aprire gli occhi all’adepto e permettergli una visione critica dell’ambiente in cui è precipitato. L’americano Steven Hassan, studioso di sette, dice che il vero io della persona rimane occultato dall’io della setta. Ma che per farlo riemergere, è sufficiente sollecitarlo». Non è facile che capiti. Però capita.

Prevedere la reazione della setta, a quel punto, è praticamente impossibile. La fuga può essere indolore. Ma se l’ex adepto decide di denunciare o rendere pubblici i metodi dell’organizzazione, apriti cielo. «Il quel caso» dice Carnevale «il rischio per il fuoriuscito è di essere aggredito, sul piano giudiziario, dalla setta e da seguaci opportunamente istruiti. Ci sono organizzazioni che dispongono di risorse e studi legali in tutte le città d’Italia». Uno degli ultimi episodi di cronaca riguarda l’associazione Arkeon. Sul sito del Cesap, qualche tempo fa, erano comparsi i messaggi di alcuni ex simpatizzanti che mettevano in guardia da «tecniche di condizionamento» e «pressioni psicologiche». Ai messaggi si sono interessate varie Procure italiane. Il gruppo Arkeon, ritenendo lesivi quegli avvertimenti, aveva chiesto l’oscuramento del sito del Cesap. Richiesta che è stata però respinta dal Tribunale di Bari. Arkeon si definisce, in Internet, come un «percorso individuale di crescita, consapevolezza e sviluppo del potere personale e della leadership».

Michele Scozzai

 

PER SAPERNE DI PIU’

Aldo Buonaiuto, Le mani occulte, Città Nuova

Steven Hassan, Mentalmente liberi. Come uscire da una setta, Avverbi

www. cesap.net. Il sito del Centro studi sugli abusi psicologici

 

BOX – SERVIZIO ANTISETTE

Il servizio antisette della Comunità Papa Giovanni XXIII (fondata da don Oreste Benzi) è operativa dal 16 ottobre 2002. Nata per sostenere le vittime delle tante organizzazioni occulte presenti in Italia, è oggi un punto di riferimento anche per la magistratura e le forze dell’ordine. All’apposito numero verde (800228866, attivo 24 ore su 24) giungono in media 40-50 telefonate al giorno, senza contare le centinaia di lettere e messaggi di posta elettronica (antisette @apg23.org). Il 43% delle richieste d’aiuto viene da genitori disperati; il 34% da persone adulte cadute nella trappola delle sette; il 19% da vittime minorenni.

Il problema maggiore, quando ci si ritrova ad affrontare una setta (o, peggio, una psico-setta), è la mancanza di strumenti giuridici. Il semplice associazionismo, anche se riconducibile all’adorazione di satana, non è punibile, né lo sono il plagio o gli spropositati tariffari dei corsi. Per colpire una setta bisogna dunque puntare su reati come l’istigazione al suicidio (sempre difficile da provare), il traffico di sostanze stupefacenti o la pedofilia. Ma anche in questi casi il sistema di protezione, con studi legali agguerriti, è spesso ben oliato. Alcuni disegni di legge per contrastare il fenomeno sono allo studio.

 

LETTERA A DON ALDO BUONAIUTO / 1

Reverendissimo Padre,

ho deciso di scriverle per esprimere la mia drammatica situazione. Ho un figlio chiuso dentro un’organizzazione settaria da 5 anni. Aveva iniziato con dei corsi di aggiornamento per la sua attività lavorativa come rappresentante di una grossa azienda. Non avrei mai immaginato ciò che poi è accaduto: tali corsi diventavano sempre più frequenti e sempre più costosi. Mio figlio ci chiese prima un prestito di 10 mila euro, poi un finanziamento di altri 20 mila. Quando cercammo di affrontare il tema economico lui si arrabbiò tantissimo, minacciandoci di allontanarsi definitivamente da noi. Nel giro di un mese ha abbandonato ogni suo contatto, lasciando la sua fidanzata con la quale stava progettando un matrimonio. Sono due anni che non lo vediamo più, né sappiamo dove si trova. Abbiamo contattato l’organizzazione di cui fa parte ma senza ottenere informazioni, perché la privacy lo protegge. Siamo disperati: nostro figlio non avrebbe mai agito in questo modo. Ci aiuti, padre, perché i carabinieri ci hanno detto che non possono fare nulla, perché non ci sono leggi e perché il ragazzo è maggiorenne. Vorremmo almeno capire se è vivo, se sta bene e il motivo per cui si è dimenticato di noi.

Lettera firmata

 

LETTERA A DON ALDO BUONAIUTO / 2

Caro padre Aldo,

le scrivo per raccontarle la storia di mio figlio, che fa parte di una setta. Gli adepti vengono iniziati con un rito e viene dato loro un nuovo nome. Ogni volta che il loro grado aumenta, il nome cambia, così da restare anonimi e difficilmente identificabili. Per imparare a combattere la paura, si addestrano di notte nei cimiteri. Ho ascoltato una conversazione fra mio figlio e un altro membro della setta. Dicevano: «Se non ci guadagniamo noi con la droga, lo farà qualcun altro al posto nostro. Con la differenza che i nostri ricavi vanno a fin di bene». Ho fatto molte ricerche su questa setta, ho scritto al Vaticano e ad altre istituzioni. Ma adesso ho bisogno del vostro aiuto.

Lettera firmata

 

BOX – SETTE APOCALITTICHE

Le sette apocalittiche mirano alla distruzione dell’umanità e di se stesse. Sono tipiche di alcune aree del mondo (non dell’Italia) e hanno spesso legami con organizzazioni terroristiche internazionali. In genere, le loro azioni avvengono in periodi o date alle quali attribuiscono particolari significati. Un gruppo apocalittico è la Aum Shinrikyo, la setta giapponese che nel 1995 mise del gas nervino nella metropolitana di Tokyo, provocando la morte di una decina di persone. Gli adepti della Aum Shinrikyo, che all’epoca erano più di 40 mila, erano in cerca della «liberazione spirituale».

 

BOX – MECCANISMI PSICOLOGICI IN ALTRI CONTESTI

Meccanismi psicologici simili a quelli che avvengono nelle sette possono riprodursi anche in altri contesti: dai partiti politici agli ultrà del calcio, dai branchi giovanili alle associazioni religiose. Anche in questi casi si tende a delegare al responsabile del gruppo scelte importanti (da un voto referendario a una decisione etica, alla volontà di commettere atti di vandalismo). Ma rispetto alle sette, dicono gli psicologi, ci sono alcune differenze sostanziali. La prima: un partito o un’organizzazione di tifosi non obbligano mai a rompere col resto della società. Anzi. Spesso ne sono parte integrante, al punto da volerla modificare a seconda delle proprie aspirazioni. La seconda: è rarissimo che il leader di un gruppo religioso tradizionale o il capo di un branco giovanile entrino in modo così invasivo nella sfera personale dei «gregari», imponendo (o impedendo) amicizie e frequentazioni. Un branco è forte finché il gruppo esiste: presi singolarmente, i suoi membri appaiono molto meno convinti delle proprie azioni e dei propri atteggiamenti. La terza: a meno che non si commettano reati gravi (che possono essere usati a mo’ di ricatto), qualunque organizzazione “sana” permette di dissentire e di uscire dai ranghi senza traumi né minacce. Al massimo, con una porta sbattuta in faccia. Mentre essere membro di un partito politico o di una compagnia di tifosi può corrispondere a una fase della vita, l’adepto di una setta (fattori di disturbo a parte) è manipolato perché lo sia per sempre.

 

BOX – LA STORIA DELLE SETTE

Le sette, intese come gruppi chiusi e guidati da un leader, esistono da sempre. Ma a seconda del contesto e del periodo storico, assumono funzioni e significati diversi (e non sempre negativi). Nelle scuole filosofiche dell’antica Grecia, erano sette le cerchie di giovani che si raccoglievano intorno a un maestro per apprendere una disciplina: i seguaci più stretti, che godevano dell’amicizia e della stima dell’insegnante, erano detti scolari esoterici; gli altri, gli ascoltatori occasionali, erano invece definiti essoterici.

Altre esperienze e testimonianze sono legate al mondo dell’occulto: di sette diaboliche o sataniche si è a conoscenza fin dall’antico Egitto, e per tutta l’età romana. Nel Medioevo si diffusero gruppi di magia nera e stregoneria: nei sabba, per esempio, gli adepti partecipavano a cerimonie e orge, adoravano divinità pagane e sacrificavano animali e uomini. Gli stessi cavalieri Templari, secondo alcuni studiosi, rappresentarono una setta, all’interno della quale si consumarono pratiche e riti occulti.

E un gruppo settario era anche quello dei primi rosacrociani. Fondata nel 1614 dal monaco luterano Giovanni Valentino Andrea, l’organizzazione invitava i propri seguaci ad abbandonare i falsi maestri (ovvero il papa e Aristotele, che incarnavano la religione e la filosofia), per riscoprire l’alchimia e l’occultismo.

Il termine setta, a lungo, è stato anche sinonimo di movimento politico o società segreta: i giacobini (Francia, 1789), i massoni, gli illuminati (cui appartenne anche il poeta tedesco Wolfgang Goethe) sono tutti considerati membri di sette, ciascuna con i propri obiettivi e valori. Per non parlare della carboneria, la società segreta dell’Ottocento che intendeva riformare lo Stato secondo le idee liberali dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese, e che per molti dizionari è la setta per antonomasia. Per mascherarsi, non a caso, ricorse alla terminologia usata dai commercianti di carbone.

L’esplosione del fenomeno delle sette sataniche giovanili, delle psico-sette e delle sette apocalittiche risale invece alla seconda metà del secolo scorso, dopo che eserciti e servizi segreti (a cominciare da quelli americani) sperimentarono su volontari e prigionieri di guerra tecniche di condizionamento mentale e lavaggio del cervello.

 

SCENEGGIATURA – LE TAPPE DEL RECLUTAMENTO

L’ingresso in una setta avviene in genere in quattro fasi . Eccone i principali passaggi.

  1. Il reclutamento. Consigliato da amici o conoscenti, o attratto da messaggi pubblicitari, il potenziale adepto viene invitato a partecipare a un corso per il potenziamento delle facoltà mentali o a una seduta di rilassamento o di ginnastica dolce. Durante questi incontri, i soggetti vengono bombardati da messaggi positivi (amicizia, guarigione, ecc.) e invitati a proseguire il percorso. Il guru comincia a interpretare la vita di ognuno e a evidenziarne i bisogni e i mali. La vittima viene circondata da amore e false attenzioni (love-bombing) e, se si trova in un momento di debolezza emotiva (eventi luttuosi, crisi economiche, problemi di lavoro, litigi in famiglia) è facile che cada nella trappola.
  2. L’isolamento. Al nuovo adepto si fa credere che la causa dei suoi guai siano la famiglia e gli amici. Talvolta gli si rivela, mentendo, di essere stato violentato da piccolo. La vittima taglia progressivamente i ponti con l’esterno e mette a disposizione della setta tutti i propri averi (per pagare altri seminari o, più semplicemente, per sostenere le attività del gruppo). Il seguace perde i suoi tradizionali punti di riferimento (ufficio, casa, ecc.), comincia a odiare i genitori e delega al guru la propria volontà e le proprie scelte. La sua mente è azzerata.
  3. L’indottrinamento. La vittima viene fatta partecipare a riti e cerimonie ed è incoraggiata all’obbedienza cieca, quasi alla schiavitù. Deve vestirsi, parlare, comportarsi come il guru impone e leggere libri di preghiere e formule ripetitive. Vengono alimentati i suoi sensi di colpa nei confronti dell’organizzazione e le viene fatto credere di essere un tassello di un grande e imperscrutabile disegno cosmico o divino.
  4. Il mantenimento. All’adepto viene tolta ogni responsabilità (per evitare iniziative personali). È impegnato a lungo in attività fisiche ed è spesso privato del sonno. I suoi compagni di setta, opportunamente addestrati, gli ripetono giorno e notte che questa è la sua vera vita e non quella precedente. Se ha figli piccoli, la setta se ne può fare carico. Viene inoltre educato a un linguaggio criptico per evitare di essere compreso all’esterno. Ora è davvero in gabbia. Solo un evento particolare, un incontro fortuito, un libro «proibito» potrebbero riaprirgli gli occhi e consentirgli la fuga. Ma le conseguenze non sono sempre prevedibili.

di Michele Scozzai

Adesione al gruppo dei TdG: come e perchè

Negli ultimi anni si sta assistendo, nei paesi occidentali, al proliferare di nuove forme di culto. Anche nella cattolica Italia, esse sono in vorticoso aumento.

La maggior parte di questi nuovi gruppi incentra il proprio fulcro dottrinale sulla profezia dell’imminente fine del mondo, coincidente con la fine del secondo millennio.

Purtroppo, pur proponendosi ai propri adepti come unica fonte di salvezza, questi gruppi sempre più spesso sono coinvolti in episodi di cronaca nera. Qualcuno di voi certamente ricorderà che:

  • nel 1978, circa 900 seguaci, tra adulti e bambini, della setta Il Tempio del Popolo del reverendo Jim Jones, si suicidarono assumendo del cianuro a Jonestown, nella Guyana. Tra i suicidi vi furono lo stesso Jones, sua moglie e suo figlio;
  • nel 1986, nelle Filippine, 300 seguaci della setta dei Cristiani benevolenti, armati di coltello, assaltano il villaggio di S. Antonio, nell’isola di Mindanao. Vengono messi in fuga dalla polizia dopo uno scontro in cui 15 adepti rimangono uccisi;
  • nel 1993 a Waco, in Texas, dopo 51 giorni di assedio, 83 aderenti alla setta di Davidi Koresh morirono nell’incendio del deposito in cui si erano asserragliati, dopo l’assalto della polizia: qualche mese prima 4 poliziotti erano rimasti uccisi mentre indagavano sulla setta;
  • nel 1995, vengono ritrovati i corpi bruciati di 16 adepti della setta del Tempio del sole, in Francia. Essi erano sicuri di poter approdare, così facendo, alla Loggia Bianca della stella Sirio, allo scopo di raggiungere altri 51 confratelli, che alcuni mesi prima si erano suicidati con lo stesso metodo.

Casi come questi ed altri, che la cronaca ci riporta di tanto in tanto, rappresentano sicuramente casi estremi di una paranoia collettiva, ma sono sintomatici di quanto possa essere forte, in determinate condizioni, l’influenza di particolari forme di organizzazione sugli individui.

 

Si tratta quindi di casi estremi, ma è inevitabile a questo punto pensare ad altre notizie che sfortunatamente leggiamo sui giornali a proposito della morte di Testimoni di Geova a causa del rifiuto delle emotrasfusioni.

Ecco alcuni esempi tratti dalla stampa:

1. (La Sicilia, 15/6/90) Genitori rapiscono la loro bimba leucemica: A Londra una bambina di 2 anni, affetta da leucemia, è stata rapita dai suoi genitori entrambi TdG, dall’ospedale in cui era ricoverata, per evitare che fosse trasfusa. Tale atto è stato motivato soprattutto dalla dichiarazione di affidabilità della bambina effettuata dal giudice dei minori, affinchè fosse sottoposta alla terapia anche senza il consenso dei genitori.

2. (Trieste Oggi, 4/6/92) Lussino, muore dissanguata: Una bambina di 9 anni, Doris Glava, malata di leucemia milelinica, perde la vita perché sua madre, TdG, ha proibito ai medici di sottoporla alla trasfusione di sangue, che forse avrebbe potuto salvarla. Viene aperta un’inchiesta giudiziaria.

3. (Corriere della sera, 27/1/94) Geova, medici nei guai: a Messina un pensionato 65enne TdG perde la vita pur di non sottoporsi ad un intervento chirurgico e alla conseguente trasfusione sanguigna. La Magistratura mette sotto inchiesta i medici per non essersi opposti all’estrema volontà del paziente.

4. (La Repubblica, 30/12/98) No alla trasfusione, muore di parto: A Barletta morti madre e neonato a causa di una trasfusione di sangue rifiutata dal marito TdG.

Non è solo il problema del sangue ad aver preoccupato i TdG nell’arco della loro storia, ma anche l’accettazione o meno dei trapianti d’organo. Anche in questo caso, nei periodi in cui era bandita l’accettazione di organi altrui per volere divino, i TdG ne hanno tenuto fede ed hanno preferito perdere la vita!

Cosa hanno dunque in comune questi tragici fatti con le stragi che abbiamo evidenziato prima?

Sicuramente un suicidio collettivo dal punto di vista emotivo ci colpisce maggiormente per il numero dei morti nello stesso arco di tempo. Le morti dei TdG al contrario ci appaiono sporadiche.

Esiste un sito su Internet intitolato Memoriale delle vittime della Watchtower, dedicato a tutti i TdG che sono morti a causa dei decreti del CD a capo della Società Torre di Guardia, a proposito dei trapianti d’organo, delle vaccinazioni, trasfusioni e accettazioni di cure psichiatriche o psicologiche (che in quest’ultimo caso sono stati determinati da suicidi od omicidi per crolli depressivi).

I nomi delle vittime, elencate sul sito sono diversi, e ciascuno riporta una storia drammatica del soggetto deceduto.

 

Cosa spinge dunque un uomo ad affidare la propria vita ad gruppo? Che valore ha in questi casi la vita umana? Si parla tanto della proverbiale forze sovraumana che la madre esterna quando vede i suoi figli in difficoltà, cosa spinge dunque una madre a sacrificare le proprie creature in nome di una ‘fede’?

Perché dunque alcuni uomini si rinnegano al punto di far decidere ad altri come e quando devono morire?

 

Una ricerca da me realizzata sul gruppo dei TdG, che trova conferma in altri studi scientifici sul tema, ha evidenziato l’esistenza di una serie di tecniche di coinvolgimento utilizzate da questi gruppi organizzati per far proseliti e per far sì che essi restino fedeli per sempre alle regole del gruppo (Tecniche di persuasione tra i Testimoni di Geova, Città del Vaticano, 1998, p. 309).

Le tecniche di coinvolgimento non necessariamente prevedono modalità violente e fisiche, ma spesso sono sottili e incidono a livello psicologico di chi ne cade vittima.

Gli stessi TdG, fanno uno studio particolareggiato di queste tecniche, all’interno della scuola di Ministero Teocratico, al fine di far sempre più proseliti. Durante le ore di lezione, difatti, essi vengono seguiti da un Anziano ed acquisiscono le differenti di approccio attraverso simulazioni e giochi di ruolo.

I proclamatori poi sperimentano quanto hanno imparato, durante l’attività di servizio di porta in porta. Difatti, durante le loro visite, dopo aver appurato che l’individuo visitato è recettivo al messaggio del Regno, si prefiggono lo scopo di farlo diventare un nuovo proclamatore TdG, ovvero un nuovo venditore delle riviste Svegliatevi e Torre di Guardia: proprio quello che avviene nelle attività commerciali di multilivello!

Perché ciò possa accadere, è necessario demolire le sue vecchie credenze, i suoi vecchi schemi comportamentali, la sua vecchia personalità. Questo è sicuramente un processo graduale che si avvale di una serie di strategie. Ne elenco alcune:

  1. Stabilire un legame empatico. Ciò significa stabilire con la preda argomenti di condivisione, che tocchino la sua attuale situazione emotiva.
    Es. Esiste un libro a cui i TdG fanno riferimento per iniziare le conversazioni e/o rispondere alle eventuali obiezioni. Esso è Ragioniamo facendo uso delle Scritture.
    La coppia dei TdG alla nostra porta potrebbe quindi dirci: ‘Stiamo parlando con persone a cui interessa sapere come si possono affrontare in modo più efficace i problemi delle famiglie di oggi. Tutti cerchiamo di fare del nostro meglio, ma se ci fosse qualcosa in grado di aiutarci ad avere ancora più successo ci interesserebbe, non è vero?… La Bibbia ci pone dinanzi la speranza di un vero futuro per le nostre famiglie… (da Ragioniamo pag. 11).
    Con molta sicurezza ci sentiremo coinvolti da un simile argomento di discussione e daremo spazio alla loro propaganda.
  2. Levitare il suo grado tensionale allo scopo di creargli timore nei confronti del mondo esterno. Non è raro che al neofita vengano rivolte ingiunzioni di questo tipo:
    “Se vogliamo ricevere la vita eterna dobbiamo acquistare conoscenza di Dio, del suo Figlio e del suo Regno. Potete essere certi che Satana il Diavolo non vuole che acquistiate tale conoscenza e che farà di tutto ciò che è in suo potere per impedirvelo. Come? Un metodo è quello di fare in modo che incontriate opposizione, forse sottoforma di scherni. La Bibbia dice: – Tutti quelli che desiderano vivere in santa devozione unitamente a Cristo Gesù saranno anche perseguitati – (2 Timoteo 3:12) Può darsi che perfino intimi amici o parenti vi dicano che non sono d’accordo che voi esaminiate le Scritture. Gesù stesso avvertì: – In realtà, i nemici dell’uomo saranno quelli della sua propria casa. Chi ha più affetto per suo padre o madre che per me non è degno di me; e chi ha più affetto per figlio o figlia che per me non è degno di me (Matteo 10: 36, 37)” (da Potete vivere per sempre su una terra paradisiaca, pp.22-24).
    Risultato di questo martellamento è che molti si allontanino da amici e partenti che sono visti strumenti di Satana per deviarli dalla fede.
  3. Love bombing o bombardamento d’amore, rivolto a chi si affaccia per la prima volta nella Sala del Regno. Tutti si presentano al nuovo arrivato, gli offrono il posto più bello e la sedia più comoda, gli prestano la propria bibbia e la propria rivista di studio,… quando però qualcuno fuoriesce dal gruppo non viene neppure più salutato!
  4. Fargli credere che solo il gruppo lo ama e perciò incentivare la frequentazione. Al neofita viene fatto credere che solo il gruppo possiede la Verità, fuori c’è guerra, ingiustizia, malvagità, pertanto per mantenersi puri è bene frequentare quanto più è possibile i fratelli, da cui si può imparare molto per rimanere nella fede.
  5. Attribuirgli un ruolo; ognuno nel gruppo possiede il proprio ruolo (Anziano, Proclamatore, Sorvegliante, Usciere, …). Il riconoscimento di un ruolo, esaltato di tanto in tanto dai superiori, con i rispettivi diritti e doveri, fa vivere felici e tranquilli!
  6. Ripetere fino all’ossessione i discorsi a contenuti dottrinali
    “Qualsiasi vera trasformazione deve includere un rinnovamento radicale della mente. Come si può dunque rinnovare questa forza in modo da inclinare la propria mente? … gli scienziati spiegano che nel cervello le informazioni, sotto forma di segnali elettrici o chimici codificati, viaggiano da un neurone all’altro, attraverso molte giunzioni chiamate sinapsi … quando lo stesso segnale ripassa un’altra volta, la cellula nervosa lo riconosce e reagisce più rapidamente. Col tempo questo crea nell’individuo un nuovo modello di pensiero” (da La Torre di Guardia del 1° marzo 1993, p. 16, 17)
  7. Impegnarlo in uno studio sistematico dei libri della società: i TdG non studiano la Bibbia, come ci fanno credere, ma sono perennemente impegnati nello studio della rivista La Torre di Guardia, perché settimanalmente devono essere sottoposti ad interrogazioni collettive, su alcuni articoli imposti dal Corpo Direttivo (CD) a capo di tutti i TdG, e del libro di Congregazione, di volta in volta scelto dal CD.
  8. Limitare l’uso dell’informazione, visto che il mondo esterno è governato da Satana. Anche la stampa è strumento di Satana per deviare dalla Verità, quindi i TdG leggono esclusivamente quello che passa la Società Torre di Guardia.
  9. Indurre timore: chi trasgredisce sa che deve essere sottoposto ad un Comitato Giudiziario, presieduto da 3 Anziani di Congregazioni, che indagano sul presunto peccatore, senza che gli sia data la possibilità di difendersi.

 

Per i TdG di seconda generazione le modalità di indottrinamento sono più semplici, ma ugualmente distruttive.

Il bambino già piccolissimo viene sottoposto ad un programma di addestramento teocratico che include non solo l’assidua frequentazione di tutte le adunanze, ma lo studio a casa, con i propri genitori, di alcuni libri opportunamente scritti per lui (Ascoltate il grande insegnante; Il mio libro di racconti biblici). Quando egli sarà adolescente studierà Come ottenere il meglio dalla tua giovinezza e I giovani chiedono, …risposte pratiche alle loro domande. Ogni aspetto della sua vita sarà pianificato.

Riguardo alla frequentazione delle manifestazioni religiose dei TdG, i fuorusciti di seconda generazione denunciano l’insofferenza vissuta dal bambino nello stare fermo, per due ore, ad ascoltare argomenti che non sempre lo interessano, a rispondere alle domande durante lo studio della Torre di Guardia e a prendere appunti che poi a casa saranno controllati dai propri genitori, che vorranno verificare il suo grado di attenzione.

Per effettuare la mia ricerca ho assistito alle varie adunanze e alle assemblee. Le assemblee durano giornate intere, e durante la frequentazione di una di esse, ho potuto verificare come l’irrequietezza dei bambini piccolissimi, venisse punita in modo piuttosto severo, spesso fisicamente, perché ogni genitore deve dimostrare che la propria famiglia è estremamente attenta alle parole di Geova.

Tale educazione autoritaria viene incitata dalle stesse pubblicazioni della società affinché i propri figli diventino un giorno pionieri, missionari, o volontari alla Betel.

L’atteggiamento esigente dei genitori nei confronti dei loro figli, quindi, non corrisponde più ad un’accettazione delle loro potenzialità. Infatti tale modo coercitivo di educazione tende a ridurre al minimo l’espressione dei bisogni del minore. L’effetto è ravvisabile nei bambini più grandicelli della congregazione in cui ho effettuato la ricerca, che mostravano un atteggiamento mite, poco litigioso, ma nel contempo poco affettuoso e privo di curiosità, di iniziativa e di spontaneità. Essi sembravano aver investito il ruolo di adulti responsabili, con la loro copia della Bibbia e la valigetta di piccole dimensioni, proprio a loro misura.

Al contrario, i loro compagni di classe hanno evidenziato aspetti importanti nella loro interazione con gli stessi bambini TdG, quali la difficoltà a controllare i propri impulsi e la propria aggressività, probabilmente dovuti alla continua presa di coscienza dell’impossibilità di partecipare ad ogni momento dell’attività scolastica, com’è previsto dai dettami del CD, che possono minare il processo di crescita spirituale, e dalla visione negativa che egli stesso ha dei suoi compagni di classe, frutto del continuo indottrinamento.

Tutto ciò produce un senso di inadeguatezza nel bambino, che man mano si isola dai suoi compagni, finendo per essere ghettizzato.

Che fare dunque? Credo che tutti dobbiamo imparare ad essere consumatori oculati. Quindi quando ci viene proposto di aderire a qualsiasi gruppo, impariamo a fare domande sulla sua storia, dottrina, … e soprattutto soffermiamoci ad ascoltare i fuorusciti, i tanto nemici delle sette, per capire cosa li ha portati a venir fuori dal gruppo. Questa indagine ci porterà via un po’ di tempo, ma sicuramente sarà utile per preservarci da brutte sorprese.

18 Febbraio 1999

Dr.ssa Lorita Tinelli
Membro del G.R.I.S.
(Gruppo di Ricerca e di Informazione sulle Sette)
autrice del libro
Tecniche di persuasione tra i Testimoni di Geova,
Città del Vaticano, 1998, p. 309