Lorita Tinelli non ha mai stalkizzato Silvana Radoani. Archiviazione della denuncia

E finalmente oggi è stato messo un punto decisivo (speriamo) all’annoso tentativo da parte di Silvana Radoani di affibbiarmi addosso illeicità di ogni genere, tra cui quella di averla stalkizzata giuridicamente, cosa che davvero offende la mia dignità e reputazione, visto che mi occupo da anni di questo reato realmente agito sulle vittime, quelle vere. Una fantasiosa persecuzione che altri, anonimi e non, supportati da lei o non, hanno diffuso per anni a mio danno.

Un Giudice di Bari ha rigettato la sua opposizione alla già richiesta di archiviazione di un PM. Opposizione che è stata inoltrata quando, poco più di un anno fa, avevo proposto una remissione di querela alle parti, rimettendo anche le mie. Decisione presa, non perchè avessi dimenticato le ingiurie e le offese ricevute in maniera continuativa, per anni, ma perchè ho raggiunto la consapevolezza che la mia vita merita di più e che non prevede più la presenza di persone che hanno valori e che adottano metodi che distano anni luce dal mio mondo.

Dopo alcune pec interlocutorie con avvocati di controparte, che facevano intravedere l’accettazione della proposta di accordo di risoluzione bonaria da parte mia e del CeSAP, al mio rimettere le querele è continuata l’azione molesta e conflittuale da una unica parte. Azione che in questo caso ha portato alla sentenza che segue.

Dunque, in sintesi io non ho mai stalkizzato Silvana Radoani nè l’ho mai calunniata. Anzi, ho esercitato i miei diritti, difendendo l’onorabilità mia e del CeSAP da SUE azioni non lecite e questo a prescindere dagli esiti.

Spero a questo punto che le cose terminino qui e che chi ha sbagliato abbia la correttezza di rimediare ai danni fatti e che smetta di perpetrare con degli scritti infondati una palese, a questo punto, calunnia a mio danno (Il reato di calunnia, disciplinato dall’art. 368 c.p., si concretizza laddove un soggetto incolpi di un reato una persona di cui conosce l’innocenza, o simuli a carico di quest’ultima le tracce di un reato).

Clamorosa indagine contro gli pseudo-psicoterapeuti

L’Ordine degli Psicologi del Quebec è inondato di richieste di aiuto a seguito della denuncia dei danni causati dagli pseudo-psicoterapeuti in un programma televisivo.

Negli ultimi due mesi 100 nuovi casi sono stati segnalati all’Ordine, tre volte più del solito, per un periodo di uguale lunghezza. Questa esplosione ha superato tutte le aspettative del Presidente dell’Ordine, Rose- Marie Charest. “L’impatto è evidente. Siamo riusciti a convincere la gente a mettere in discussione la competenza delle persone che li visitano“, ha riferito con entusiasmo.

Rose- Marie Charest

La campagna intitolata “Non permettere a nessuno di entrare nella tua testa”  presenta un uomo goffo che rompe violentemente  e con nonchalance il contenuto di scaffali pieni di porcellana.

Non si può praticare la psicoterapia senza autorizzazione, questa attività è considerata “ad alto rischio“.  Il permesso è dato solo a pochi psicologi ed altri tecnici della salute mentale opportunamente formati. Tuttavia decine di amatori e ciarlatani continuano ad esercitare impunemente.

 

Gli investigatori

Nel mese di ottobre  300 pseudo-psicoterapeuti erano nel mirino dell’Ordine. Ora sono 400, di cui dai 40 agli 80 sono casi gravi che richiedono “misure forti ” e il supporto di nuovi investigatori. “Abbiamo dovuto formarli e mostrare loro come a mimare una persona in difficoltà , per dimostrare a cosa può andare in contro una persona malata che si relaziona ad un falso terapeuta“, spiega la Dottoressa Charest.

I nostri investigatori sono scioccati nel vedere come alcuni di essi si mostrano convincenti“, ha detto. “Essi scoprono che non è tanto il denaro che motiva queste persone, quanto il potere, il desiderio di esercitare la propria influenza sugli altri “.

Le indagini sono lunghe e costose, il primo procedimento penale non sarà probabilmente aperto prima di un paio di mesi.  Già dal 2012  l’Ordine degli Psicologi e quello dei Medici si lamentano di essere sopraffatti dalle richieste di aiuto  e chiedono l’assistenza del governo del Québec.

Nel frattempo  gli investigatori danno priorità ai casi “più inquietanti“, riferisce la signora Charest. “Se un giudice non impedisce ad alcune persone di esercitare quando i nostri ricercatori riportano loro quello che essi fanno, la legge non serve. Essa deve essere applicata“, dice.

Certo, le conseguenze di cattive terapie possono essere terribili. Nella  nostra indagine su larga scala  “Guru inc.”, pubblicata nel 2012, le vittime ci hanno raccontato di  come  i ciarlatani li avevano spinti sull’orlo del precipizio. Alcuni sono stati successivamente ammoniti dal Collegio degli Psicologi.

Annuario

Per aiutare il pubblico a navigare, l’Ordine ha aperto una directory sul sito votretête.ca. Essa indica chi è autorizzato a praticare e chi invece dovrebbero destare sospetti (in quanto promette risultati certi, parla di cosiddetti “poteri”, ecc.)

fonte: http://www.lapresse.ca/actualites/justice-et-affaires-criminelles/affaires-criminelles/201312/20/01-4722763-explosion-denquetes-contre-les-pseudo-psychotherapeutes.php

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Traduzione di Lorita Tinelli

Avvertenza: Questa traduzione non è stata realizzata da traduttori professionisti, pertanto ci scusiamo per eventuali errori.

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CTU/CTP: valutazione o terapia?

A seguito dell’introduzione da parte di alcuni Ordini dell’obbligo del titolo di psicoterapeuta quale requisito minimo per poter esercitare l’attività di CTU o di CTP, in particolar modo per l’ascolto del minore, vorrei proporre alcune riflessioni circa la relazione tra le finalità della CTU/CTP e le peculiarità del rapporto tra psicoterapeuta e suo cliente.

Innanzitutto è bene ricordare che nei vari Tribunali esistono degli albi specifici per l’iscrizione dei tecnici che intendono svolgere il ruolo, di ausiliari del giudice (CTU), della pg o consulenti delle parti (CTP) nella risoluzione di vertenze civili e penali presso i tribunali stessi.

L’iscrizione all’albo dei consulenti o periti avviene per mezzo di una domanda, cui si allega un curriculum formativo/esperenziale documentato, che si invia al Tribunale di competenza. La valutazione delle domande viene fatta da una commissione mista alla quale presiedono anche i referenti degli albi professionali dei professionisti la cui richiesta dev’essere valutata. A seguito dell’accettazione della domanda il professionista regolarizza la sua iscrizione con una quota in denaro prevista dai vari Tribunali.

Tenuto conto della presenza di tali Albi, Giudici, avvocati o Polizia Giudiziaria, nell’espletamento delle loro funzioni possono o meno attingere a tale albo per la consulenza del tecnico. Possono quindi avvalersi anche di esperti non presenti nell’albo o di tecnici anche iscritti ad albi di altri tribunali.

Le figure professionali dei consulenti tecnici sono previste dal Codice di Procedura Civile (Libro I – Disposizioni Generali – Capo III – Art. 61/64) e dal Codice di Procedura Penale (Libro III – Parte I – Prove – Titolo II – Mezzi di prova – Capo IV – Perizia – Art. 220/233).

Per quanto riguarda il CTU tecnicamente il suo rapporto con il giudice è regolamentato da alcuni articoli dei codici di procedura civile e penale. Per esempio l’articolo 61 del c.p.c. afferma che “quando e’ necessario, il giudice puo’ farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o piu’ consulenti di particolare competenza tecnica. La scelta dei consulenti tecnici deve essere normalmente fatta tra le persone iscritte in albi speciali formati a norma delle disposizioni di attuazione al presente codice. Articolo cosi’ sostituito dalla L. 14 luglio 1950, n. 581”.

L’articolo 62 offre le linee generali cui deve attenersi il Consulente, ovvero “il consulente compie le indagini che gli sono commesse dal giudice e fornisce, in udienza e in camera di consiglio, i chiarimenti che il giudice gli richiede a norma degli articoli 194 e seguenti, e degli articoli 441 e 463”.

All’atto della nomina il CTU presta giuramento in apposita udienza ed ha l’obbligo di cooperare con l’autorità giudiziaria.

Il CTP: “è una persona alla quale una parte in causa conferisce l’incarico peritale quale esperto in uno specifico settore ovvero competente del ramo tecnico/scientifico pertinente alla causa. Il CTP ha il compito, nell’interesse di una parte, di affiancare il CTU nell’espletamento del suo incarico e formulare osservazioni a supporto o critica del risultato al quale il perito del giudice sarà giunto.
Al contrario del consulente tecnico d’ufficio, il CTP non presta giuramento ed ha ampia facoltà di accettare, rifiutare o rimettere l’incarico in ogni tempo, altresì è esonerato dall’obbligo di cooperare con l’autorità giudiziaria ed ha libertà di atti e prestazioni che trova limite solo nel divieto di ostacolare illegittimamente l’attività del CTU
.” (Fonte: Wikipedia)

Le peculiarità del CTU e del CTP possono quindi essere così sintetizzate:

  1. l’operato dello psicologo forense o comunque del consulente tecnico è totalmente regolamentato dal codice, a differenza di qualsiasi altro contesto professionale.

  2. il consulente tecnico d’ufficio è solitamente definito come gli “occhi del giudice”, in quanto è il giudice stesso che nell’espletamento delle sue funzioni si avvale delle competenze e professionalità di un tecnico, al fine di avere un conforto scientifico nella sua decisione, rimanendo egli stesso il “peritus peritorum”

  3. Il CTP affianca, sostiene o suggerisce ipotesi alternative all’attività del CTU

  4. Le figure giuridiche hanno un’ampia libertà nello scegliere gli ausiliari tecnici utili al loro lavoro

Scopo del CTU, affiancato dalla presenza del CTP, quando quest’ultimo è nominato, è quello di rispondere in maniera puntuale e precisa ai quesiti che il giudice formula nell’udienza di conferimento dell’incarico e di relazionarne i risultati nell’elaborato peritale che prende il nome di Consulenza Tecnica d’Ufficio; può essere chiamato a “chiarimenti” (verbali o per iscritto) dal Tribunale (da http://it.wikipedia.org/wiki/Consulenza_giudiziale). Lo psicologo nel suo ruolo di consulente dovrà operare solo in funzione della domanda esposta dal Magistrato. Qualsiasi altro elemento “estraneo” al quesito non dovrà essere preso in considerazione. Il quesito rappresenta l’ambito processuale entro il quale l’esperto deve muoversi. Non solo, tale posizione è richiesta al Consulente anche nella sua funzione di ausiliario della PG (Polizia Giudiziaria).

L’accettazione dell’incarico da parte di un Giudice comporta un giuramento di rito nel quale il Consulente Giura di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere al giudice la verità”.

Quindi l’obiettivo del CTU, affiancato dal CTP, è quello di determinare in maniera, quanto più oggettiva possibile, la “verità”, sfrondandola tutto quanto desunto dal colloquio da ciò che può essere non rilevante ai fini del quesito del giudice o che non abbia sufficienti requisiti di prova scientifica o che pur essendo provati non siano in evidente relazione di causa ed oggetto con l’argomento di verifica. Inoltre il CTU dev’essere molto attento a non indurre alcun tipo di influenza nel soggetto di valutazione, tanto che esistono diversi testi scientifici che indicano la tipologia di domande da utilizzare in tali contesti di analisi, che non siano suggestive né tanto meno indirizzano verso risposte di tipo prevalentemente emotivo. In sostanza dev’essere attento a non intervenire nella relazione modificandone le possibili reazioni, rispetto a quella che è la testimonianza quanto più spontanea possibile del soggetto intervistato.

La Carta di Noto all’articolo 7 afferma che lo psicologo forense valuta attentamente il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte (art. 7 C.D.; art. 1 C.N.). Rende espliciti i modelli teorici di riferimento utilizzati (art. 1 C.N.) e, all’occorrenza, vaglia ed espone ipotesi interpretative alternative (art. 5 C.N.) esplicitando i limiti dei propri risultati (art. 7 C.D.). Evita altresì di esprimere opinioni personali non suffragate da valutazioni scientifiche. Nei casi di abuso intrafamiliare, qualora non possa valutare psicologicamente tutti i membri del contesto familiare (compreso il presunto abusante), deve denunciarne i limiti della propria indagine dando atto dei motivi di tale incompletezza (art. 3 C.N.).

L’obiettivo dello psicoterapeuta è quello di accogliere, aiutare e realizzare un progetto di sostegno e cura del soggetto di cui si sta occupando. Da questo punto di vista egli deve tener conto di tutti gli elementi espressi dal paziente, anche di quelli fantasiosi o onirici che vanno a determinare un suo quadro generale non necessariamente dell’effettivo vissuto, ma del suo sentire. D’altro canto nel suo modo di porsi nei confronti del suo paziente il terapeuta agisce offrendo una serie di stimoli, di ipotesi interpretative, miranti a ‘modificarne‘ lo stato al fine della sua ‘guarigione’.

Quindi mentre nel contesto giuridico allo psicologo non è consentito di entrare nel soggetto, ma di porsi dinnanzi al soggetto, al fine, non di prestare aiuto, ma di comprendere come sono andate le cose su cui si sta indagando, allo psicologo con ruolo di terapeuta, tutto questo non solo è consentito, ma assolutamente necessario nell’espletamento del suo intervento.

Da quanto sin qui emerso il CTU/CTP ha un doppio mandato: se da una parte il suo interesse è rivolto al soggetto che andrà ad esaminare, dall’altra egli ha l’obbligo di riferire all’unico suo committente (giudice, PG o parte che sia) quello che emerge dal colloquio, al fine di aiutare proprio quest’ultimo nelle proprie attività di indagini o di decisione finale).

Altra differenza importante tra l’ambito clinico/psicoterapeutico e quello forense risiede nel concetto di valutazione: difatti i concetti di “valutazione clinica” e “valutazione in ambito forense” implicano nel piano pratico tipi di relazione e di setting in cui si opera e tipi di metodologia utilizzata completamente differenti.

Il ruolo dello psicologo nella CTU/CTP. è quello di stimare o di valutare un danno indotto in un soggetto e non quello di fare il clinico, di offrire sostegno o di improntare un trattamento terapeutico.

Per fare un esempio un consulente nominato in qualità di ausiliare di PG nell’espletare un colloquio con minore che ha subìto un presunto abuso, ha il compito di raccogliere la storia, di valutare il danno riportato e quindi anche la sua entità su quel soggetto, ma sicuramente non ha il compito di prendersene cura.

Le due figure professionali hanno quindi diversi quesiti, doveri, percorsi formativi, nonché diverse competenze e conoscenze.

Proprio per questa diversità di approccio e di forma mentis uno psicoterapeuta può incontrare difficoltà nell’eventuale espletamento di un incarico peritale ma può anche costituire un impedimento alla rilevazione della verità richiestagli dal suo committente.

Non solo, la stessa Carta di Noto ci pone una importante riflessione sull’incompatibilità tra approccio psicoterapeutico e valutazione di tipo forense, difatti all’articolo 16 afferma che i ruoli dell’esperto nel procedimento penale e dello psicoterapeuta sono incompatibili (art. 26 C.D.; art. 10 C.N.) L’alleanza terapeutica, che è la caratteristica relazionale che domina la realtà psicoterapeutica, è incompatibile col distacco che il perito e il consulente tecnico devono mantenere nel processo. Per questo, chi ha o abbia avuto in psicoterapia una delle parti del processo o un bambino di cui si tratta nel processo o un suo parente, o abbia altre implicazioni che potrebbero comprometterne l’obiettività (art. 26/2, art. 28/1 C.D.) si astiene dall’assumere ruoli di carattere formale. Lo psicologo che esercita un ruolo peritale non svolge nel contempo nei confronti delle persone diagnosticate attività diverse come, per esempio, quelle di mediazione o di psicoterapia. Egli, con il consenso dell’avente diritto, potrà semmai, in quanto testimone, offrire il suo contributo agli accertamenti processuali (art. 12 C.D.). Durante il corso della valutazione processuale, lo psicologo forense non può accettare di incontrare come cliente per una terapia nessuno di coloro che sono coinvolti nel processo di diagnosi giudiziaria (art. 10 C.N.).

Alla luce di tali considerazioni pare quantomeno forzato se non controproducente imporre al CTU il requisito di psicoterapeuta, data la diversa forma mentis che i due tipi di ruolo e di approccio necessitano. Ancora di più appare poco chiara la posizione assunta dall’Ordine degli Psicologi del Lazio di istituire un albo specifico, quello dei CTP che non ha ragione di esistere, perchè ne esiste già uno, quello dei consulenti che assumono di volta in volta ruoli diversi e che può essere ampliato con nuove domande. Ma soprattutto appare strana la pretesa di far formare i futuri psicologi forensi in un settore poco utile a quello richiesto in ambito giuridico. Un giovane laureato che ha intenzione di svolgere il lavoro di psicologo forense ha oggi la possibilità di frequentare master o corsi di alta formazione specializzati nel settore psicologico-giuridico per ’acquisizione di competenze teoriche, metodologiche e tecniche di base necessarie per svolgere convenientemente la consulenza psicologica in situazioni di carattere conflittuale per cui è stato previsto un procedimento giudiziario. Che senso ha dunque imporgli la frequentazione di un percorso lungo, costoso e le cui competenze non gli saranno necessarie per l’altro ambito in cui andrà a operare?

Altra cosa incomprensibile è creare un albo di CTP che accettano il gratuito patrocinio. Questa concessione diffusa presso l’ordine degli avvocati, presuppone, nell’ambito dello stesso ordine, uno speciale albo di avvocati che accettano tale possibilità, ma, nel loro caso, non è disposta dall’ordine una speciale specializzazione. L’avvocato che sia penalista, civilista, matrimonialista o altro, può scegliere di offrire questa possibilità a prescindere dalla sua specializzazione, in tal caso hanno la possibilità di far risultare nella stessa posizione anche il tecnico che li assiste nel procedimento, facendo esplicita richiesta al tribunale.

Dr.ssa Lorita Tinelli

Psicologa
CTU Trib. di Bari n. 29

Fonte: AltraPsicologia

Benessere organizzativo e relazioni interpersonali

Abstract

La presente ricerca si colloca nell’ambito del progetto sviluppato dal CeSAP (1) dedicato alla prevenzione dei rischi per la salute psicologica nei contesti lavorativi, intitolato “Benessere organizzativo e relazioni interpersonali”. Partendo dalla considerazione che l’ambiente lavorativo è un luogo in cui s’instaurano relazioni tra individui e dove tali relazioni esercitano un’influenza sui risultati dell’intera organizzazione, l’obiettivo generale del progetto è stato quello di osservare il grado e la qualità del benessere organizzativo in diversi ambiti lavorativi: una struttura ospedaliera pubblica di medie/grandi dimensioni; un comune di 20.000 persone; due aziende a direzione privata di piccole dimensioni.I dati raccolti hanno individuato aspetti che contribuiscono a delineare il clima organizzativo e hanno evidenziato aree di miglioramento in cui poter intervenire per accrescere la qualità delle relazioni interpersonali.

Ricerca a cura delle Dr.sse Lorita Tinelli, Antonella Bianco, Maria Antonietta Impedovo

n. 3 Notiziario dell’Ordine degli Psicologi della Puglia (Dicembre 2010)

pp. 42-49

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(1) Il CeSAP è un’associazione che opera dal 1999 su territorio nazionale, occupandosi dello studio degli indicatori dell’abuso psicologico e di fornire sostegno psicologico e giuridico alle vittime di abuso. E’ costituita prevalentemente da psicologi di diverso orientamento e avvocati. Sito: http://www.cesap.net

Convegno Ordine Psicologi Puglia: Il mobbing