Sfatare i miti. Alcune idee sbagliate comuni circa i culti e le loro vittime

di Paul R. Martin, Ph.D.

Per più di sette anni Jennifer è stata una missionaria di successo, rispettata dalla organizzazione religiosa cui apparteneva.

Ritornando negli Stati Uniti ancora da fedele servitore della Parola di Dio, si è unita a quella che sembrava essere una buona Chiesa Evangelica. A poco a poco lei e il resto della chiesa sono stati profondamente coinvolti dal carisma del Pastore. Nel corso del tempo lei ha cominciato a credere e mettere in pratica le cose che in precedenza sarebbero state moralmente impensabili per lei. Nonostante affermasse di essere felice, dentro di sé era piena di ansia, sensi di colpa e paura.
Eppure, nessuna pressione persuasiva avrebbe potuto convincerla che il suo gruppo era nell’errore.

E’ letteralmente accaduto un miracolo perchè Jennifer visualizzasse gli errori dell’insegnamento distorto della sua chiesa riversate sulle relazioni e sulla crescita spirituale.

Anche se ora va molto meglio, ella è al suo secondo anno di terapia con un consulente cristiano. E probabilmente ci vorrà un po’ di tempo ancora per rielaborare, attraverso questa consulenza, quello che questa cosiddetta “chiesa” ha fatto a lei e ad altri membri di quella congregazione.

Randy, al secondo anno in una importante università del Midwest, un vero cristiano convertito, ha cercato qualcosa di più entusiasmante per raggiungere il Signore. Dopo aver trovato la “chiesa perfetta” Randy è stato piuttosto felice e soddisfatto per qualche tempo. Poi si è innamorato di una delle donne nella chiesa. C’era solo un problema: la sua chiesa proibiva la relazione. E’ stata scandagliata tutta la vita di Randy, i suoi incontri occasionali e cosa era accaduto con questa ragazza – tale frequentazione è stata considerata dagli Anziani [ministri della congregazione] come disobbedienza e fazione e per questo egli è stato scomunicato.

L’esperienza l’ha talmente stordito che la sua vita non è stata più la stessa. Randy rispettava gli Anziani  e così ha accettato come vere le accuse di fazione e di avere un cuore malvagio. Anche se ha cercato di fare ammenda con la congregazione non gli è mai sembrato di essere in grado di soddisfare gli Anziani.

Per una decina d’anni Randy è rimasto un emarginato e ha creduto di essere un emarginato da Dio. Ogni tentativo di lavorare o tornare a scuola è stato di breve durata. E’ stato perseguitato da sentimenti di rifiuto. In preda alla disperazione i suoi genitori hanno cercato molte forme di aiuto. Anche per alcuni dei migliori psichiatri del paese era difficile curare il danno prodotto da questa esperienza. Da uomo di mezza età, Randy ancora lotta con la confusione, la disperazione, l’incertezza occupazionale e le difficoltà relazionali.

Michael era figlio di un predicatore, cresciuto in una bella casa evangelica. Ha frequentato una scuola cristiana e il college. Era ben adattato, solare ed energico e aveva un profondo desiderio di conoscere Dio e servirlo pienamente. Si è unito ad un gruppo che mirava a evangelizzare secondo il messaggio di Cristo l’intero mondo nell’arco di una generazione. Michael è diventato un leader nell’ambito del gruppo, ma lentamente si è reso conto dell’ipocrisia personale nel leader nazionale, così come di un crescente spirito di élitarismo. I metodi erano diventati più importanti del messaggio.
In qualche modo Michael non poteva fare abbastanza per compiacere il capo. Mentre lavorava nel gruppo, spesso per diciotto ore al giorno per lo studio della Bibbia, per l’evangelizzazione, l’insegnamento e la consulenza, non riusciva a sedare il persistente pensiero di avere uno “spirito tiepido” o di non essere del tutto “preso dal Signore“. Alla fine ha lasciato il gruppo, ma ha continuato ad avere la mente impostata secondo le dinamiche del gruppo. Ci sono voluti anni per superare il suo senso di colpa derivato dal vivere uno stile di vita meno radicale e per non aver raggiunto l’obiettivo di evangelizzazione del mondo. Avrebbe potuto chiedere un aiuto professionale, ma non sapeva che ne aveva bisogno. Egli avrebbe rifiutato tale aiuto, anche se gli fosse stato offerto, perchè si rimproverava per la spirale emotiva e spirituale in cui era caduto. La sua rielaborazione dell’esperienza è avvenuta attraverso due mezzi:

  1. parlando con altri, che delusi in modo simile da questi gruppi, li avevano lasciati, e avevano continuato fuori il loro percorso di vita, e

  2. con la riscoperta del Vangelo e della grazia incondizionata di Dio.

 

Sorprendentemente Jennifer e Randy hanno sperimentato gli stessi sintomi della disillusione, depressione, confusione e disperazione, come molti dei giovani che una volta erano stati prigionieri in ben noti culti.

Ma come può essere? Queste due persone sono state coinvolte da gruppi che si professano cristiani. Purtroppo ci sono tanti casi come questi che i Pastori e i Consulenti (compreso il sottoscritto, psicologo abilitato), non possono ignorare.

Nel mio caso, sono stato lento nell’affrontare e riconoscere il problema, perché – come molti altri – ho accettato alcune ipotesi errate del fenomeno dei culti. Questi assunti effettivamente hanno creato un senso di rifiuto in me relativo a queste persone sofferenti. In questo articolo voglio soffermarmi su questi miti ampiamente accettati in materia di coinvolgimento in un culto.

Mito n. 1

Gli ex membri di culti non hanno problemi psicologici. I loro problemi sono prevalentemente di carattere spirituale.

Questo mito è simile a un errore comunemente commesso dai sostenitori del Vangelo che affermano che solo chi è fedele e obbediente a Dio otterrà “salute e benessere“. Pertanto, qualsiasi problema nella propria vita si presume che sia causa di disobbedienza, di fede insufficiente o di mancanza di fedeltà.

Molti ex membri continuano a credere a questo mito anche molto tempo dopo la loro fuoruscita dal gruppo. Sebbene spesso questo mito sia presente sia tra i cristiani che tra gli ex membri di sette, esso non ha alcun fondamento nella realtà. Come risultato da una vasta ricerca su circa 3.000 ex membri di sette realizzata dalla Dr.ssa Margaret Singer, casi significativi di depressione, solitudine, ansia, scarsa autostima, eccessiva dipendenza, confusione, incapacità di concentrarsi, lamentele somatiche e, a volte, psicosi, sono molto frequenti. [1].

Oltre alla ricerca autorevole della Singer, ci sono numerosi articoli e libri che descrivono il disagio psicologico degli ex. (Molti dei risultati di questa tesi saranno riportati nel corpo di questo articolo.

La mia esperienza ha prodotto i medesimi risultati della Dr.ssa Singer.

Lori (una ragazza che ho trattato dopo che lei aveva lasciato un bislacco gruppo religioso) presenta un tipico esempio di eccessiva dipendenza e di insicurezza di un ex cultista. Lei mi faceva domande del tipo: “Va bene mangiare cereali freddi per la prima colazione?“, “Posso ascoltare la radio?” Era come se Lori fosse una bambina che necessitava di approvazione e di orientamento per ogni sua scelta. La sua risposta alla ricezione di autorizzazione di mangiare cereali freddi e ascoltare la radio sembrava gioiosa quasi più della meraviglia e dell’emozione che i bambini provano la mattina di Natale.

Debbie, un altro ex cliente, è un tipico esempio di qualcuno che soffre di depressione. Lasciare il suo gruppo e l’atletica è stato per lui come far morire la sua anima. Le due cose più preziose della sua vita erano ormai perse: il gruppo e la sua passione per l’atletica. La perdita era chiaramente evidente in lui dalla inespressività del suo volto. La sua vita a quel punto era solo una questione di passare attraverso i movimenti della vita. A poco a poco Debbie ha cominciato a percepire che l’atletica non era “peccaminosa“, dopo tutto. Più vedeva la possibilità di vita al di fuori del culto che aveva frequentato, più si sentiva rigenerato e la cosa cominciava a trasparire dal suo viso. Tuttavia, non è stato facile aiutare Debbie. Era come un animale ferito, aveva paura che qualcuno venisse a rinchiuderlo. Ci sono voluti un sacco di cure compassionevoli prima che fosse in grado di fidarsi ancora.

I professionisti della salute mentale sostengono la prima parte del mito n. 1.

Pur non approvando l’appartenenza al culto, il Dr. Saul Levine, capo del dipartimento di psichiatria alla Sunnybrook Medical Center di Toronto, afferma che l’esperienza [nei culti- ndt] può essere “terapeutica” e che “una notevole maggioranza di individui non è stata danneggiata [nei culti- ndt]”. [2]

Anche se non metto del tutto in dubbio i risultati di Levine, mi preoccupa che egli scrisse il suo documento dopo (e nonostante) gli orrori di Jonestown. Egli non fa alcun riferimento alle innumerevoli storie di dolore riferite da migliaia di ex membri.

Gran parte della differenza tra i risultati di Levine e quelli dei ricercatori che riconoscono i problemi degli fuorusciti dalle sette, potrebbe essere dovuta alle popolazioni campionate. Levine ha studiato persone che erano state in genere in gruppi settari per brevi periodi e che si offrivano volontariamente per essere intervistate. Contrariamente i membri di sette “utopistiche” o separatiste non si prestano volontariamente a parlare con uno psichiatra, a meno che non stanno avendo seri dubbi sul gruppo. La paura delle reazioni degli altri membri e il senso di colpa – così come la sfiducia verso la professione dello psichiatrica – sono forse un ostacolo troppo grande. Inoltre, Levine ha ammesso che anche il suo campione di cultisti sperimentavano un “grave sconvolgimento emotivo nei primi mesi” dopo il ritorno a casa. [3]

I ricercatori che hanno evidenziato dei problemi di solito si sono occupati delle persone che sono fuoruscite dai gruppi da sole, o alle quali è stato
consigliato di uscire, o che sono state cancellate dai programmi del gruppo e che loro hanno aiutato.

In questi casi i problemi erano reali e le ferite molto evidenti. I ricercatori, tuttavia, non hanno risolto la questione della percentuale di persone che in
questi gruppi subiscono danni psicologici. Né hanno dimostrato che tipo di personalità possa essere negativamente influenzata dal coinvolgimento cultuale.

Levine sostiene inoltre che il “danno” subito dal coinvolgimento al culto può essere dovuto al processo traumatico della deprogrammazione.

Tuttavia, nella mia ricerca con gli ex membri non ho trovato nessuna statistica differenza tra coloro che sono stati involontariamente liberati dai culti e quelli che hanno lasciato il gruppo in maniera del tutto volontaria. Infatti, il punteggio medio nelle scale cliniche per il gruppo volontario era in realtà superiore a quello dell’altro gruppo.
Per quanto riguarda i problemi spirituali incontrati dai cultisti, è vero che questi sono spesso presenti in aggiunta al disagio emotivo. Questi problemi spirituali, tuttavia, in genere hanno origine con gli insegnamenti biblici del gruppo, piuttosto che nel proprio rapporto del singolo con Dio. La mia esperienza ha evidenziato che quasi tutti gli ex membri di sette religiose o sette estremiste (compresi quelli che sostengono di essere evangelici) sono confusi su argomenti come la grazia di Dio, la natura di Dio, la sottomissione all’autorità e l’abnegazione. È degno di nota che i gruppi con posizioni diverse di tipo dottrinale uniformemente tendono a modificare la grazia di Dio e il carattere.

Mito n. 2

Gli ex membri di un culto hanno disturbi psicologici. Ma queste persone provengono da culti non cristiani.

Il Mito n. 2 assume uno dei due concetti come vero. In primo luogo si può presumere che non sono veri cristiani coloro che hanno problemi psicologici. Tuttavia, molti teologi cristiani ben noti e psicologi sono in accordo quando affermano che i veri cristiani soffrono psicologicamente.

Il Dr. Francis Schaeffer A, per esempio, ha scritto: “Cerchiamo di essere chiari su questo. Tutti gli uomini, dopo la fuoruscita, hanno avuto alcuni problemi psicologici”.

Il Mito n. 2 è un assoluto un nonsense, un romanticismo che non ha nulla a che fare con il cristianesimo biblico, questo per dire che non è chi ha problemi psicologici a non è mai stato un vero cristiano. Tutti gli uomini possono avere  problemi psicologici. Essi differiscono in misura, e differiscono per tipo, ma dopo una ‘caduta’ tutti gli uomini hanno più o meno un problema psicologico. E ha a che fare con questa esperienza anche chi segue il Vangelo ed è in sintonia con la fede nel Calvario di Cristo sulla Croce. Chi può conoscere perfettamente l’uomo ora? Ciò è vero sia nei momenti migliori che quando le tempeste irrompono su di noi, dato che le brutte vicende capitano a tutti, anche ai cristiani.[4]
In secondo luogo, il Mito n. 2 fa presumere che esistono solo i culti non cristiani. E tuttavia la mia esperienza personale (che è stata confermata dalla considerevole ricerca di altri) è che alcuni gruppi cristiani sono settari nella pratica. Stando così le cose, i gruppi cristiani abusanti possono, e spesso lo fanno, esacerbare preesistenti disturbi psicologici della personalità dell’individuo, nella famiglia, nell’occupazione, ecc, e possono anche produrre tali disturbi in soggetti cui non erano già presenti prima dell’esperienza gruppale. [5]

Una serie di studi recenti hanno dimostrato che problemi psicologici sono sperimentati dai membri, in entrambi i gruppi, sia quelli basati sulla Bibbia (anche quelli dottrinalmente ortodossi) sia nei gruppi che non si fondano sulla loro dottrina sulla Bibbia. Infatti, i problemi psicologici sono simili. Flavil R. Yeakley, Jr., riferisce che un certo tipo di gruppo induce una distorsione della personalità e induce al senso di colpa, bassa autostima, frustrazione, depressione, problemi emotivi gravi, un’eccessiva dipendenza e comportamenti irrazionali, problematiche tipicamente presenti anche in un certo numero di organizzazioni religiose ben note. [6]
Tra i gruppi da lui studiati, i seguenti hanno evidenziato segni obiettivamente misurabili di distorsione della personalità: la Chiesa di Cristo di Boston (ora nota come la Chiesa Internazionale di Cristo), la Chiesa di Scientology, gli Hare Krishna, Maranatha Campus Ministries (ora disciolto come movimento), i Bambini di Dio (ora denominato come La Famiglia), la Chiesa dell’Unificazione, e The Way International.
Maranatha e la Chiesa di Cristo di Boston sono chiaramente movimenti basati sul ministero della Bibbia. Maranatha era una setta carismatica fondamentalista ( sosteneva il “dominio” o “Teologia del Regno”) che è stata spesso criticata per i suoi eccessi autoritari, tra le altre cose. Allo stesso modo, la Chiesa di Boston di Cristo e della sue molte Chiese sorelle in tutti gli Stati Uniti e all’estero, sono state aspramente criticate per l’autoritarismo e per le tecniche di persuasione coercitiva utilizzate all’interno. Entrambi questi gruppi conterrebbero membri “di seconda generazione”.

Quello che è allarmante di questi risultati è che i gruppi che sono per lo meno marginalmente cristiani producono danni psicologici molto simili a quelli prodotti da gruppi non basati sulla Bibbia. Tutti questi gruppi plasmano la personalità dei loro membri in una personalità complessa che include il grado di giudizio (cioè, una valutazione del mondo in termini di giudizi di valore) e l’estroversione. Ma non tutte le persone sono per natura estroversi o giudicanti.
Alcune persone sono per natura introversi e capaci di vari spettri percettivi (ad esempio, vi sono quelli che si riferiscono al mondo in modo più descrittivo, senza aver bisogno di trarre conclusioni sulla base della loro osservazioni). Modifcando il tipo di personalità, il danno viene occultato sotto forma di nevrosi e di altre difficoltà emotive.

Yeakley ha testato anche membri delle chiese storiche di denominazione Cristiana, così come i membri della Chiesa Cattolica, quella Battista, Luterana, Metodista e Presbiteriana. In questi gruppi, non ha trovato alcuna prova di distorsione indotta dal gruppo sulla personalità e che porterebbe a stress psicologico.
Purtroppo, l’ortodossia di per sé, non offre alcuna garanzia che non si verifichino danni.

La mia ricerca (su diverse centinaia di ex membri di sette e circa 50 su base intensiva totale di circa 2.000 ore) indica che la gravità dei problemi sofferti da coloro che sono nelle sette estremiste evangeliche può essere uguale o maggiore di quella sperimentata dai membri dei più noti culti. [7]

Mito n. 3

Entrambi i gruppi cristiani e non cristiani sono in grado di produrre problemi, ma tutte le persone coinvolte devono aver avuto qualche precedente problema psicologico che è emerso indipendentemente dall’esperienza nel gruppo cui ha aderito.

Ho incontrato questo mito regolarmente sia tra gli psicologi cristiani che tra quelli laici. Ho il sospetto che gli faranno presto raggiungere uno stato di immortalità. Sembra che nessuna quantità di prove contraddittorie possa convincere che alcune persone “normali” possano essere coinvolte in questi gruppi. A volte, mi capita di ricordare ai miei colleghi che la Germania nazista aiuta a sfatare questo mito dal loro modo di pensare. Chiedo, “Se tutti quei tedeschi che soffrono di patologia individuale sono stati resi vulnerabili dalla religione nazista“. Oppure chiedo loro: “Come accade con l’Iran e la Ayatollah? I malati sono tutti i suoi seguaci fanatici o erano persone abbastanza normali,  diventati fanatici e malati a causa di averlo seguito?

Ci sono più di alcune vicende della storia che sottolineano la falsità del mito n. 3.

La mia ricerca clinica, insieme a una serie di altri studi, dimostra che non tutti i membri di una setta avevano prima problemi psicologici. Infatti, la percentuale di persone con problemi precedenti (circa 1/3) rispetto a quelli senza è solo leggermente superiore alla popolazione generale (circa 1/4).

Levine, Cantante, Maron, Clark, e Goldberg & Goldberg hanno dimostrato, in studi separati, che la famiglia o comunque i fattori psicologici preesistenti non necessariamente sono fattori che possono preventivare chi finirà in un culto. [8], naturalmente, le loro scoperte riguardanti chi aderisce ai culti sarebbero in linea con le dinamiche della vita sociale di movimenti di grandi dimensioni come quelli nazisti, dei musulmani fanatici, o dello stesso comunismo.

In poche parole, la psicopatologia non riesce adeguatamente a spiegare i fenomeni dei grandi movimenti di massa fanatici. Tuttavia ci sono alcune variabili che ci aiutano a prevedere chi entrerà a far parte di una setta o di gruppo cultuale.

Cantante, Maron e una serie di altri ricercatori hanno evidenziato questi fattori, alcuni dei quali sono:

1) un evento stressante nel corso dell’ultimo anno,

2)una fase di transizione nella vita (tra la famiglia e l’indipendenza, tra la scuola e la carriera, o a livello affettivo-relazionale),

3)il desiderio di far parte di una comunità e di ricevere un accudimento amicale

4) il desiderio di servire una grande causa e di essere parte di un movimento che cambierà la società.

Ora, per coloro che hanno pre-esistenti problemi, la vita cultuale può essere estremamente pericolosa. Almeno su questo la maggior parte dei ricercatori sembra aver trovato un punto di accordo sostanziale. In questi casi il convolgimento con il culto può produrre la dissociazione, l’incapacità di pensare o concentrarsi, psicosi, allucinazioni o suggestionabilità estrema. [9] Tuttavia, la struttura intensa della vita cultuale porta spesso alla instabilità emotiva tanto da far visualizzare i culti come fossero paradisi. Il regime severo e lo stile di vita fornito dal culto possono dare loro la struttura esterna e i controlli che essi non hanno in se stessi. Quando queste persone lasciano il loro culto vi è una buona probabilità che alla fine ritornano in quella struttura. [10]

La prognosi per queste persone non è incoraggiante.

Mito n. 4

Mentre i non credenti normali possono essere coinvolti dai culti, i credenti di convertiti successivamente non lo faranno. E anche se l’hanno fatto, il loro coinvolgimento non sarà di tipo negativo.

Il Mito n. 4 è forse il più pericoloso di tutti, perché rende difficoltosa l’attività di aiuto. E’ anche un vecchio mito, ed è stato contestato fin dai tempi dell’Antico Testamento. Ezechiele ha avvertito che le pecore di Dio avrebbero potuto essere sfruttate dai pastori malvagi (Ezechiele 34:1-7). A questo proposito, S. Agostino ha detto: “I difetti delle pecore sono molto diffusi. Ci sono pochissime pecore sane e sono pochi coloro che sono solidamente nutriti con il cibo della verità, e pochi che godono i buoni pascoli di Dio. Ma i pastori malvagi non risparmiano tali pecore. Non è sufficiente che trascurino quelle che sono malate e deboli, quelle che vanno fuori strada e si perdono. Hanno anche provato, per quanto è in loro potere, di uccidere il forte e sano“[11]

Quindi è ovvio che le pecore di Dio possono essere danneggiate da cattivi pastori, e esempi più evidenti di “Pastori malvagi” ci vengono dati dai leader di culti distruttivi e aberranti dal punto di vista religioso.

Il Mito n. 4 è particolarmente pericoloso per la comunità cristiana, perché ignora il fatto, sottolineato da diversi osservatori di culti cristiani, che una parte consistente di coloro che sono coinvolti in sette o gruppi estremisti proviene da un certo tipo di chiesa evangelica di base. [12]

Con i cultisti ho personalmente lavorato, circa il 25% di loro proveniva da chiese evangeliche o fondamentaliste e oltre il 40% avevano un passato in grandi denominazioni protestanti più liberali.

Mito n. 5

I cristiani possono e devono essere coinvolti in questi gruppi aberranti e possono farsi male emotivamente. Ma tutto ciò di cui hanno realmente bisogno è di un buon insegnamento della Bibbia, di una calorosa amicizia cristiana e della cura che andrà bene per loro.


C’è sicuramente un sacco di verità in questa affermazione. Purtroppo, le mezze verità sono spesso la peggior forma di errore.

Il Mito n. 5 è falso per i seguenti motivi: in primo luogo molte persone che hanno lasciato i culti non vogliono più seguire l’insegnamento della Bibbia e l’insegnamento o il concetto di fratellanza cristiana. [13] Essi sono “prima scottati e successivamente intimiditi.”

In secondo luogo, un  sondaggio del 1986 su circa 300 ex membri di sette, effettuato da Conway e Siegelman, ha evidenziato che le attività essenziali per la riabilitazione sono le seguenti:

1) l’amore e il sostegno dei genitori e familiari – 64%
2) la comprensione e il sostegno di ex membri – 59%
3) la consulenza di un professionista della salute mentale – 14%
4) un’azione giuridica per recuperare i soldi persi, beni, ecc – 9%
5) il ritorno a scuola o all’università – 25%
6) trovare un lavoro e che istituisce una nuova carriera – 36%
7) aiutare gli altri a fuoruscire o recuperare serenità dai culti – 39%
8) stabilire nuovi amicizie con estranei ai culti – 50%
9) stare più lontano possibile dai culti – 29% [14]

Anche se molti membri dei gruppi estremisti cristiani tornano a chiese evangeliche, spesso continuano a soffrire. Questi membri tenderanno a cercare una chiesa che è molto simile a quella che hanno lasciato. Tali persone hanno lasciato il primo gruppo perché erano stati delusi da esso e / o incapaci di soddisfare le sue esigenze, ma credono ancora a molti dei suoi principi. [15]
Per questo la vita delle persone può diventare un incubo – sono caduti, hanno lasciato “la pupilla degli occhi di Dio“, perché sono stati, nei loro propri termini, “troppo carnali” o “troppo mondani” per tenere il passo nel gruppo. Il rigore della vita cultuale aveva prodotto in loro tutti i sintomi del burnout: uno stato di avanzato esaurimento spirituale, mentale, emotivo e fisico. Eppure, nelle loro menti il ​​mondo è spiegato così totalmente in termini teologici che non possono neppure concepire un qualsiasi termine, come burnout. Invece hanno erroneamente concluso che non erano spirituali abbastanza, che non sono riusciti e che Dio in qualche modo li ha respinti.
Purtroppo non mi capita spesso di vedere queste persone, di solito alcuni amici mi parlano di loro. Questi ex membri provano troppa vergogna nel tornare al gruppo cultuale, temendo solo di fallire di nuovo. Essi continuano a credere alla visione del mondo del culto e si impegnano in una chiesa locale, nella speranza di sostituire ciò che hanno perso nel lasciare il gruppo. Queste persone hanno bisogno di aiuto e, sospetto, ci siano diverse centinaia di migliaia di loro.
Altri ancora che hanno lasciato un culto spesso presentano difficoltà a legarsi ad un altro gruppo. Vogliono essere coinvolti in nuovi gruppi, amici e in una nuova organizzazione religiosa. Eppure spesso si lamentano, “ho paura di essere manipolato, che mi venga detto che cosa fare tutto il tempo “, oppure” Non so se mi posso fidare di nuovo del leader della chiesa“, o “Ho paura che se mi fido sarò rifiutato di nuovo.”

Forse la maggior parte di questi ex-membri di gruppi estremisti vorrebbe andare avanti con la propria vita cristiana, ma non è in grado di leggere parti della Bibbia senza associare ad esse emozioni negative.

Versi come “Colui che mi segue deve prima di tutto rinnegare se stesso …” ora producono forti reazioni negli ex-membri.

Esortazioni scritturali di “dimenticare … cosa c’è dietro“, o “abbandonarsi all’insegnamento” producono confusione e risentimento.

Gli ex membri di gruppi si chiedono: “Dove è il confine? Dove si trova l’equilibrio in tutti questi comandi?” A volte, quando un ex membro sente qualcuno dire:”Il Signore sarebbe così e così … “, lui o lei può rispondere con forti sentimenti di disgusto, incredulità, rabbia, e a volte anche paura.

Troppi ricordi negativi o flashback di eventi del gruppo e dei conflitti sono innescati da queste frasi. Per queste persone la comunione evangelica non è una panacea o la perfetta guarigione. Chiaramente, è necessario qualcosa di più.

Un altro problema del mito n. 5 è quello secondo cui alcuni pastori e consulenti cristiani sono in gran parte inconsapevoli del fatto che gli ex membri di sette o chiese di frangia sono stati condizionati per interrompere o annullare alcuni pensieri biblici che contraddicono i dogmi del loro gruppo particolare. Per coloro che si impegnano nel processo dell’arresto del pensiero, uno studio biblico può probabilmente essere ignorato o respinto da alcuni cliché che hanno imparato mentre erano nel loro gruppo. Queste persone avrebbero bisogno di una forma professionalmente controllata e non coercitiva di “deprogrammazione” o “assistenza all’uscita” prima di studiare la Bibbia, che di per se sarebbe utile.
Allo stesso modo, i versi che hanno a che fare con fazione e calunnia – così come la paura condizionata anche di intrattenere tali pensieri – possono avere un effetto di blocco del pensiero. Ciò impedisce la liberazione dal dolore, perchè secondo gli insegnamenti del suo gruppo solo la Bibbia l’avrebbe liberato dai sensi di colpa. E ‘chiaro che i consulenti cristiani spesso non comprendono o fraintendono gli insegnamenti errati che servono come meccanismi di controllo sottili. In certi gruppi cristiani marginali, meccanismi di controllo sono spesso contenuti nel loro insegnamento sulla fazione, calunnia, sottomissione, o confessione. [16]
E’ necessario, quindi, conoscere tutto questo per il supporto a queste persone e per essere sistematicamente in grado di confutare l’insegnamento di un particolare gruppo, su argomenti quali per esempio, la fazione, la calunnia, la sottomissione o la confessione. In questo modo l’ex-membro ha l’opportunità di aprire la sua mente e intrattenere pensieri che possono essere stati fino ad allora considerati come “calunnia“, e che ora possono essere visti come “sana dottrina” o anche “rimprovero“.

Non posso sottolineare abbastanza l’importanza di far riappropriare questi ex-membri della libertà di pensare, e di pensare in modo critico.

Mito n. 6

Forse il modo migliore per aiutare questi ex-membri è quello che vadano da un terapista professionale come uno psicologo, uno psichiatra o un consulente della salute mentale.

Come il Mito n 5, il Mito n. 6 è vero soltanto a metà e quindi anche particolarmente pericoloso. Essere un professionista terapeuta non conferisce automaticamente avere le competenze per quanto riguarda i fenomeni di culto. Alcuni terapeuti possono essere inclini a sottoscrivere il Mito n. 3. I terapeuti che operano secondo il Mito n. 3 possono inavvertitamente “Incolpare la vittima“, oppure possono commettere ciò che gli psicologi sociali chiamano “errore di attribuzione” [17] (vale a dire, il problema si trova all’interno della persona e non all’interno del gruppo). Tale terapia può produrre anche risultati peggiori sull’ex-membro.

Non vi è sufficiente letteratura e ricerca che mostra gli effetti deleteri dell’esperienza nel culto o in un gruppo estremista tanto da offrire informazioni utili a coloro che sono alla ricerca di una consulenza, per cui bisogna essere cauti nella scelta di un terapeuta che sottoscrive la vista “benigna” rispetto al coinvolgimento nel culto. [18]
Una piccola percentuale di terapeuti professionali, invece, considerano sia il coinvolgimento cultuale sia l’interesse religioso di per sé come esperienze non sane, e cercherà di aiutare l’ex membro di sette a guardare alla vita in maniera più “Realistica“. Altri sono esplicitamente ostili verso il cristianesimo. Ad esempio, N. Brandon dichiara che la Fede cristiana del peccato e sacrificio di per sé è “come una mostruosa ingiustizia, come una perversione della moralità che la mente umana possa concepire “. [19] Egli incoraggia i consulenti ad aiutare gratuitamente i loro clienti a liberarsi  da  tali dottrine distruttive. [20] A. Ellis vede il concetto di peccato come la causa diretta e indiretta di quasi tutti i disturbi nevrotici. [21]

C’è poco da commentare nel sottolineare l’effetto potenzialmente disastroso dell’invio di un ex-cultista ad un terapeuta che ha tali opinioni. Tale consulenza da parte di questo tipo di terapeuti potrebbe creare un doppio senso di perdita: 1) dal gruppo cultuale, e 2) dalle credenze religiose di per sé. La risultante confusione e disillusione spirituale potrebbe durare per anni (per non parlare delle conseguenze di tale consulenza per l’anima dell’ex-cultista). [22]

Sette passi verso la ripresa

Data la presenza di diverse idee sbagliate, cosa è necessario fare per aiutare gli ex membri di questi gruppi estremisti?

Fase uno: La cosa più importante è trovare un aiuto da chi non condivida questi sei miti e che sa come fare per contrastarli in modo corretto.

Fase due: Capire che la partecipazione cultuale è un’esperienza intensamente personale. Di conseguenza la terapia deve essere intensa e personale. Il terapeuta, counselor, o pastore che sia, deve essere in grado di relazionarsi con i bisogni emotivi dell’utente ex membro di un culto e deve essere in grado di accettare, di considerare il suo senso di appartenenza, amicizia e amore. [23] Harold Busse’ll nota di non aver mai visto un evangelico che è entrato in un gruppo cultuale per motivi dottrinali. Tra le cose che descrive come fattori che rendono un gruppo interessante vi è l’accento della setta su principi quali “la condivisione di gruppo … l’esser parte di una comunità e il ricevere una cura …. “[24]

A questo proposito alcune note di cautela dovrebbe essere evidenziate quando si lavora con un ex membro.

Per cominciare, il metodo di confutazione degli insegnamenti del gruppo è solo uno dei numerosi elementi cruciali del recupero dell’ex membro. Oltre a disporre di una struttura  teologica e intellettuale, l’etica del gruppo (ad esempio, l’uso del denaro, i metodi di riforma del pensiero, e la pratica dell’inganno) deve essere accuratamente esaminata (2 Cor 4:2;. Ef. 5:11; Sal. 24:3-4)

Inoltre, l’etica e la teologia devono essere considerate nel contesto dei bisogni psicologici della persona (vale a dire, di cosa trattava l’insegnamento del gruppo perchè ha attirato lui o lei in esso?). Durante il recupero dalla vita cultuale, il problema che richiede più tempo da risolvere è in genere la ricerca dell’amore, dell’amicizia, e della cura, sperimentate mentre si era nel gruppo.
E ‘estremamente importante che venga stabilito un rapporto di fiducia. Il figurante deve lavorare sodo per raggiungere questo obiettivo. Uno studio ha mostrato che solo la metà dei membri del culto che hanno cercato aiuto erano in grado di impegnarsi in un rapporto di successo con un consulente. [25]
Anche se il pastore consigliere e la chiesa devono fornire calore e cura all’ex, non devono cercare di diventare un sostituto o una imitazione della intensa esperienza vissuta nel gruppo cultuale.
L’enorme investimento nello studio e il calore che l’ex-membro anelava sono spesso  “molto artificiali“. “Sì, sentivo molto grande la mia esperienza di gruppo, ma era radicata nella verità? È stata sempre prodotta dallo Spirito Santo, o potrebbe essere una euforia indotta a causa di un farmaco?” È vero, il tossicodipendente pensa che non esista una migliore sensazione del mondo. Ma guardate il risultato – una dipendenza più miserabile che porta a vivere da relitti, e spesso rovina la salute e le carriere.
Mentre il membro del gruppo era nella fase “alta”, egli poteva essere – allo stesso tempo – inconsapevolmente represso o dissociato dal dolore emotivo, dai dubbi e dai segni rivelatori che la sua salute era trascurata.
Tali “alti” (che non sono unici per gruppi dichiaratamente cristiani) sono psicologicamente e spiritualmente malsani. [26] L’esperienza per la maggior parte produce nei culti un forte senso di dipendenza dal gruppo e dai suoi leader. Di conseguenza, il consulente deve essere molto attento a non favorire la dipendenza verso di lui. I conflitti di dipendenza sono in genere una grande preoccupazione per l’ex-membro. Una corretta riabilitazione cercherà di evitare la dipendenza malsana fornendo un supporto sano di gruppo.

Fase tre: La maggior parte delle persone che entrano nelle sette hanno un desiderio potente e altamente encomiabile di servire Dio e il prossimo. Purtroppo, la mia esperienza mi ha portato a credere che i culti spesso ottengono la parte “migliore” della nostra gioventù. Il processo di recupero deve consentire a queste persone di vedere la possibilità di una vita di dedizione a Dio senza confini di culto. Le Chiese hanno bisogno di mostrare a queste persone che ci sono attività impegnative, emozionanti, e che soddisfano la possibilità di servire Dio in un modo non settario. Al momento opportuno nel processo del suo recupero i programmi estivi di missione offerti da diversi gruppi ecclesiali possono essere “solo una offerta” per l’ex membro.
Alcuni ex membri di sette, però, sono abbastanza “timidi” e possono reagire negativamente a qualsiasi programma nella chiesa che ricorda loro il far parte dei gruppi. Spesso queste persone fanno coraggiosi tentativi per rientrare in una chiesa, ma l’abbandonano perché i ricordi dolorosi sono troppo forti. Qui le chiese hanno potuto stabilire gruppi di sostegno al di fuori del chiesa stessa per ex membri di sette e hanno attivato per loro un ministero. In tale ministero può essere consigliabile che la partecipazione e il coinvolgimento nelle attività della chiesa non siano inizialmente raccomandate o incoraggiate. Queste persone hanno bisogno di rassicurazioni da parte del parroco e della comunità e hanno bisogno di non sentirsi in colpa se non frequentano il santuario.

Fase quattro: L’ex-membro di culto ha quasi sempre subìto una rottura nei rapporti familiari. Una consulenza familiare è essenziale per la realizzazione di un reinserimento sano. Le preoccupazioni tipiche degli altri membri della famiglia sono: la tensione tra il desiderio dell’ex membro per l’indipendenza (soprattutto se l’ex membro è tra i 18 ei 25 anni) e il desiderio dei genitori di proteggerlo; ottenere informazioni sul gruppo; come stabilire la comunicazione con l’ex-membro; la paura che il proprio familiare è grave e / o danneggiato in modo permanente dal suo coinvolgimento col culto; senso di colpa che in qualche modo i genitori sono responsabili per il fatto che il loro figlio sta entrando in una organizzazione estremista [27]
La natura della cura della famiglia suggerisce  al parroco e / o consulente l’importanza di fornire sia informazioni sia sostegno, e di prestare assistenza nella ricerca di altre famiglie con membri in gruppi settari.

Fase cinque: Nel tentativo di capire che cosa è successo all’ex-cultista è molto utile acquisire il modello della vittima della ex setta. Secondo questo modello la vittimizzazione e il conseguente disagio sono dovuti alla frantumazione di tre assunti di base che la vittima ha del mondo e di se stesso: “la fede in una personale invulnerabilità, la percezione del mondo come significativo, e la percezione di sé come positiva “. [28]
L’ex-cultista è stato traumatizzato, ingannato, truffato, usato, e spesso emotivamente e mentalmente abusato mentre è al servizio del gruppo e / o del leader del gruppo. Come altre vittime (ad esempio, di atti criminali, di atrocità della guerra, stupro, grave malattia, ecc), gli ex membri delle sette spesso rivivono i ricordi dolorosi del loro coinvolgimento nel gruppo.
Hanno anche perso interesse per il mondo esterno, per il sentire individuale, e possono mostrare emozioni controllate. [29] La terapia deve concentrarsi su come aiutare queste persone a ritrovare le percezioni del mondo e di se stesso, che non sia così inquietante.
L’esperienza cultuale si traduce spesso in una “crisi di fede“. Molti ex membri di sette si chiedono: “Come ha potuto Dio permettere che ciò succedesse a me? ” Spesso pensano: “Devo essere orribile da quando ho fallito con Dio e con il suo piano per la mia vita.” La convinzione dell’ex-cultista di un “mondo giusto” è in frantumi. Lui o lei non può più dire: “Non succederà a me.”

Il bisogno di significati tra queste persone è di primaria importanza. La vittima deve essere aiutata a ritrovare la fede in sé e ad accettare che il mondo lascia spazio anche alle “cose ​​cattive che accadono alle persone buone.
Lui o lei può anche aver bisogno di parlare per rivivere il trauma ancora e ancora, come le vittime di altri tipi di crisi. [30]

Purtroppo, il processo di parlare del trauma è a volte visto come “un corto circuito” da ben intenzionati consulenti che vedono la ruminazione come “poco edificante” o “un eccessivo concentrarsi sul passato.”

Una terapia efficace deve essere di grande aiuto e contribuire a ricostruire l’autostima.
Le vittime hanno bisogno di essere liberate dalla percezione di essere, in qualche modo, le uniche responsabili della loro condizione. Questo compito è particolarmente problematico per coloro che avevano fortemente creduto in una versione di insegnamento della “prosperità“.
Allo stesso modo anche la ricostruzione teologica è spesso utile. Per ristrutturare il senso della loro esperienza cultuale, le vittime devono  essere aiutate a percepire la figura di un Dio benevolo che li ama veramente. [31]
Anche se è la mia esperienza mi ha fatto comprendere che la maggior parte delle persone entrano e rimangono nei culti per motivi sinceri, la mia raccomandazione dell’uso del modello della vittima di un culto non significa negare che per gli altri le motivazioni del potere, l’orgoglio, l’avidità e il sesso possa essere stata la causa del sostegno e della partecipazione cultuale. In questi casi una riabilitazione efficace deve includere un riconoscimento onesto e l’abbandono di tali inclinazioni peccaminose.
Il cambiamento di comportamento è anche molto utile. I Pastori che lavorano con gli ex membri di sette dovrebbero sapere che le possibilità (e la velocità) di recupero dell’ex-membro può in parte dipendere dal fatto che la chiesa o lo stile del pastore sia simile o meno al gruppo estremista precedentemente frequentato. Se vi è una marcata somiglianza tra il primo gruppo e l’attuale chiesa, ci sarà una grande probabilità che l’impostazione della chiesa attiverà ricordi traumatici.
Di conseguenza, l’ex membro dovrebbe considerare seriamente l’acquisto di una diversa traduzione della Bibbia e trovare un pastore diverso dallo stile di personalità e di insegnamento del suo ex leader. Tenendo conto di questo, lui o lei farebbe bene a cercare una chiesa o un percorso di insegnamento che fornisce un gradito contrasto con l’ambiente cultuale.

Troppo spesso gli ex membri abbandonano le chiese perchè ricordano loro troppo il gruppo passato. È tragico che queste persone siano spesso viste più come “apostati” che come vittime.
Un gruppo di sostegno o una consulenza professionale possono percorrere un lungo cammino per aiutare l’ex-membro ad acquisire strategie che gli consentano di evitare il coinvolgimento futuro con persone manipolative. Questo permette alla vittima di recuperare un po’ il suo senso di forza e la propria l’autostima. Come nel caso di altre vittime, la ricerca e la condivisione con gli altri ex membri (preferibilmente dello stesso gruppo cultuale) è un passo essenziale per la ripresa. Spesso durante questo processo gli ex membri diventano amici intimi. Si tratta di un processo simile alla “guerra
di amici
” un fenomeno rappresentato dai gruppi di sostegno, che sono sorti negli ultimi anni per aiutare le persone che sono vittime di abusi di droga e alcol, del divorzio, del cancro, o simili.

Fase sei: i gruppi di istruzione e sostegno sono essenziali. Il processo di recupero richiede inevitabilmente tempo. Ma, anche se molti alla fine guariscono spontaneamente, non è saggio prolungare il processo. Credo che un’ora alla settimana con un pastore o un consulente non sia l’approccio migliore. L’ex membro di una setta ha così tanti problemi che necessita di un trattamento efficace.

Quello che ho scritto in questo articolo evidenzia la necessità di studiare programmi speciali per aiutare recuperare l’ex membro della setta.
Il Dr. Ronald Enroth ha sottolineato la necessità di fare questo un trattamento col supporto di centri di riabilitazione specifici. [32] Dopo centinaia di riabilitazioni di successo nel nostro Wellspring Retreat and Resource Center posso certamente testimoniare la necessità e l’efficacia di tali programmi. Ma per varie ragioni alcuni individui trovano  scomodo o impraticabile rivolgersi ad un Centro. Per chi non si rivolge ad un centro per la riabilitazione sarebbe utile un programma locale composto da istruzione, supporto di gruppo e una consulenza.

Fase sette: E’ essenziale per aiutare chi proviene da aberranti gruppi cristiani riscoprire il Vangelo. Secondo la mia esperienza tutti i gruppi settari o aberranti distorcono il Vangelo. Ciò che è particolarmente inquietante è che molti di questi gruppi potrebbero, con la coscienza pulita, sottoscrivere la dichiarazione più ortodossa, fondamentale, ed evangelica della fede.
Ma in pratica propongono una religione superficiale e letali opere, almeno per quanto riguarda la santificazione. Per questo motivo è molto liberatorio per gli ex membri poter studiare la lettera ai Galati in maniera graduale e il messaggio di San Paolo per capire le pratiche del loro gruppo.
Attraverso il Vangelo, il senso della vita viene ripristinato e l’autostima viene recuperata. Gli ex-membri di sette possono analizzare le gesta di Giuseppe, che “Dio ha considerato buono” (Genesi 50:20). Anche secondo l’esperienza di Harold Busse’ll una chiara comprensione del Vangelo è la questione più importante nel recupero di un cultista e la sua immunità futura da ulteriori coinvolgimento cultuale. [33]

In conclusione, il coinvolgimento cultuale comporta sicuramente aberrazioni teologiche. L’attuale ricerca pubblicata dimostra che si verificano anche danni psicologici e che i cristiani non sono immuni. E’ probabile che ci siano diverse centinaia di migliaia di persone nelle chiese di oggi, che una volta erano membri di sette o di organizzazioni estremiste. Questo può essere uno dei più grandi problemi non riconosciuti nella Chiesa di oggi. Si raccomanda l’uso di programmi specializzati che possono essere usati in modo più efficace per identificare e aiutare queste persone.

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Paul R. Martin, Ph.D. (1946 – 2009) psicologo, è stato fondatore e direttore del Wellspring Retreat and Resource Center nei pressi di Albany, Ohio. La mission del Wellspring è quella di aiutare gli ex cultisti a superare i dannosi
effetti della loro esperienza.

Una versione di questo articolo è stato originariamente pubblicato nella Christian Research
Journal, nell’uscita inverno / primavera 1989.

Note:

1. Margaret Thaler Singer, Ph.D., “Coming Out of the Cults,” Psychology Today, January 1979, 72-82.

2. Saul V. Levine, “Radical Departures,” Psychology Today, August 1984, 27.

3. Ibid.

4. Francis A. Schaeffer, True Spirituality (Wheaton, IL: Tyndale House Publishers, 1971), 132-133. See all

of chapter 10, “Substantial Healing of Psychological Problems.”

5. Ronald M. Enroth, “The Power Abusers,” Eternity, October 1979; Enroth, The Lure of the Cults and

New Religions (Downers Grove, IL: InterVarsity Press,1987); Enroth, “Churches on the Fringe,” Eternity,

October 1986.

6. Flavil R. Yeakley, Jr., The Discipling Dilemma (Nashville: The Gospel Advocate Co., 1987), 23-28.

7. See also Flo Conway, James H. Siegelman, Carl W. Carmichael, and John Coggins, “Information

Disease: Effects of Covert Induction and Deprogramming (parts one and two),” Update 10 (June 1986):

45-57, and Update 10 (September 1986): 63-65.

8. Levine; Singer; Neil Maron, “Family Environment as a Factor in Vulnerability to Cult Involvement,” Cultic

Studies Journal 5, 1 (1988): 23-43; John G. Clark, M.D., “Cults,” Journal of the American Medical

Association 242, 3: 279-80; Lorna Goldberg and William Goldberg, “Group Work with Former Cultists,”

Social Work 27 (March 1982).

9. Singer; John G. Clark, M.D., Testimony to Vermont Senate on Cults (Pittsburgh: PAIF, 1979); Goldberg

and Goldberg.

10. Goldberg and Goldberg. 1982.

11. Augustine of Hippo, Sermons on the Old Testament, no. 46, “On Pastors,” excerpt entitled “Shepherds

Who Kill Their Sheep” reprinted in Pastoral Renewal, January/February 1989, 23-24.

12. See, for example, Dave Breese, “How to Spot a Religious Quack,” Moody Monthly, June 1975, 57-60;

J.L. Williams, Identifying and Dealing with the Cults (Burlington, NC: New Directions Evangelistic

Association), 2; Harold Busse’ll, “Why Evangelicals Are Attracted to the Cults,” Moody Monthly, March

1985, 111-113.

13. Ned Berube, “Burned Christians.” Pastoral Renewal, July/August 1987, 9-11.

14. Conway, Siegelman, Carmichael, and Coggins, 64.

15. Singer, 1979.

16. See Jerry Paul MacDonald, “‘Reject the Wicked Man’ – Coercive Persuasion and Deviance Production:

A Study of Conflict Management,” Cultic Studies Journal 5 (1988): 59-121.

17. See K. Shaver, An Introduction to Attribution Processes (Cambridge, MA: Winthrop, 1975).

18. A major component of thought reform is “loading the language.” This is a technique widely used by

those engaged in mind control to counter effectively thoughts contrary to the doctrines or “science” of the

group (see Robert Jay Lifton, Thought Reform and the Psychology of Totalism (New York: W.W. Norton,

1961; republished by University of North Carolina Press, 1989), 429-430. An extreme example of how

loaded language is used to “manage the conflict associated with grievances and non-conformity” within a

contemporary Christian extremist sect can be found in Jerry Paul MacDonald, ” ‘Reject the Wicked Man’ –

Coercive Persuasion and Deviance Production: A Study of Conflict Management,” Cultic Studies Journal,

5, 1, 1988, 59-121. In this article the author describes how a sect called OASIS (a pseudonym for Great

Commission International) utilized excommunication to maintain a rigid authority. In the course of his

research MacDonald studied 274 excommicants.

19. An excellent discussion of these issues can be found in Stephen M. Ash, Psy. D., “A Response to

Robbins’ Critique of My Extremist Cult Definition and View of Cult Induced Impairment,” Cultic Studies

Journal 1 (Fall/Winter 1984): 127-35. See also Steven Hassan, Combatting Cult Mind Control (Rochester,

VT: Park Street Press, 1988).

20. N. Brandon, Honoring the Self (New York: Bantam Books, 1983), cited in P.J. Watson, Ronald J.

Morris, and Ralph W. Hood, Jr., “Sin and Self-functioning, Part 2: Grace, Guilt, and Psychological

Adjustment,” Journal of Psychology and Theology 16 (Fall 1988): 270.

21. Brandon, The Psychology of Self-esteem (New York: Bantam Books, 1969), cited in Watson, et al.,

1988.

22. An excellent discussion of this issue can be found in Stephen M. Ash, “A Response to Robbins’

Critique of My Extremist Cult Definition and View of Cult Induced Impairment,” Cultic Studies Journal,

Volume 1, No.2, Fall/Winter 1984, 127-135. See also Singer, 1979; and Conway and Siegelman, 1982;

Conway et al., 1986; Goldberg and Goldberg, 1982; Steven Hassan, Combatting Cult Mind Control,

(Rochester, VT: Park Street Press, 1988); David A. Halperin, ed., Psycho-dynamic Perspectives on

Religion, Sect and Cult (Boston: John Wright – PSG, Inc., 1983) 295-382; M. HaLevi Spero, “Some Pre-

and Post-Treatment Characteristics of Cult Devotees,” Perceptual and Motor Skills, Vol. 58, 1984,

749-750; M. Addis, J. Schulman-Miller and M. Lightman, “The Cult Clinic Helps Families in Crisis,” Social

Casework, November 1984,515-522; J. Hochman, “Iatrogenic Symptoms Associated with a Therapy Cult:

Examination of an Extinct ‘New Psychotherapy’ with Respect to Psychiatric Deterioration and

‘Brainwashing,’ ” Psychiatry, Vol. 47, 1984, 366-377; Paul R. Martin, Cult Proofing Your Kids, (Grand

Rapids: Zondervan Publishing House, 1993), 13.

23. A. Ellis, Reason and Emotion in Psychotherapy (Secaucus, NJ: Lyle Stuart, 1962), cited in Watson, et

al., “Sin and Self-functioning, Part 1: Grace, Guilt, and Self-Consciousness,” Journal of Psychology and

Theology 16 (Fall 1988): 255.

24. Cultic involvement can produce serious psychological problems, though the problems of ex-cultists

may not all be cult-related. Pastors are well advised to seek mental health consultation if they desire to

treat these people.

25. Busse’ll.

26. See Ash.

27. Sullivan.

28. Ronnie Janoff-Bulman, “The Aftermath of Victimization: Rebuilding Shattered Assumptions,” in

Trauma and Its Wake: The Study and Treatment of Post-Traumatic Stress Disorder, ed. Charles R.

Figley, Ph.D. (New York: Brunner/Mazel Publishers, 1985).

29. Ibid.

30. M.J. Horowitz, “Psychological Response to Serious Life Events,” in Human Stress and Cognition, ed.

V. Hamilton and D. Warburton (New York: Wiley, 1980), cited in Janoff-Bulman, 23.

31. Research shows that non-teleological explanations (i.e., those which do not invoke some divine

purpose) can also be helpful. See Janoff-Bulman, 26.

32. Ronald M. Enroth and J. Gordon Melton, Why Cults Succeed Where the Church Fails (Elgin, IL:

Brethren Press, 1985), 98-99.

33. Harold Busse’ll, A Study on Justification, Christian Fullness, and Super Believers, unpublished paper;

see also Walter Martin, Essential Christianity (Ventura, CA: Regal Books, 1980), 71-81.

 

Traduzione di Lorita Tinelli

Avvertenza: Questa traduzione non è stata realizzata da traduttori professionisti, pertanto ci scusiamo per eventuali errori.

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I culti psicoterapeutici

Abstract

Sebbene  il termine “culto” venga di solito associato ai  gruppi di natura religiosa,  i culti non religiosi stanno ricevendo sempre maggiore attenzione nell’ultimo periodo. Questo articolo esamina le caratteristiche comuni di gruppi settari, in particolare l’uso della riforma del pensiero quale processo attraverso il quale vengono portati cambiamenti nel comportamento,  mediante indottrinamento,  oltre che una serie di altre modifiche in contemporanea.  I Culti di Psicoterapia sono descritti per illustrare i programmi coordinati di influenza, di sfruttamento e di controllo del comportamento che li caratterizzano.

Il termine “setta” è solitamente  associato a delle dinamiche  che sono state spesso origine di altre etichette, tra cui “riforma del pensiero” (Lifton, 1961), “persuasione coercitiva” (Schein, 1956, 1961), “lavaggio del cervello” (Hunter, 1953), “controllo mentale” (Langone, 1988), “manipolazione sistematica di influenza psicologica e sociale” (Singer, 1983), “programmi coordinati di influenza coercitiva e controllo del comportamento” (Ofshe & Singer, 1986), e “sfruttamento mediante  persuasione “(Singer & Addis, 1991).

Questi termini riflettono prospettive un po ‘diverse o tentano di spiegare a diversi tipi di pubblico un processo complesso e delicato composto da tecniche, tattiche e strategie di influenza sociale a lungo studiato dagli psicologi sociali, antropologi sociali, e ricercatori di marketing (Cialdini, 1984; Nader, 1991; Zimbardo, Ebbesen, e Maslach, 1977).

In questo lavoro useremo il termine “riforma del pensiero”, perché è breve, ha ottenuto ampio utilizzo nel campo delle scienze umane, non è facilmente suscettibile di interpretazioni esagerate, e descrive sinteticamente ciò che avviene nel processo in esame, cioè,  gli individui a seguito della programmata e sistematica manipolazione psico-sociale imposta da altri, sono portati ad adottare credenze radicalmente diverse e a conformare la loro condotta in modo appropriato a quelle richieste indotte.

Mentre “riforma del pensiero” si riferisce ad un particolare processo di pianificata e sistematica manipolazione psicosociale, “cult” non si riferisce al contenuto ideologico, come alcuni erroneamente credono, ma ad alcune strutture sociali e alle relazioni che modellano il comportamento, i pensieri e i sentimenti dei membri di un gruppo  in modo da asservire i desideri e le esigenze del leader (s).

 Così, un culto si può formare in qualsiasi area di contenuto: politica, religione,  commerciale, filosofico, della salute, della fantascienza, della psicologia, ecc.

 Il fatto che molte persone ancora credono erroneamente che tutti i culti siano religiosi dipende forse dai culti religiosi che ricevettero tanta pubblicità tra la fine del 1970 e l’inizio del 1980.

 Questo documento contribuisce a dissipare questo equivoco con una breve definizione di “cult”, che delinea le caratteristiche di base della riforma del pensiero, come è stato originariamente concepito e nella sua forma contemporanea, e vuole illustrare questi concetti descrivendo una varietà di culti di  psicoterapia.

 

 

 

Problemi di definizione

Culti

La sottoscritta (Singer, 1986) ha affermato che le relazioni cultuali

* Fanno riferimento a quei rapporti in cui una persona induce intenzionalmente altri a diventare totalmente o quasi totalmente dipendente da lui o lei per quasi tutte le decisioni importanti della vita, e inculca in questi seguaci  la credenza che lui o lei abbia qualche talento speciale, regalo, o la conoscenza assoluta. (P. 270)

Una definizione al riguardo è stata proposta durante una conferenza promossa dall’Istituto UCLA Neuropsychiatric, dalla Family American Foundation, e dalla Fondazione Johnson:

* … Un gruppo o movimento che presenta una grande o eccessiva devozione o dedizione a qualche persona, idea o cosa, non etica e che utilizza tecniche di manipolazione, di persuasione e di controllo (ad esempio, l’isolamento dai vecchi amici e dalla famiglia, debilitazione, l’uso di metodi speciali per aumentare la suggestionabilità e sottomissione, pressioni di gruppi potenti, gestione delle informazioni, la sospensione di individualità o di giudizio critico, la promozione della totale dipendenza del gruppo e la paura di lasciarlo e così via) con le quali si prefigge di promuovere gli obiettivi dei leader del gruppo, per l’azione o per un possibile pregiudizio dei soci, delle loro famiglie o comunità. (1986)

Il termine “Cult”, poi, è probabile che mostri tre caratteristiche a diversi livelli:

1. membri eccessivamente zelanti: l’impegno è incondizionato e serve per l’identità e la leadership del gruppo;

2. l’induzione di dipendenza attraverso l’utilizzo di tecniche di manipolazione e sfruttamento di persuasione e di controllo; e

3. la tendenza a danneggiare i membri, le loro famiglie e / o la società.

I culti si professano come aiuto per i membri, ma in realtà li sfruttano. I culti sviluppano il loro piano mediante due strategie:

*  Da una parte c’è un insieme di norme di facciata che appaiono superficiali, mentre ne esistono di più profonde, disegni nascosti e le finalità reali dell’organizzazione o gruppo. Le norme in superficie sottolineano l’idealismo e la giustizia della causa. Sotto la superficie, tuttavia, vi sono un insieme di norme di base che gestiscono in modo efficiente l’organizzazione. (MacDonald, 1988, p. 68)

I culti tendono ad essere centrati sul leader, sullo sfruttamento e sulla manipolazione, e spesso sono  nocivi, essi entrano in conflitto e in maniera minacciosa con i  sistemi aperti, con i familiari dei loro associati e con  la società in generale. Alcuni culti alla fine si disintegrano come conseguenza di questa tensione. Alcuni gradualmente diminuiscono il livello di manipolazione e, di conseguenza, lo sfruttamento, il danno e l’opposizione. Altri, invece, si isolano, psicologicamente se non fisicamente. Al fine di gestire la minaccia rappresentata dal mondo esterno e di promuovere gli obiettivi del leader (s), questi gruppi tendono a:

1. dettare – a volte con dovizia di particolari – come i membri dovrebbero pensare, agire e sentire;

2. richiedere un particolare stato di esaltazione (ad esempio, poteri occulti, una missione per salvare l’umanità) per sé e / o il loro leader (s), e

3.intensificare la loro opposizione e alienazione dalla società in generale.

Secondo queste definizioni, i culti si differenziano dalle  “nuove religioni”, dai “nuovi movimenti politici”, dalle “psicoterapie innovative” e da altri “nuovi” gruppi in quanto  tendono a usare tecniche di sfruttamento e di  manipolazione, di influenza e di assoggettamento del benessere individuale a favore di quello del leader.

I Culti differiscono anche da altri gruppi puramente autoritari, ad esempio, le organizzazioni militari e alcuni tipi di sette e Comunità. Questi ultimi, anche se rigidi e con caratteristiche di controllo, mancano delle norme interne ed esterne di cui si è parlato precedentemente e non sono estremamente manipolativi nè centrati sul leader. Le regole di controllo sociale di questi gruppi autoritari, anche se a volte coercitivi, sono coerenti, visibili, chiare e non  nascoste. Anche se le loro strutture decisionali sono gerarchiche, i leader dei gruppi puramente autoritari servono gli interessi del gruppo, non i propri. Inoltre, i gruppi più autoritari, ad esempio, quelli militari, devono rendicontare la loro attività alle autorità superiori. I leader dei culti, al contrario, non devono rispondere a nessuno del loro operato.

Poiché le società democratiche avallano la libertà individuale, l’autonomia e la dignità, tendono a criticare i gruppi settari. La causa di queste valutazioni negative, tuttavia, non è la novità o le convinzioni insolite presenti in questi gruppi, ma la loro condotta, in particolare i loro metodi di reclutamento, indottrinamento e sfruttamento dei membri.

Per quel che riguarda la manipolazioni del culto, è chiaro che alcune persone possono influenzare più facilmente di altre. Ash (1985) osservava che i seguenti tipi di fattori rendono alcune persone particolarmente vulnerabili alle manipolazioni di culto: alto livello di stress attuale, disillusione culturale in un ricercatore frustrato, la mancanza di un credo religioso, carenza di un sistema di valori intrinseco e  le tendenze di personalità dipendente, come indicato dalla mancanza di direzione interna, dalla mancanza di un adeguato autocontrollo (per esempio, anassertività), bassa tolleranza per l’ambiguità, e suscettibilità a stati di trance.
Il culto rende vulnerabili le proprie reclute in diversi modi, difatti esso riesce ad indurre e mantenere sostanziali cambiamenti comportamentali e psicologici nei propri membri in maniera sorprendente.

 

Per stabilire un esempio per dimostrare l’influenza degli ambienti di culto, si consideri l’osservazione dei non credenti della organizzazione Billy Graham Crusades, nel quale si è evidenziato che essi decidono di partecipare al percorso proposto dal gruppo per il  2% – 5% e solo circa la metà di questi neo convertiti diventano attivi dopo un anno. Circa il 15% restano convertiti in modo permanente (Frank, 1974, p. 82), vale a dire, sono attivi per dieci anni o anche di più. Quindi, meno dell’uno per cento (0,30% – 0,75%) dei neofiti del Billy Graham Crusades si convertono a tale gruppo. Inoltre, dopo la crociata (il percorso di conversione), queste persone tornano a casa dalle loro famiglie, al loro lavoro e alle loro identità precedenti.

Al contrario, due studi su centri meno conosciuti e periferici rispetto a questa organizzazione ha rilevato che circa il 10% dei soggetti reclutati in un workshop introduttivo lascia la loro vecchia vita alle spalle e diventa missionario a tempo pieno in quel gruppo entro un mese di permanenza (Barker, 1983; Galanter, 1980), con il 5% che restano membri anche dopo due anni (Barker, 1983).

Un attento esame dello studio di Galanter, tuttavia, indica che la percentuale dei soggetti che vi si uniscono potrebbe essere addirittura superiore di quanto riportato. Quattro “fuorusciti” nello studio di Galanter erano stati portati via dai genitori. Se queste persone fossero rimaste, la percentuale restante dopo un mese sarebbe stata del 13%, invece che del 9%.

Inoltre, i  centri esaminati da Galanter sono ben noti da chi ha familiarità con il gruppo per essere meno efficaci di quello di San Francisco, centro, su cui c’è stata una notevole controversia. La maggior parte delle reclute in questi centri erano state solo avvicinate per strada, mentre la maggior parte dei neofiti di Billy Graham Crusades aveva già avuto un contatto sostanziale con gli evangelisti prima di partecipare alla crociata (Billy Graham associazione, comunicazione personale al Dott. Langone, 1989).
Alcuni ricercatori (ad esempio, Barker, 1983) erroneamente interpretano questi risultati come una prova che la riforma del pensiero non si verifica in gruppi comunemente accusati di essere culti. Il loro grave errore, però, è quello di assumere che la riforma del pensiero ha praticamente il 100% di efficacia, cosa che nessun ricercatore serio ha mai affermato.

 

 

 

Riforma del pensiero: Cenni storici

La sottoscritta  (Singer, 1986) ha osservato come nel corso di questo secolo una serie di eventi hanno dimostrato che l’autonomia individuale e l’identità sono molto più fragili  di quanto si crede comunemente. La Russian Purgue (campagna di politica di repressione dell’impero sovietico) del 1930 ha manipolato uomini e le donne affinchè confessassero falsamente di aver commesso crimini e affinchè accusassero gli altri di aver commesso crimini (Mindszenty, 1974).

La stampa mondiale espresse sconcerto e stupore per il fenomeno, ma, con poche eccezioni, presto si cessò di prestarvi attenzione (Rogge, 1959).

Alla fine del 1940 e nei primi anni del 1950 si assistette agli effetti delle università rivoluzionarie in Cina e alla sottomissione di un intero popolo ad un programma di riforma del pensiero che induceva milioni di persone a sposare nuove filosofie e ad adottare nuovi comportamenti. (Chen, 1960; Hinkle e Wolff, 1956; Hunter , 1953; Lifton, 1961; Meerloo, 1951; sergente, 1951, 1957, 1973; Schein, 1961).

Poi venne il conflitto coreano che sottoponeva i prigionieri di guerra delle Nazioni Unite ad un programma di indottrinamento sulla base di metodi che univano i programmi di riforma del pensiero cinese con altre tecniche di influenza sociale e psicologica (Farber, Harlow, e West, 1956; GAP , 1956, 1957; Schein, 1956).

A quel tempo il termine “lavaggio del cervello” è stato introdotto nel nostro vocabolario come “un termine colloquiale applicato a qualsiasi tecnica finalizzata a manipolare il pensiero umano o un’azione contro il desiderio, la volontà o la conoscenza della persona” (Enciclopedia Britannica, 1975).

A causa del sensazionalismo giornalistico, tuttavia, il termine “lavaggio del cervello” ha assunto una sinistra connotazione misteriosa.

Lifton (1961) usa il concetto di “riforma del pensiero“, ritenendo che oltre ad essere una traduzione più precisa del termine cinese di “lavaggio del cervello”, aiuta a spiegare, in aggiunta alle confessioni dei soravvissuti, i notevoli cambiamenti, dovuti ad azioni psicologiche non violente e non coercitive, prodotti in civili cinesi, pur non in stato di prigionia.

Il lavoro di Schein (1956, 1961) ha anche chiaramente dimostrato che né un carcere né le minacce fisiche sono necessarie per ottenere l’effetto della riforma del pensiero.

Dopo il conflitto coreano, la ricerca psicologica, preziosa, anche se a volte controversa, ha aiutato a riconoscere i processi attraverso cui gli individui possono essere controllati. Asch (1952) con i suoi studi sulla conformità, Milgram (1974) con i suoi esperimenti sullo shock, e Zimbardo (Zimbardo, Ebbesen, e Maslach, 1977) con i suoi studi sugli effetti del ruolo del carcere sull’individuo, ne sono solo alcuni degli esempi di ricerca più noti (vedi Cialdini, 1984, per una rassegna della ricerca sociale e psicologica).

Poiché questo lavoro accademico è continuato, altri eventi significativi hanno riacceso l’interesse del pubblico sui processi di influenza e controllo.

Il controllo diabolico di  Charles Manson su un gruppo di giovani della classe media ha scioccato il mondo durante i primi anni 70 (Atkins, 1978; Bugliosi e Gentry, 1974; Watkins, 1979).

A metà degli anni 70, migliaia di famiglie negli Stati Uniti erano perplessi e allarmati per l’influenza di una vasta gamma di guru e nuovi messia sulla loro prole.

Poi, il 18 Novembre 1978  Jim Jones ha portato 912 seguaci alla morte in una giungla della Guyana (Reiterman & Jacobs, 1982). Questa tragedia ha portato il concetto di riforma del pensiero all’attenzione del mondo.
Dopo Jonestown, l’interesse pubblico verso i  gruppi settari è aumentato in modo significativo. Inizialmente, la maggior parte era concentrato sui culti religiosi, specialmente quelli con rituali bizzarri o esotici e di sapore orientale. Ma col passare del tempo, le caratteristiche cultuali furono attribuite a frange cristiane (Enroth, 1986), a grandi gruppi con azioni di sensibilizzazione (Cannella & Farson, 1979; Finkelstein, Wenegrat, e Yalom, 1982;),  o con controversi programmi di riabilitazione dalla droga (Gerstel, 1982; Hawkins, 1980; Hawkins & Wacker, 1983; Mitchell, Mitchell, & Ofshe, 1980; Rebhan, 1983), e a gruppi di psicoterapia (Temerlin & Temerlin, 1982, 1986). Tutto ciò ha portato ad una applicazione più ampia, e alla conseguente confusione dei termini ” culto “e” riforma del pensiero “.

 

Noi qui proponiamo una precisazione: culto si riferisce ad una particolare struttura di potere e riforma del pensiero si riferisce a un particolare tipo di processo di influenza sociale e psicologica. Un gruppo che pratica riforma del pensiero non deve necessariamente essere un culto, ma un culto di solito pratica la riforma del pensiero al fine di mantenere la sua struttura di potere.
Riforma del pensiero: i programmi prima e seconda generazione

Lifton (1961) ha descritto “otto punti psicologici che sono predominanti nel campo sociale per la riforma del pensiero” (Lifton, 1961, p. 420): 1) controllo del milieu, 2) la manipolazione mistica, 3) la domanda di purezza, 4 ) il culto della confessione, 5) la scienza sacra, 6) linguaggio caricato, 7) la dottrina sulla persona, 8 ) dispensazione dell’esistenza.
Ofshe e Singer (1986) furono i primi a distinguere tra programmi di prima generazione di cui aveva parlato Lifton e programmi di seconda generazione, a cui erano interessati Ofshe e Singer (1986). La prima generazione di programmi includeva le tecniche sovietiche e cinesi progettate per estorcere false confessioni, per  inculcare convinzioni politiche e sociali e assicurare la conformità e l’obbedienza alle richieste dei leader. La “gestione” di questi era sponsorizzata dallo stato, i programmi di pensiero di prima generazione erano controllati alla partenza e includevano momenti di feedback tramite ricompensa/punizione durante il programma. Attraverso l’uso sapiente di eccitazione repulsiva e la pressione dei pari, i leader riuscivano a modificare le convinzioni espresse in politica e gli atteggiamenti delle persone designate.
I programmi di seconda generazione, utilizzati dai gruppi settari, tendono anche ad essere non violenti e, inoltre, non hanno la forza fisica e l’autorità di uno Stato. Pertanto, al fine di raggiungere i loro obiettivi, questi programmi hanno dovuto affidarsi a sotterfugi e capitalizzare sulle aree naturali di sovrapposizione tra  loro e sulle scelte individuali. Come i programmi di prima generazione, i programmi di seconda generazione utilizzano tecniche di influenza sociale, le tattiche e le strategie che sono ben documentate in psicologia sociale, marketing e socio-antropologico letteratura di ricerca (Cialdini, 1984; Gerstel, 1982; Hawkins, 1980; Hawkins & Wacker , 1983; Nader, 1990; Rebhan, 1983;. Zimbardo et al, 1977). È interessante notare come i programmi di seconda generazione riescono a coinvolgere psicologicamente un numero più ampio di soggetti rispetto a quelli di prima generazione (Hinkle e Wolff, 1956; Lifton, 1961; Ofshe & Singer, 1986; Singer & Ofshe, 1990).
I programmi di seconda generazione inizialmente si presentano come benevoli, promettendo di soddisfare le esigenze e le scelte individuali. I reclutatori pongono molta attenzione e usano rinforzi positivi circa gli obiettivi da raggiungere. Mediante conversazioni apparentemente intime e modalità di accoglienza i reclutatori valutano gli stati psicologici e sociali dei reclutati, conoscono i loro bisogni, le paure, il potenziale di dipendenza, e le resistenze reali e possibili.

Testimonianze di membri del gruppo, le credenziali (sia vere o false) dei leader, gli attacchi rivolti ai concorrenti del gruppo e la ‘reazione favorevole verso i membri‘ rappresentano gli elementi per la percezione di un ambiente apparentemente accogliente e premuroso che tende a sostenere la domanda del gruppo di benevolenza e di superiorità e a convincere i neofiti di quanto potranno beneficiare aderendo a quel gruppo.
I neofiti raramente sono a conoscenza delle tecniche di persuasione sottili e del controllo messo in atto per modellare il loro comportamento, pensieri e sentimenti. L’unanimità apparentemente amorosa del gruppo è fatta di maschere rigide e di regole contro il dissenso privato e pubblico. Le domande sono deviate; ai commenti critici si risponde con suppliche sorridenti di “non indurre negatività“, o qualche altro “cliché”, per usare uno dei termini di Lifton. Se i nuovi membri persistono nella loro “negatività“, gli sarà ricordato dei problemi personali, dubbi e ricordi colpevoli che hanno rivelato ai leader. Dubbio e dissenso sono quindi interpretati come sintomi di carenza di personalità.

I potenziali membri e i neofiti scivolano in una spirale di crescente dipendenza dal gruppo. Essi sono spesso incoraggiati o gli viene ordinato di vivere con altri membri del gruppo. In molti casi, anche di  lavorare con gli altri membri. La gente  fuori dal gruppo è vista come spiritualmente, psicologicamente o socialmente inferiore, o come ostacolo allo sviluppo dei membri. Al fine di “avanzare” a un ritmo soddisfacente, i membri devono trascorrere lunghe ore coinvolti in vari esercizi ritenuti necessari dal gruppo. In breve, i membri trascorrono sempre più tempo con e sotto la direzione del gruppo.
Per garantirsi il proseguimento di premi del gruppo (lode, attenzione, la promessa di benefici futuri, ecc), i membri devono implicitamente se non esplicitamente, riconosce l’autorità del gruppo nel definire ciò che è vero e buono.

Tale riconoscimento non è semplice a parole, il gruppo pone continuamente nuove sfide e prove ai propri membri, stabilendo estremamente alte, se non impossibili, le aspettative riguardanti le attività (ad esempio, la raccolta di fondi, reclutamento di nuovi membri) e lo “sviluppo” personale (ad esempio, di essere liberi dalla “negatività” dei pensieri e dubbi).

Visto che il dissenso, il dubbio, e la negatività sono proibite, i membri devono progettare la costruzione di una facciata di “felicità” e di accordo, mentre lottano per raggiungere l’impossibile. Coloro che non riescono a progettare la facciata necessaria (perché, ad esempio, ammettono di solito, con molto senso di colpa, i loro dubbi sul gruppo) vengono attaccati e puniti, a volte brutalmente. Quelli che continueranno a “fallire per onestà” sono, in un modo o nell’altro, cacciati o espulsi dal gruppo.

Coloro che aderiscono al gruppo, sia senza punizioni che con esse, lo fanno perché imparano ad ingannare se stessi e gli altri. Imparano, proprio come i soggetti ipnotizzati, secondo la  logica della  trance, come per convincere se stessi che il gruppo ha sempre ragione, anche se si contraddice. Crescente isolamento dal mondo esterno al gruppo, estenuante attenzione alle attività di servizio del gruppo e pratica di  esercizi che inducono stati dissociativi (per esempio, la meditazione, il canto, il parlare in lingue) possono facilitare questo processo di scissione, che in alcuni casi, assomiglia a quello che Lifton (1987 ) chiama “raddoppio“.

La dissociazione psicologica permette ai membri di adattarsi al progetto del gruppo e agli elementi che lo caratterizzano, vale a dire, il suo set di contraddizioni delle regole sociali. I membri si trovano in un bivio di  “fedeltà / tradimento” (MacDonald, 1988): se rimangono fedeli alla loro percezioni di sé e del mondo, tradiscono il gruppo da cui sono diventati eccessivamente dipendenti; se rimangono fedeli al gruppo, tradiscono la loro percezione di ciò che è  buono e vero.

I programmi di riforma di pensiero di seconda generazione inevitabilmente portano al tradimento di se stessi, perché da quel bivio non c’è scampo e si giunge a un “attacco fondamentale dell’essere – la centrale immagine di sé, il senso stesso di autenticità e l’esistenza del sé”.

Al contrario, l’attacco di prima generazione dei programmi opera su una proprietà periferica del sé, la propria visione politica e sociale “(Ofshe & Singer, 1986, p. 18).

Se la seconda generazione di programmi, che operano in società libere ed aperte, non avessero attaccato elementi centrali del sé dei membri, non sarebbero sopravvissuti. Informazioni al di fuori del gruppo sarebbero serviti a neutralizzare l’indottrinamento politico e sociale, così come è avvenuto alle vittime della riforma del pensiero quando sono state liberate dalla prigionia in Corea, Cina e altrove.

Culti di psicoterapia: esempi di casi



Contesto generale

I Culti di psicoterapia possono derivare dalla distorsione e dalla corruzione della terapia a lungo termine individuale (Temerlin e Temerlin, 1982; Conason e McGarrahan, 1986) o di psicoterapia di gruppo (Hochman, 1984), o possono essere avviati da una varietà di non professionisti (West e Singer , 1982; Singer, 1983, 1986). I Leader di tali gruppi variavano da docenti universitari a persone con una formazione non adeguata a gente in libertà vigilata per qualche crimine commesso.
Gli autori hanno studiato indipendentemente 22 culti di psicoterapia negli ultimi anni. I gruppi variano nel formato da 15 persone in due gruppi che al loro picco hanno avuto più di 300 membri. Il più grande di questi due gruppi era composto da 350 membri che vivevano all’interno e 400 membri periferici. La storia della loro esistenza va da 5 a 25 anni, e tutti tranne uno sono ancora presenti (all’epoca di questo articolo ndt). Quindici sono stati condotti da persone professionalmente preparati (psicologi, psichiatri, assistenti sociali), che col passare del tempo hanno inserito ex pazienti col ruolo di “terapista” nei gruppi. Sette erano gestiti da non professionisti (che vanno da ex-impiegati a criminali condannati). I “terapeuti” erano, con una sola eccezione, caucasici. I pazienti sono stati in primo luogo della classe medio-alto borghese caucasici con diplomi o lauree specialistiche. I gruppi erano situati in sei stati.

Metodo

I metodi tradizionali di ricerca sul campo nelle scienze comportamentali sono stati rispettati. Interviste personali sono state condotte con molti come informatori, rispettando la disponibilità dei membri. Documenti (legali, dei media, interni, documenti e scritti pubblicati) sono stati esaminati. Quando disponibile sono stati acquisiti nastri di capigruppo o di membri durante le attività di gruppo. Quando possibile, informatori multipli sono stati intervistati. Anche se in alcuni casi solo uno o due membri di un gruppo erano disponibili per lo studio, ben  37 informatori del medesimo gruppo sono stati intervistati. L’intervista variava da due ore a decine di ore per gruppo. Alcune persone si sono recate a due degli autori per la terapia, alcuni sono stati seguiti nel contesto di un contenzioso, alcuni erano ricercati per la conoscenza delle loro esperienze all’interno della comunità. Molte persone che abbiamo intervistato sono state escluse da questa relazione, perché erano state vittime di abusi, di pratiche illegali della terapia, o che avevano vissuto in un ambiente  che non soddisfaceva la definizione di  culto.

Il  Dr. Temerlin ha intervistato e/o trattato 38 persone (17 in psicoterapia a lungo termine). La  sottoscritta ha intervistato e/o trattato 82 persone.
I tirocinanti come seguaci

 

La sottoscritta ha studiato un gruppo cultuale che si è evoluto quando uno psichiatra e sua moglie hanno offerto la loro clinica come collocamento di supervisione per gli studenti che studiano per lauree specialistiche in psicologia e counseling. I tirocinanti sono stati indotti a cedere immobili di proprietà alla coppia, per ottenere i soldi dalle loro famiglie per la terapia con l’uomo e sua moglie, e a seguire solo questa forma di terapia. La coppia induceva i suoi seguaci  a ritenere che solo questa terapia potesse salvare loro e il mondo. I pazienti-allievi erano indotti a prendere fratelli più piccoli e portarli dentro e a pagare per la loro terapia e a reclutare altri allievi presso le loro scuole affinchè aderissero al “movimento”. Il gruppo è cresciuto e si è trasferito in un ambiente rurale in cui sono coinvolti nella gestione di un programma residenziale di trattamento per pazienti psicotici gravi. Quindi le attività dei tirocinanti, mediante la cura dei pazienti psicotici e il reclutamento di neofiti, avevano il compito (come afferma lo studio che segue di Temerlin & Temerlin) di diffondere le teorie dei capi.

 

Temerlin & Temerlin.

 

Nel 1982 Temerlin e Temerlin hanno studiato

* Cinque gruppi bizzarri di professionisti della salute mentale che sono stati originati da cinque docenti di psicoterapia, che ignoravano costantemente i divieti etici avendo molteplici relazioni con i clienti. I pazienti erano amici dei loro terapeuti, amanti, parenti, dipendenti, colleghi e studenti. Allo stesso tempo sono diventati “fratelli” legandosi insieme per ammirare e sostenere il loro terapista comune. (P. 131)

Le scorrettezze di violazioni di ruolo da parte dei terapeuti sono stati aggravati dal loro uso di tecniche di influenza indiretta, ingannevoli e coercitive che hanno portato i pazienti a rispettare i desideri dei terapisti. Questi terapeuti hanno violato il codice deontologico instaurando relazioni di sfruttamento e di abuso con i loro clienti e  manipolandoli per loro personali vantaggi. Questi culti si sono formati quando i professionisti eticamente deviati, hanno strumentalizzato il rapporto confidenziale con i clienti e hanno  portato i clienti a formare gruppi coesi e incestuosi. I leader sono stati idolatrati piuttosto e nessuno di loro ha tentato di studiare e comprendere il transfert. Invece dell’autonomia personale vengono incoraggiati la sottomissione, l’obbedienza e i legami di dipendenza tra pazienti e terapeuti. Il loro pensiero alla fine somigliava a quello che Hoffer definiva “True Believers” (1951) e Lifton (1961) “totalitario”. Cioè, i clienti sono stati indotti ad accettare acriticamente le teorie loro terapeuti, a sviluppare idee paranoiche verso il mondo esterno, per limitare i rapporti e a pensare al mondo d’elite creato dal culto dei  terapeuti e a dedicarsi ad esso. I gruppi studiati da Temerlin e Temerlin variano di dimensioni da 15 a 75 membri e hanno avuto vita da 10 a 15 anni.
Sullivanians.

 

Da alcuni anni i media hanno riportato le affermazioni fatte da ex membri di un gruppo di New York chiamato Sullivanians. Le accuse, sui casi di affidamento di minori, sono state presentate dalla stampa dal 1975. (Black, 1975). Di recente, le accuse quasi identiche sono state presentate in altri casi di custodia (Conason & McGarrahan 22 aprile 1986; Henican, 1988; Lewin, 1988; McMorris, 3 giugno 1988, Reed, 1988; Span, 1988). Lewin (1988) ha dichiarato:

* Per venti anni, i Sullivanians sono stati una presenza silenziosa a Manhattan – una comunità i cui 200 membri che vivono insieme in tre edifici sulla West Side si occupano di un gruppo di teatro politico nell’East Village. (B.1)

Ma molti di quelli che hanno lasciato il gruppo dicono che i Sullivanians sono diventati un culto di psicoterapia bizzarro i cui leader controllano ogni aspetto della vita dei membri, comprese le loro modalità di vita, pratiche sessuali, scelta della professione, hobby, pratiche educative, e richiedono tre volte la settimana sedute di terapia con ogni membro dell’Istituto Sullivan per la Ricerca in Psicoterapia. (B.1)

Un padre racconta:
* L’idea di base del gruppo è che la famiglia è la radice di ogni male e che un bambino non dovrebbe avere un rapporto speciale con i suoi genitori, così come gli adulti Sullivanians non dovrebbero parlare con i loro genitori. Tutti, anche i bambini, dovrebbero avere il maggiore numero possibile di appuntamenti terapeutici. Ho calcolato che in una settimana mio figlio doveva fare terapia con 23 persone diverse. Io voglio che lui viva in questo modo. (Lewin, 1998, B.1).

 

 

Secondo Lewin (1988) i membri del gruppo – anche coloro che sono sposati tra di loro – vivono in appartamenti con più di una dozzina di compagni di stanza dello stesso sesso e sono incoraggiati a dormire con un membro diverso del sesso opposto ogni notte.
Il gruppo nasce  nel 1957 quando un gruppo di terapisti dissidenti si staccò dal Alanson White Institute, che era stata fondata da Harry Stack Sullivan. Interviste con dodici ex membri del gruppo e un esame dei documenti legali (v. Dobash Bray, 1985; Sprecher v. Sprecher, 1985) e resoconti dei media, come quelli citati in precedenza, hanno rivelato che ciò che era iniziato come un centro di terapia evoluto in una psicoterapia collettiva si è, infine, trasformato in una organizzazione settaria che controllava quasi tutte le aree della vita  dei cosiddetti “pazienti”. Un contenzioso tra ex membri e il gruppo è ancora in corso a New York  presso la Suprema Corte (v. Dobash Bray, 1985; Sprecher v. Sprecher, 1985).

 

 

 

Il Centro per la Terapia Feeling.

 

Hochman (1984), scrivendo di una scuola ormai defunta di psicoterapia, il Centro per la terapia Feeling, descrisse i molti sintomi tipici trovati in ex clienti e pazienti che erano stati membri di questo gruppo:

* Appare un culto distruttivo.  Vira verso un rimodellamento dell’individuo a conformarsi ai codici e alle esigenze del culto, istituendo nuovi tabù che impediscono il dubbio e la critica, e producendo una sorta di scissione in cui i membri della setta si vedono come una élite circondata da non illuminati e anche pericolosi, estranei. (P. 367)

Questo gruppo, che ha avuto vita per  circa dieci anni, era composto da 350 pazienti che vivono vicino l’un l’altro condividendo le case nel quartiere di Hollywood di Los Angeles.

Centinaia di altri sono stati pazienti ambulatoriali non residenti, e altri comunicavano con i  “terapeuti” per lettera. (Alcuni terapisti erano autorizzati, altri sono stati presumibilmente pazienti assegnati ad essere terapeuti.). Massimo beneficio presunto è venuto solo ai residenti, ed i pazienti sono stati indotti a vedere se stessi come potenziali leader di un movimento di terapia che avrebbe dominato il 21 ° secolo. Il leader aveva promulgato una “teoria” che sosteneva  gli individui con funzione di “ragionevole follia”. Ma se imparano ad “andare al 100%” in cinque aree – espressione, sentimento, attività, chiarezza, e contatti – possono mettere da parte le loro “vecchie immagini” e diventare “sani”, livello che è stato definito come il “punto più elevato dei sentimenti. ” Quest’ultimo obiettivo ambiguo era considerato il raggiungimento del prossimo stadio dell’evoluzione umana (Mithers, agosto 1988).
Numerose le azioni legali (Hart et al v. McCormack et al, 1985; Raines et al v. Center Foundation, 1985; Stato della California, Commissione Esaminatrice Scienze Comportamentali v. Cirincione, 1985; Stato della California, Comitato Psicologia esaminatrice , Divisione di Professioni Sanitarie alleati, Collegio di Medicina Quality Assurance v. Corriere, Oro, Hart, Hopper e Karle, 1985; Stato della California, Consiglio di Quality Assurance Medica, Dipartimento di Medicina Consiglio di Quality Assurance v. Woldenberg Consumatori ‘, 1985; Timnick, 21 Aprile, 1986, 30 settembre 1987) riguardano il Centro per la Terapia Feeling. Nel suo lavoro su molti di questi casi, la sottoscritta ha intervistato 37 ex membri di questo gruppo e ha studiato 92 affidavit, innumerevoli documenti legali e ha analizzato decine di ore di sedute di terapia su nastro. Il Dr. Temerlin anche ha intervistato un certo numero di ex membri e ha studiato le fonti citate collaterali. (Il numero esatto non è noto in quanto il Dr. Temerlin morì prima di questo lavoro fosse completato.)

In questi casi legali, che ho citato, gli imputati sono stati accusati di aver trasgredito le norme della psicologia, della medicina e della cura psicoterapeutica. Nello specifico le accuse erano:

 

* Hanno creato un senso di impotenza nei pazienti, privandoli del sostegno sociale (amicizia, parentela, l’ambiente ordinario,  ruoli professionali, ricchezza) e della fiducia psicologica (attraverso la denigrazione e con la creazione di stati di esaurimento fisico), e mediante una forzata massiccia richiesta di apprendimento del nuovo attraverso un processo di ricompensa/punizione (tra cui induzioni di stati d’ansia e sensi di colpa, punizioni fisiche, come le molestie sessuali).
* Hanno utilizzato insulti razziali, religiosi ed etnici, umiliazioni fisiche e verbali, abusi fisici, soprattutto sessuali, minacce di follia e di violenza  e  stati forzati di esaurimento fisico e mentale.

* Hanno rappresentato ai pazienti un centro in cui  dovrebbero sperimentare odio e sensi di  colpa verso i  loro genitori a causa del loro essere pazienti ‘pazzi’, hanno dato i figli dei loro pazienti in adozione, ed hanno indotto aborti, apparentemente perché i  membri del Centro sono troppo “pazzi” per essere genitori.

* Hanno avuto in intimità sessuali con i loro pazienti, hanno indotto pazienti a picchiare altri pazienti, hanno autorizzato persone non formate a condurre sessioni di terapia senza alcuna supervisione.
* I clienti sono stati incaricati di togliere la loro biancheria intima e di stare in una “posizione di stress” con le gambe piegate per ore.
* Sono state raccolte “donazioni” per migliaia di dollari dai singoli  pazienti per la costruzione di una palestra che il Centro non ha mai usato, così come per l’acquisto di un ranch con altri terapeuti in Arizona.
* I pazienti sono stati fatti a stare nudi  di fronte a gruppi, ai pazienti è stato ordinato di ispezionare i genitali di altri pazienti di fronte al gruppo.
* Ad un paziente di sesso maschile, che voleva tornare al college per studiare musica, piuttosto che lavorare come meccanico in un centro commerciale, è stato fatto indossare un pannolino, è stato costretto a dormire in una culla e mangiare alimenti per l’infanzia per otto settimane perché il suo terapeuta ha detto che quel paziente voleva vivere la sua vita come un bambino.

Timnick (1986), ha riferito che nel Centro “una volta comunità terapeutica alla moda”, le terapie legali erano  “diventate più lunghe, più costose e più complesse” definendo questo “un caso di cattiva pratica della psicoterapia nella storia della California” (p. 3). Più di 100 ex pazienti ha presentato denunce di truffa, cattiva condotta sessuale e abusi. Cause civili si sono aperte per più di sei milioni di dollari per conto di ex pazienti (Timnick, 1987).

“Dr. Tim”.

 

A quaranta anni, divorziato, con licenza di psicologo clinico, ha sviluppato un seguito di adepti nel  1971, una parte dei quali esiste ancora anche se lui è morto da diversi anni. Il dottor Tim avuto clienti muoversi in casa sua. Essi pagavano una tassa mensile per la terapia più vitto e alloggio e Tim direva le loro vite. Il dottor Tim e la maggior parte dei suoi seguaci fuggirono all’estero insieme in uno stato orientale quando le spese legali sono state attribuite contro di lui, per accuse di aver abusato sessualmente di minori. Il gruppo ha vissuto in comunità per circa sette anni, fino agli esiti legali. Il gruppo so è spostato ancora, ritornando ad in uno stato occidentale.

Una volta sviluppato, il gruppo era costituito da una media di quaranta membri, tra cui alcuni bambini. C’era un giro d’affari durato tredici, durante il quale  il dottor Tim induceva i suoi membri che lasciandolo avrebbe causato loro il  condurre una vita di sofferenza mentale. I pazienti erano reclutati sostituzioni tra coloro che erano sofferenti. Lasciare il gruppo era difficile, in quanto il dottor Tim aveva invitato i più forti del gruppo a recuperare chiunque fosse un potenziale fuggiasco. Le persone che hanno cercato di lasciare apertamente erano fisicamente minacciate.

Il dottor Tim diceva ai suoi pazienti che era “una persona più illuminata di Gesù”  e che “aveva creato la terapia definitiva, combinando Freud, Zen, Yoga Kundalini, e LSD.” Egli insegnava a “ignorare il proprio ego.”

Nessuna critica o reclami erano tollerati da Tim, le critiche erano propinate come un  “essere nella tua testa,” piuttosto che “nei vostri sentimenti.” Ogni sensazione veniva etichettata  come un  “essere nella vostra roba” e, quindi, come indicazione del disturbo mentale individuale.

In una sessione iniziale di terapia individuale il dottor Tim privatamente diagnosticava ogni nuovo membro come possessore di segni segreti di una grave malattia mentale (es. schizofrenia paranoica, maniaco-depressiva) e annunciava che solo lui poteva curare la sua persona.

Durante le terapie di gruppo i membri venivano umiliati e castigati da lui come “stupidi, stupidi e pazzi.” Fu detto che i loro genitori, in particolare le loro madri, avevano causato la loro malattia mentale e i pazienti dovevano “dissociarsi” da loro, ma non come fonte di denaro per la terapia. Tutte le telefonate che coinvolgono genitori erano furtivamente registrate e riprodotte in sedute di terapia di gruppo per dimostrare come i genitori erano dannosi per i pazienti.

La terapia includeva il cambio di una carriera intellettuale con un lavoro più umile e fisico, apparentemente “per conoscere il corpo, per avere esperienze Zen, e per imparare a sentire.” Sembra anche, però, che il dottor Tim utilizzasse i suoi pazienti come  servi in casa e per il suo cortile.
Inoltre, la quantità e la regolarità dell’uso di  LSD ha portato i seguaci a ridurre le proprie potenzialità lavorative. Inoltre, lavori a bassa retribuzione nei motel vicino a lui ha reso molto difficile per i “pazienti” accumulare denaro e fuggire dal gruppo. Il Dr. Tim aveva anche indottrinato i  membri a credere che il gruppo era la “famiglia” e gli amici di cui avevano bisogno. Dopo tutto, egli sosteneva, vivevano in una grande casa e avevano accesso alle auto, al sesso e alla terapia non disponibile altrove.
Il dottor Tim ha affermato che le famiglie erano dannose, ha rotto e ha impedito i matrimoni e ha fatto sì che i bambini fossero cresciuti dal “gruppo” e non dalle loro madri. Ha inoltre promosso i contatti omosessuali e eterosessuali. Egli ha permesso che maschi potessero avere quattro o cinque uomini vivendo in una camera da letto insieme e masturbandosi reciprocamente. Poi fece sì che con una pratica yoga  gli uomini, giacendo sul pavimento, riuscissero ad inserire un dito in bocca e il dito medio nel sedere di un altro uomo mentre lo stesso veniva fatto a loro. Durante la supervisione di queste sessioni, il dottor Tim pare avesse rimproverano gli uomini che erano sconcertati per la prescrizione. Il Dr. Tim aveva rapporti sessuali con molte donne, molti uomini, e alcune ragazze adolescenti i cui genitori erano single nel gruppo. Una bambina di nove anni riferì di essere stata chiusa nella sua stanza per oltre  tre anni con i membri del gruppo, dimenticando spesso il suo cibo perché erano stordita da droghe. Il Dr. Tim possedeva tutti i beni e le automobili dei suoi pazienti e spesso usava il  materiale che aveva imparato per sessioni di terapia individuale come leva per portare i pazienti a devolvergli  le proprie proprietà e possedimenti

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Poco dopo essersi trasferito di nuovo sulla costa ovest degli Stati Uniti, un certo numero di seguaci scappò. Alcuni andarono alle autorità legali, solo per scoprire che il dottor Tim non aveva tenuto il suo rilascio di autorizzazioni o di assicurazione. Il dottor Tim è morto di cancro poco dopo il ritorno alla costa ovest. Un piccolo gruppo di suoi ex “pazienti” vivono ancora nei pressi di uno di loro e si incontrano per esaltare le virtù del loro leader e si chiedono perché le loro vite non hanno mai funzionato. La loro confusione continua 20 anni dopo che  il dottor Tim ha avviato il gruppo e che ha promesso una cura per liberarli. Ex membri sostengono che loro e il gruppo che ancora si aggrappa alla memoria del Dr. Tim sono stati danneggiati in maniera irreversibile.

 

 

Culti di terapia non professionale

La libertà sulla costa dell’est ha permesso lo  sviluppo di  due culti psicologici in Stati che non hanno leggi che regolano le pratiche psicologiche. Alcuni uomini al ritorno da detenzioni restrittive elaborarono terapie che portarono alla costruzione di comunità settarie. Un gruppo era basato sulla tecnica di  “Primal Scream”, l’altro sulla terapia di attacco provocatorio di un tipo spesso etichettato come un programma “Synanon-clone”.
Un caso. Un uomo operava da un appartamento al secondo piano in un quartiere occupato metropolitano. Reclutava adepti dai bar nelle vicinanze, librerie e avvicinandosi a mense in cui erano presenti  uomini  e donne single, invitandoli a prendere un caffè e parlare con lui della sua “terapia”. A volte usava manifesti in cui venivano pubblicizzate conferenze gratuite sulla “psicologia del sesso, sulla psicologia in generale  e sulla solitudine.” La sua intelligenza di strada assieme al suo estro e al suo gergo procuravano una attenzione intensa e seduzione. Raccontava storie dettagliate in privato sulla sessualità ma le raccontava anche in pubblico,  in sessioni di gruppo, per dimostrare come era “addolorato e danneggiato” da ogni persona. Nel suo gruppo si pagava poco per incontri iniziali, ma nello stesso tempo elaborava costosi corsi “intensivi”. Radunò informazioni dettagliate sulla situazione patrimoniale di ogni persona, famiglia e contatti sociali.  Combinava le sue  informazioni con le proprie interpretazioni delle tecniche di Primal Scream per fa abbassare le difese dei suoi adepti e per renderli sempre più dipendenti da lui. Una quindicina di persone negli ultimi otto anni hanno speso il loro tempo libero con lui, frequentando i seminari e incontrandolo individualmente più volte alla settimana, e facendo affidamento su di lui per la maggior parte delle decisioni della vita. Diversi studenti universitari chiedevano denaro ai propri genitori per l’acquisto di “terapia” da lui. Chiedeva  che le sue prestazioni fossero pagate in contanti. C’è stato turn-over tra i seguaci, ma pochi erano stati presenti nel primo periodo in cui ha creato il gruppo.

Secondo caso. Il secondo gruppo è stato avviato da un comunicatore descritto come un borghese,  un uomo sulla quarantina che aveva imparato la terapia conflittuale di attacco durante un programma di riabilitazione dalla droga, che gli era stato somministrata durante il periodo di dentenzione.

La sua storia rivela un carattere disordinato di un uomo che, dopo aver lasciato il suo programma di riabilitazione dalla droga, ha visto i vantaggi economici di fornire “terapia” per difficoltà ad adulti occupati in uno stato al limite della legalità. Usando le sue tecniche di accoglienza e le modalità di controllo, ha “messo su bottega”. Inizialmente, ha attirato alcuni clienti dal bar e da un ristorante, poi ha chiesto  loro di reclutare  amici e parenti. Più tardi, ha iniziato  la collaborazione con uno psichiatra ed uno psicologo. Questi professionisti gli erano utili per creare un’aura di “scienza e credibilità” a quella che era la sua attività. I documenti legali (non citati qui per proteggere l’anonimato delle parti lese) hanno evidenziato che nessuno dei suoi pazienti è stato visitato e inviato ad un trattamento più appropriato medico o psicologico.
Per più di dieci anni ha controllato la vita di un gruppo di circa sessanta persone. Ai suoi ordini, questi seguaci hanno limitato le loro amicizie al gruppo, hanno reciso le relazioni con le loro famiglie di origine, hanno trascorso la maggior parte del loro tempo libero, vacanze comprese, con lui, e strutturato le loro vite dopo il suo diktat. Dirigeva gruppi di confronto, offriva consulenza individuale, supervisionava la vita sanitaria, finanziaria e sociale dei suoi “clienti”, e li induceva a trascorrere le proprie vacanze con lui.

Terzo caso. In un altro stato, un uomo abbandonato ha iniziato la  sua carriera in un culto composto principalmente da assistenti di volo delle linee aeree. Ha partecipato a molti incontri di formazione e si è sottoposto a  terapia personale. Egli ha letto molto sulla psicologia “innovativa” e si è sottoposto abilmente  a psicoterapie varie, interviste, tecniche interpretative e di mediazione. Ha frequentato ristoranti vicino ad un aeroporto locale sino a tarda notte. Con una tazza di caffè e il giornale della sera aveva avuto un approccio con una assistente di volo femminile che stava mangiando da sola, chiedendole di condividere la sua tavola. Le aveva spiegato che era un genitore premuroso per i suoi figli giovani che erano a casa con una baby-sitter, si informò sulla carriera della donna e della famiglia e fece una breve intervista di screening per individuare la solitudine, la vulnerabilità, la fiducia nelle donna. Non le fece offerte sessuali, ma mentre la donna stava terminando il suo pasto scrisse il suo indirizzo e numero di telefono su una scheda e le disse: “Domani sera incontrerò alcuni amici. Parlerò di alcune riflessioni sulla psicologia con loro. Sei invitata, se vuoi.” Egli poi aveva indotto un certo numero di donne a trasferirsi nella sua grande casa, dalle quali faceva pagare l’affitto, si faceva fare donazioni “per il gruppo” e per le lezioni e le consulenze psicologiche che lui offriva. Alla fine ha indotto il suo gruppo di  “pazienti”, che egli consigliava intensamente, a limitare la loro vita sociale al gruppo ed evitare vecchi amici, parenti e amanti. Ha incontrato singolarmente con ogni donna, ripetutamente per “analizzare” le sue esperienze passate negative e sviluppare un intenso rapporto di “transfert”, in cui era in grado di ottenere una dipendenza sempre più forte da lui. Nel tempo è riuscito ad organizzare un giro d’affari tra gli  iscritti, ed anche a sviluppare una rete di seguaci donne che avevano l’onore di diventare le sue amanti, baby-sitter e governanti. Le donne più alla periferia venivano sottoposte a un’intensa “analisi” mediante sessioni in cui interpretava le loro motivazioni e cercava di evocare intense “esperienze catartiche”. Coloro che si spostano più vicine a lui sostituivano man mano  quelle che si allontanavano.

Quarto caso. Ancora un altro gruppo cultuale è stato attivato circa otto anni fa da Ray, un uomo senza titoli di studio. Ha mantenuto un gruppo di una media di circa 30 membri in tutto quel periodo. Una parte importante di questi seguaci sono psicologi e laureati in psicologia in fase di tirocinio. Ray attrae questi professionisti attraverso annunci per seminari sullo sviluppo del potenziale umano. Egli afferma che insegnerà loro come “unire, trasformare, e coniugare le proprie esperienza di vita”. Egli sostiene di offrire i suoi servizi in maniera “completamente gratuita”, e che “insegnerà a realizzare i propri sogni, perché l’universo è a portata di mano”. Vende corsi di formazione di base di tre settimane, di solito in località di vacanza attraente, in cui promette modi per “ricreare continuamente se stessi, essere liberi acquisire il tutto in modo gratuito.” Ricoprendo queste abilità personali “nascoste” di ciascuno, promette ai partecipanti di renderli terapeuti e persone più libere.
Ray recluta selettivamente alcuni partecipanti dei seminari chiedendo loro di trasferirsi a casa sua vicino a una grande città, dove egli afferma che si “trasformeranno, alleneranno, impareranno ad arrendersi, ad essere in servizio, e ad abbattere le loro difese, ad affidarsi”. Abbastanza importante, ha messo su un “fondo finanziario libero” a cui seguaci sono chiamati a contribuire “solo con contanti, niente assegni o carte di credito”.
Quando i suoi seguaci si trasferiscono da lui, Ray dice loro che sono “perdenti, che devono rinunciare alla propria vita per lui e che egli è la loro guida, il loro Maestro”. Poiché la maggior parte sono professionisti e provengono da altri stati, spesso hanno difficoltà a trovare lavoro a causa di problemi di licenza e di altro genere. Così, la maggior parte è costretta ad accettare lavori a bassa retribuzione o di prendere in prestito denaro al fine di partecipare ai servizi offerti di Ray.

I seguaci che non mostrano una costante attività vengono considerati da Ray come perdenti e vengono messi da parte a svolgere ”trattamenti” degradanti. Queste persone riferiscono che mentre erano nel gruppo erano depressi, demoralizzati, e cronicamente ansiosi rispetto a come “essere”. La loro autostima è stata schiacciato e si sentivano dipendenti, sbagliati e cercavano ansiosamente di comportarsi come Ray avrebbe voluto. L’atmosfera prevalente del gruppo è stato un contrasto tra alta tensione prodotta da Ray e la dipendenza indotta. Ex seguaci descrivono come Ray che sembra essere la più innocente, la più tenera persona, è l’uomo più spietato che abbiano mai incontrato. Ripete ai suoi seguaci di “ricreare loro stessi, per mezzo di una trasformazione, fusione con quella esperienza che egli permette loro di avere”.
Uno psicologo esperto sulla quarantina d’anni ha trascorso diversi anni con il gruppo, mentre lavorava in una clinica di tutto rispetto. Egli ha osservato: “In qualche modo quando ero intorno a lui, ho perso il mio senso di sé, ho perso tutta la mia conoscenza, tutte le mie capacità diagnostiche non sono riuscito a riconoscere uno psicopatico brillante aveva il controllo su di me.” Il gruppo continua a crescere e Ray ha ora  dato vita a due grossi gruppi di seguaci.

Osservazioni conclusive

I gruppi segnalati qui, sia se creati da terapeuti formati sia da non professionisti, nascono assumendo molteplici ruoli e portano tutti i leader ad esercitare un controllo sulla vita dei cosiddetti pazienti-seguaci. I leader di questi culti di psicoterapia sembrano corrotti e utilizzando liberamente nozioni di psicologia e popolar-psicologia fanno affermazioni senza limiti, acquisendo poteri e competenze personali. Così essi denigrano i genitori dei loro pazienti, il matrimonio e l’unità familiare ed esaltano l’espressione cruda dei “sentimenti” ritenendo l’intelletto e la ragione come ostacoli alla crescita personale.
Alcuni leader, ma non tutti, hanno ampiamente promulgato la nozione di “uscire di testa” e, di conseguenza, avevano seguaci  tecnici o professionisti del settore. In molti casi, la perdita di controllo assieme a quella del proprio patrimonio economico ha reso sempre più dipendenti i seguaci dal proprio leader.
La personalità, i tratti del carattere, e la viva fantasia dei leader di questi gruppi settari sembrano dirigere l’intero percorso di un particolare gruppo. Diversi leader esagitati o psicopatici, per esempio, hanno creato gruppi che sono in continua attività. In un caso un leader ha chiesto ad un  suo seguace di spostare la sua residenza 25 volte in due mesi. In altri casi, come ad esempio nelle sessioni di gruppo sull’omosessualità del Dr. Tim, il leader lentamente disinibiva  i suoi membri al fine di persuaderli ad accettare comportamenti e valori che permettevano a lui di vivere le sue fantasie, come ad esempio essere una persona potente, essere al di sopra della legge, indulgere in atti sessuali sfrenati, etc. Temerlin & Temerlin nei loro primi lavori hanno evidenziato come alcuni terapeuti formati funzionassero come leader di setta (Temerlin & Temerlin, 1982, 1986) ed hanno identificato le principali caratteristiche dei culti di psicoterapia. Essi hanno scritto:

Gli psicoterapeuti con caratteristiche di tipo carismatico possono così manipolare la relazione terapeutica creando dei gruppi di persone che funzionano in maniera molto simile ai culti religiosi distruttivi. Le tecniche usate da questo tipo di  terapisti sono caratterizzate da:  a) aumento della dipendenza, b) aumento dell’isolamento, c) riduzione della capacità di pensiero critico, e d) scoraggiamento dell’interruzione della terapia. (Temerlin & Temerlin, 1986, p. 234)

Altre ricerche successive, riportate in bibliografia, di Temerlin Temerlin hanno portato ad altre scoperte di culti di psicoterapia creati da non professionisti. Come per altri tipi di sette, i culti di  psicoterapia tendono ad impiegare programmi coordinati di influenza, di sfruttamento e di controllo del comportamento al fine di soggiogare i membri alle esigenze e ai desideri dei dirigenti. Questi gruppi ben illustrano i processi che caratterizzano un programma di riforma del pensiero, e mostrano chiaramente come i leader attaccano e minare il senso di sé dei seguaci, così privandoli della capacità di autonomia del  giudizio e della elaborazione dell’informazione sul mondo e su se stessi.

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Acknowledgements

We are grateful to Jane Temerlin, M.S.W., wife and colleague of the late Dr. Maurice Temerlin, for her assistance in completing this manuscript, which meant so much to her husband.

*******************************

Margaret Thaler Singer, Ph.D ., Adjunct Professor of Psychology at the University of California, Berkeley, passed away in 2003.

Maurice K. Temerlin, Ph.D., before his death in 1988, had been in private practice in Oklahoma City.

Michael D. Langone, Ph.D. is Editor of the Cultic Studies Journal and Executive Director of the ICSA .

______________________

Cultic Studies Journal, Vol. 7 No. 2 1990
This article is an electronic version of an article originally published in Cultic Studies Journal, 1990, Volume 7, Number 2, pages 101-125.

http://www.freeminds.org/psychology/cults/psychotherapy-cults.html

 

Margaret Thaler Singer, Ph.D.

Professore emerito di psicologia presso la Berkelev, Università della California. Muore il 23 Novembre 2003, all’età di 82 anni.

Durante la sua attività ha tenuto conferenze in tutto il mondo e ha ricevuto diversi riconoscimenti per il suo lavoro, tra cui il premioHopheimer nel 1966 dall’American College of Psychiatrist e la Stanley Dean R. e quello per la ricerca in schizofrenia nel 1972 dalla American College of Psychiatrists .

La Singer ha prodotto ricerche innovative sul lavaggio del cervello dei soldati americani catturati durante la guerra di Corea, e spesso è stata nominata da avvocati come testimone esperto o anche contattata dai mezzi di informazione per il commento su casi di alto profilo, tra cui il Tempio del Popolo e il suicidio di massa a Jonestown, nella Guyana. Inoltre si è occupata della ricerca del Hillside Strangler a Los Angeles, e quella su Branch Davidian e del culto Porta del Cielo. Nel corso degli anni, ha intervistato più di 4.000 membri di sette, tra cui Charles Manson e molti dei suoi seguaci.

 

Traduzione libera di Lorita Tinelli ©

 

 

 

Abusi sessuali in psicoterapia

SEGNALAZIONE

Gentile Redazione di OPM, ho di recente letto un articolo che parlava di uno  psicoterapeuta che avrebbe molestato sessualmente una sua paziente e ho visto  nel corso di quest’anno due servizi delle Iene  su fatti analoghi  che vedono coinvolto un altro professionista. Questi episodi mi preoccupano un pò, io ho da poco iniziato una psicoterapia individuale con uno psicoterapeuta  che mi è stato consigliato da un’amica e leggendo e guardando questi servizi  sono rimasta sconcertata dal fatto che questi professionisti, ai quali ci si è  rivolti per essere aiutati, abbiano utilizzato in realtà le loro competenze e  il rapporto di fiducia instaurato con le pazienti per appagare i loro bisogni,  arrivando ad arrecare ancora più sofferenza a queste donne. Mi chiedo come possano accadere cose del genere e come può una paziente capire quando uno  psicoterapeuta sta oltrepassando i limiti del suo mestiere e cosa fare per  evitare di essere coinvolti in questi fatti.

Vi riporto i link dei servizi di cui ho parlato

http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Cronache_e_politica/Abusi-sessuali-arrestato-psicoterapeuta/03-12-2010/1-A_000146780.shtml

http://www.irpinianews.it/Cronaca/news/?news=79536

http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/163258/trincia-uno-psichiatra molestatore.html (video di aprile 2010)

http://www.video.mediaset.it/video/iene/puntata/182248/trincia-psichiatra-molestatore.html (video di settembre 2010)

Lettera Firmata

COMMENTO DELLE DR.SSE IMMACOLATA PATRONE E LORITA TINELLI

… lo scopo della formazione non è quello di trasformare l’analista

in un cervello meccanico capace di produrre interpretazioni

in base ad una procedura puramente intellettuale,

ma piuttosto di metterlo in condizione di

sostenere i sentimenti che vengono suscitati in lui

invece di liberarsene (come fa il paziente) (Heimann, 1950)

Dalla lettera della nostra segnalante traspare sorpresa, preoccupazione e timore, suscitati dalla lettura di una notizia di presunti abusi sessuali da parte di uno psicoterapeuta su una sua paziente/cliente e dalla visione di due filmati della trasmissione televisiva “Le Iene”, nei quali vengono riportate testimonianze  di molestie a carattere sessuale perpetrati  ai danni di ragazze  che si sono rivolte al medesimo psicoterapeuta.

Non entriamo nel merito dell’identità dei professionisti coinvolti in tali documenti segnalatici né in quella della veridicità delle notizie riportate dai mass media. Tale compito spetta alle autorità preposte alle indagini.

Appare assurdo alla nostra scrittrice, come a molte altre persone, che un professionista che dovrebbe aiutare coloro  che a lui si rivolgono per superare traumi, periodi dolorosi, difficoltà di carattere psicologico, possa rendersi colpevole di tali atti deprecabili.

Occorre precisare che questi casi sono rari ma comunque possibili, com’è possibile in qualsiasi professione o mestiere imbattersi in professionisti che non solo non rispettano il codice deontologico, ma che a volte si rendono colpevoli di veri e propri reati, utilizzando in modo manipolatorio  le competenze acquisite. Già nel 1990 negli USA fu pubblicato un libro, dal titolo ‘Sexual intimacies between psychotherapist and patients (Lerman. 1990) in cui, forse per la prima volta, si tentava di analizzare un fenomeno di cui si parlava molto poco, ma che, evidentemente, era presente, anche se in minima percentuale, in alcune relazioni medico-paziente. In uno studio successivo (Schoener et al. 1990) gli autori asserivano che, sempre negli USA, un’indagine realizzata su 8000 tra psicologi e psichiatri evidenziava come il 10% di loro avesse ammesso di aver avuto contatti sessuali con i loro pazienti (tali contatti erano descritti come: baci, abbracci, carezze e rapporti sessuali veri e propri).

Nei video delle “Iene” sono purtroppo evidenti, dai racconti delle pazienti/clienti e dalle affermazioni del terapeuta, fatti che presumibilmente riporteranno alla formulazione di reati.

In tali casi, infatti,  non solo c’è violazione del codice deontologico ma probabilmente si è di fronte  ad una persona con delle gravi problematiche psicologiche non risolte, che riversa nella sua professione a danno dei suoi utenti, facendo leva sulle loro fragilità, trincerandosi dietro la veste di professionista per difendere il suo comportamento e insinuando sensi di colpa nelle sue pazienti (meccanismi attraverso i quali si agisce “manipolazione psicologica”), o più semplicemente si è di fronte ad una persona in malafede che ha da tempo svestito i panni del professionista o non li ha mai veramente indossati.

Nessuno psicoterapeuta serio e psicologicamente “sano” toccherebbe o richiederebbe toccamenti intimi alle sue pazienti, né farebbe telefonate erotiche o richieste di chattare via internet con ragazze nude. Il forte imbarazzo delle ragazze, il desiderio che quell’ora passasse in fretta, il senso di costrizione e di repulsione provati, sono spie di un malessere crescente e della sensazione di trovarsi di fronte a comportamenti sospetti.

Tutto ciò, ovviamente, non appartiene alla sfera della psicoterapia ma a quella della manipolazione e del reato. Margaret Singer e Janjia Lalich (1998) nel loro libro “Psicoterapie Folli” affermano che tali coinvolgimenti sessuali non fanno parte di relazioni clandestine consensuali, ma sono rapporti incoraggiati all’interno di una relazione impari, in cui uno dei due membri (il terapeuta) ha più potere sull’altro e lo esercita in modo manipolatorio, arbitrario e dannoso per il suo paziente/cliente. Egli anziché definire limiti sicuri e ‘sani’ all’interno del rapporto terapeutico, ignorando la deontologia, sottomette i suoi pazienti, inducendoli a fare tutto quello che desidera, in qualità di figura autorevole.

Il primo passo che egli compie è quello di approfittare della loro fragilità facendo leva su di esse, per creare uno stato di dipendenza totale che gli è utile per iniziare ad indurre nel suo paziente le sue idee, i suoi bisogni  e i suoi desideri personali. La Singer e la Lalich affermano che, in alcune occasioni, il terapeuta viene supportato nel suo progetto anche grazie alla pressione esercitata dagli altri clienti sul nuovo paziente, specialmente nei contesti di terapia di gruppo. L’idea che il terapeuta impone al/la suo/a paziente/cliente è che fare sesso con lui fa bene. Se il/la paziente si ribella il terapeuta fa cadere su di lei/lui il biasimo, utilizzando anche riferimenti teorici ad interpretazione del diniego del paziente nel percorrere la strada che lui asserisce essere quella più idonea alla sua guarigione. In diverse occasioni il terapeuta arriva anche a cacciare il/la proprio/a cliente e quest’ultimo/a arriva, a volte, persino ad implorarlo di non interrompere quel “rapporto professionale” seppur malato, e ad adeguarsi alle indicazioni del terapeuta, segnali questi del legame perverso instauratosi, che vede il paziente succube del suo terapeuta.

Alcune ricerche condotte negli anni ‘80 negli USA, hanno dimostrato che una percentuale compresa tra il 33 e l’80% dei terapeuti che avevano incoraggiato relazioni sessuali con le loro pazienti, avevano manifestato la tendenza a farlo con più clienti. (Gartrell e al. 1989).

Da uno studio realizzato su 400 persone abusate sessualmente dai loro terapeuti, Margaret Singer ha identificato alcuni elementi ricorrenti nelle terapie in cui si sviluppano relazioni sessuali tra terapeuta e paziente (1998).

In generale:

1)   Il terapeuta che commette abusi appare ‘poco competente’ dal punto di vista professionale; tende a parlare di se stesso in terapia e dei suoi personali bisogni e manifesta un grado leggero o medio di narcisismo.

2)   Ha la convinzione egocentrica e semplicistica di essere al di sopra della legge e dei limiti che il suo codice deontologico gli impone. In tal caso riesce a convincere i propri clienti che non è lecito avere rapporti sessuali o intervenire nella vita dei loro clienti, ma lui può farlo perché ‘sa come gestire quella relazione’.

3)   Il terapeuta non effettua una diagnosi sul proprio paziente, ma imposta il trattamento in base alle sue personali teorie preferite, senza peraltro costruire un progetto chiaro di trattamento.

4)   Non rispetta la riservatezza, ma parla alla sua cliente anche dei problemi di altri clienti, iniziando un rapporto di confidenza tanto da farla sentire speciale.

5)   Non è in grado di riconoscere gli elementi del transfert e del controtransfert.

Una manipolazione di dinamiche psicologiche, all’interno del setting terapeutico o in altri contesti , può portare la ‘vittima’ a percorrere tre diversi stati emotivi e comportamentali:

1)   Incredulità, in quanto essa non può credere a ciò che sta accadendo né a ciò cui vorrebbe portarla a fare il suo terapeuta.

2)   Difesa, la vittima tenta di difendersi anche energicamente, ma percepisce il potere del suo terapeuta come fortemente presente e inizia a vivere il suo rapporto ambivalente con lui con tanti sensi di colpa. Del resto il terapeuta è la figura che ha scelto per essere aiutata e non può farle del male.

3)   Depressione, alla fine la vittima si convince che il suo terapeuta, non può non aver ragione, si rassegna, manifestando una sempre maggiore vulnerabilità e dipendenza.

L “effetto finale” è che tali modalità di azione rischiano di danneggiare il destinatario, o il paziente in questo caso, di confonderlo, portandolo ad instaurare forti rapporti di dipendenza, di inadeguatezza  e, di segnarlo per sempre. Come conseguenza, la persona abusata, ha anche messo a rischio le sue relazioni esterne e, quindi, la sua vita.  Le stesse Singer e Lalich (1998) affermano che a questo punto la disperazione e il peggioramento della salute mentale della cliente, portano il terapeuta a non ritenerla più una ‘persona divertente’ . Egli, temendo qualche reazione da parte del marito, amico o parente della sua cliente, o che della relazione possano venire a conoscenza i suoi colleghi, chiude bruscamente il rapporto ‘professionale’, aggiungendo altri problemi alla cliente, dovuti ad una interruzione improvvisa di un rapporto malato. Non sono rari i casi in cui qualcuna ha anche tentato il suicidio.

Al di là di questi spiacevoli fatti di cronaca, vorremmo comunque sottolineare la correttezza e la preparazione  della grande maggioranza dei professionisti della salute e  soffermarci sulle peculiarità tipiche del lavoro psicoterapeutico, che lo differenziano da tutti gli altri. Lo psicoterapeuta, a differenza di altri professionisti, lavora con  una materia molto complessa e delicata, la psiche umana, e per far ciò instaura un rapporto forte e psicologicamente coinvolgente con il paziente/cliente. La relazione psicoterapeutica, in quanto appunto relazione, prevede dinamiche bidirezionali di coinvolgimento,  essa prevede da parte del paziente/cliente  una motivazione ad intraprendere e proseguire il percorso terapeutico, la disponibilità a mettere a nudo la propria anima, a raccontare se stesso, la sua vita relazionale, la sua vita interiore, la disponibilità a fidarsi e ad affidarsi alle “cure” del professionista.

Lo psicoterapeuta, da parte sua, si  assume la responsabilità di prendere in carico il proprio cliente, di accoglierne la domanda, di accogliere e contenere empaticamente le emozioni, i sentimenti, le sofferenze, i conflitti e di elaborarne insieme a lui i significati profondi, ma non solo, egli porta ineluttabilmente nella relazione terapeutica se stesso, le sue caratteristiche di  personalità, la sua storia di vita, le sue emozioni, i suoi sentimenti. Un buon percorso di studio, di supervisione e di formazione, anche psicoterapeutica individuale, alla quale sarebbe auspicabile che qualunque scuola di formazione indirizzasse i suoi allievi aspiranti psicoterapeuti, dovrebbe consentire al professionista di gestire al meglio le dinamiche transferali (ciò che il paziente proietta sul terapeuta e nella terapia)  e controtransferali (“ciò che insorge nel terapeuta per l’influsso del paziente sui suoi sentimenti inconsci”, Freud ),  che inevitabilmente emergono nel corso di un processo terapeutico, e di analizzarle all’interno del setting terapeutico insieme al suo paziente/cliente, al fine di coglierne i significati profondi e  renderle agenti propulsivi di crescita e cambiamento.

Al contrario la negazione, la mancata elaborazione o il rifiuto di dinamiche transferali, (possono verificarsi, per esempio, anche casi d’infatuazione o innamoramento del paziente o della paziente nei confronti del proprio terapeuta) potrebbero rappresentare non solo una rottura del rapporto terapeutico ma un ulteriore ferita o trauma alla psiche dei pazienti/clienti.

Non solo emozioni e sentimenti positivi possono essere oggetto di proiezione sul terapeuta o sul paziente, ma anche sentimenti ed emozioni negative. Questi ultimi sono spesso più difficili da accettare ed elaborare e richiedono anch’esse un’elaborazione reciproca paziente-terapeuta all’interno del percorso terapeutico. Alcuni studi recenti (Galeazzi, G. M. and P. Curci, 2003; Curci P., G.M. Galeazzi and C. Secchi, Ed 2003;  Galeazzi, G.M., K. Elkins and P. Curci, 2005) hanno, per esempio, evidenziato alcuni effetti negativi che possono ripercuotersi sulla figura del terapeuta. Sembrerebbe difatti che  la categoria vittimologica  più a rischio di atti di aggressività o molestia da parte di pazienti/clienti, risulta essere proprio quella dei professionisti dell’aiuto. I due autori hanno evidenziato come su 108 tra psichiatri, psicologi e specializzandi osservati, il 20% di loro avesse subìto per almeno un mese una campagna di stalking da parte di pazienti con cui erano entrati in contatto professionale.

Per lo psicoterapeuta ben formato, dovrebbe essere più facile non solo riconoscere queste dinamiche in se stesso e nell’altro, ma anche accettarle e gestirle nella maniera più efficace, nella relazione con il paziente.

La reciprocità delle dinamiche transferali e controtransferali nella relazione terapeutica è ben sintetizzata dalla Heimann (1950) quando afferma: “ la risposta emotiva dell’analista nei confronti del paziente, nella situazione analitica, rappresenta uno dei più importanti strumenti del suo lavoro. Il controtransfert è uno strumento di ricerca nell’inconscio del paziente… Non è stato sufficientemente delineato che si tratta di una relazione tra due persone. Ciò che distingue questa relazione dalle altre non è la presenza di sentimenti in un partner, il paziente, e l’assenza nell’altro, l’analista, ma, soprattutto, l’intensità dei sentimenti provati e l’uso che se ne fa, giacché questi fattori sono interdipendenti”.

– Curci P., G.M. Galeazzi and C. Secchi (Ed). (2003). La sindrome delle molestie assillanti (stalking). (pp. 157-168). Turin: Bollati Boringhieri. SEE BOOK.

– Galeazzi, G.M., K. Elkins and P. Curci (2005). “The stalking of mental health professionalsby patients.” Psychiatric Services 56:137-138.

– Galeazzi, G. M. and P. Curci (2003). Le Molestie Assillanti nella relazione terapeutica in psichiatria.

– Gartrell N. et al (1989), “Prevalence of psychiatrist-patient sexual contact”. In G.O. Gabbard (a cura di), “Sexual exploitation in professional relationships”, Washington, DC, American Psychatric Press

– Heimann P. (1950), On Countertransference, International Journal of Psychoanalysis.

– Lerman H. (1990), “Sexual intimacies between psychotherapist and patients: An annotated biblioghraphy of mental healt, legal and public media literature and legal cases”, Washington, DC, American Psychological Association

– Schoener G. R. et al (1990), “Psychotherapist sexual involvement with clients: intervention and prevention”, Minneapolis

– Singer M.T. e Lalich J. (1998) Terapie indecenti in “Psicoterapie Folli”, Edizioni Erickson

PARERE DEL PROF. GIROLAMO LO VERSO

I) Premetto che il fenomeno, quantitativamente, non sembra molto diffuso ma che risuona molto per la sua odiosità. Premetto, altresì, che qui non è in discussione la sessualità in sé, che è un valore di vita assolutamente positivo. La sessualità, l’eros, come rapporto consenziente tra adulti è, in ogni sua forma, libertà, vitalità e reciprocità. La cosa diventa orrenda quando tale consensualità viene meno per lasciare il passo all’uso ed all’abuso ed alla  manipolazione. Il capoufficio (ma oggi inizia anche al femminile), il docente universitario  o il politico (a livelli più giovanili entriamo nella pedofilia) o il professionista della salute che con lusinghe di carriere, voti, con intimidazioni e manipolazioni, richiede prestazioni sessuali è equiparabile allo stupratore, e forse è ancora più viscido. Il problema, come dicevo, non è certo il sesso in quanto tale. Già, ma allora perché l’abuso è distruttivo e patologico? Perché si esce dallo scambio e dalla condivisione relazionale, dal gioco condiviso e collusivo, dalla ricerca comune di piacere e complicità e si passa alla dimensione del piacere extra-erotico. Foucault aveva ben individuato che la sessualità è un grande potere (è stata la rivincita del femminile insieme alla maternità). Essa, tuttavia, resta fisiologica quando questo potere resta all’interno della sessualità. La seduzione è uno dei motori del mondo. Il se-durre, il portare a sé, sono il gioco uomo-donna ( e non solo) con cui vive l’umanità. Non è un caso che dai nostri studi sulla “psiche mafiosa” è emerso che in questo mondo la sessualità è quasi inesistente e “cumannari è mugghi ri futtiri” (il potere è meglio dello scambio erotico) e l’omofobia è violentissima.

La cosa cambia quando, in qualche modo, si ha a che fare con forme di manipolazione e costrizione che utilizzano strumenti di potere non sessuali. Il problema si pone come particolarmente grave dove ci sono situazioni di squilibrio. Particolare “scandalo” hanno dato, ad esempio, il diffuso (ed ancora poco studiato) fenomeno dei preti pedofili o quello dei potenti politici, per di più malati di prostata, che “comprano” ragazzine a loro volta disponibili a “farsi comprare”, o l’abuso sessuale nelle professioni in cui qualcuno affida i propri problemi e debolezze all’altro, come in medicina o in psicoterapia. Molti anni fa, in quello che forse fu il primo studio semi-empirico che noi abbiamo fatto sulla psicoterapia, con il professore Profita studiammo il lavoro dei maghi. Cercando di vedere che differenza ci fosse tra loro e gli psicoterapeuti. Ne trovammo solo una: l’elaborazione della dipendenza. I maghi, infatti, subiscono una qualche selezione, fanno un training (a volte, più approfondito di quello di alcune scuole), hanno un setting. Lavorano, però, per indurre dipendenza e sottomissione devota. Utilizzano anche, ahimè, molto bene, i fenomeni gruppali (i clienti in sala d’aspetto) per aumentare il loro carisma e la fama di guaritori onnipotenti. Non a caso, soprattutto classicamente, se il mago è un uomo e la cliente una donna giovane, questo sfocia spesso in agiti di tipo sessuale. Già allora ci chiedevamo, però, quanti psicoterapeuti realmente lavorassero per elaborare e superare la dipendenza? Ciò può avvenire o “indossando il camice” e cioè con un atteggiamento di separazione ed un rapporto asettico, o con un’elaborazione di tipo analitico sulla relazione ed i processi transferali. Personalmente ho radicalizzato questo punto proponendo di integrare l’elaborazione freudiana sul transfert e sul controtransfert (ciò che nel terapeuta risuona di ciò che il paziente mette in lui) con quella sul co-transfert (inizialmente proposto dalla scuola di Napolitani). Indico con questo termine ciò che il terapeuta mette, di suo, nella relazione. Per quanto “ben analizzato”, come si dice, il terapeuta ha una sessualità, una cultura, una storia personale, dei bisogni, ecc. Tutto questo non può, non deve, a mio avviso, essere depurato o neutralizzato. La relazione è lo strumento principale per effettuare psicoterapia. Solo una persona ne può curare un’altra. Entrano, però, in ballo cose come la trasparenza relazionale[1], l’etica e la capacità di auto-svelamento del terapeuta, in primo luogo a se stesso. Senza tutto ciò i rischi di manipolazione dell’altro sono sempre presenti. Solitamente, per fortuna, non portano ad agiti sessuali ma, comunque, portano ad inadeguatezza del lavoro di cura. Come possono i pazienti difendersi in questa situazione, vista anche la scarsa attenzione a queste tematiche da parte degli ordini professionali (tranne nei casi eclatanti), delle commissioni ministeriali e delle scuole, delle società scientifiche e delle università? In primo luogo, va verificato che lo psicoterapeuta sia realmente tale, sia formalmente che informalmente (un’infinità di persone fanno cose che richiederebbero invece una psicoterapia professionale), che la formazione e l’esperienza  di questi professionisti sia robusta e qualificata, fatta in scuole serie che propongono un’etica della cura all’interno di modelli chiari, verificati e rigorosi. Ci sono anche formazioni che sono quasi per corrispondenza purché si paghi e “scuole” che non hanno mai fermato un allievo nemmeno se questi ha nuclei psicotici. È stato, comunque, noto il caso di un “filosofo” che faceva “l’analista” e che veniva “assaltato” dalle pazienti. Potenza del transfert (o della manipolazione) visto che pare fosse assai bruttino ma, soprattutto, malato di narcisismo. È anche da valutare se le eventuali denuncie sono più una patologia della relazione che un reale abuso, dove quindi la “colpa” è più nell’incompetenza professionale che nelle molestie. Senza dimenticare il rischio di ingiuste diffamazioni, (una volta è realmente successo, come ho), come ho potuto verificare in qualche perizia.

Detto questo, va anche ricordato che, nel campo della psicoterapia, l’Italia è piena di professionisti seri, di studiosi attivi ed attenti, di persone che hanno fatto una seria formazione e la cui deontologia professionale è elevata. Il tema degli agiti sessuali ne rilancia un altro: quello della cura personale del terapeuta. Su questo ci sono almeno due soluzioni (escludendo quegli intrattenimenti chiamati “analisi” che consistono in 50 ore di discussione fatte all’interno della stessa scuola, un utile momento maturativo che però non può però essere considerato come un’analisi personale che curi il futuro curante.). Una è quella analitica: solo l’analisi personale può consentire una conoscenza degli aspetti inconsci di sé che eviti gli agiti seduttivi e manipolativi o, comunque, incontrollabilmente narcisistici del terapeuta (aggiungo che ciò è ancora più rilevante nei setting di gruppo per la loro forma e radicalizzazione relazionale). L’altra è quella degli orientamenti cognitivi e sistemici nei quali la relazione è cura dell’altro e sull’altro ( quasi di tipo medico pur con epistemologie e diagnostiche assai diverse) e quindi il problema è che ciò sia professionalmente ben impostato e funzionale). Sono posizioni rigorose entrambe, purchè si definiscano con chiarezza tempi, limiti e obiettivi di ogni trattamento. Ad esempio, una terapia breve non è gestibile con la relativa non direttività analitica e viceversa, una lunga implica la gestione di processi relazionali e transferali profondi. Come si vede, il problema porta alla gestione dell’etica che implica consapevolezza delle metodologie adoperate rispetto agli obiettivi, di sé e del proprio mondo interno ed emotivo rispetto alla relazione, della centralità della vita e della sofferenza dei pazienti, delle possibilità e limiti della formazione, dei propri bisogni psichici (e non solo) che entrano in ballo nel lavoro di cura. Implica l’umiltà di chiedere aiuto a colleghi senior in caso di difficoltà e l’attenzione profonda ed eticamente rigorosa di una comunità professionale che non può stare a guardare le cose non deontologiche che accadono. A mio avviso, in realtà, più spesso ci sono problemi nella mancata cura o nella gestione narcisistica della relazione, che nelle molestie sessuali agite fisicamente. A mio avviso, la formazione alla competenza relazionale ed alla conoscenza di sé e quella all’etica professionale vanno di pari passo.

II) Come accennavo, sin da Freud si è ritenuto che fosse centrale la cura preliminare di se stessi per poter effettuare un lavoro psicoterapico. In maniera più laica ciò che resta, a mio avviso, fondamentale, si sta allargando oggi anche alle più serie scuole non analitiche. La psicoterapia, soprattutto se non breve, si basa su processi che definisco di co-transfert e cioè, di ciò che il paziente ed il terapeuta mettono nella relazione di se stessi, del proprio mondo familiare interno, della propria storia e cultura, ecc. E’ quindi fondamentale, che il terapeuta sia il più possibile consapevole di ciò che accade nella relazione, nel paziente ed in lui, di cosa scatta rispetto alla sessualità ( cosa che va professionalmente elaborata perché sia di aiuto ai pazienti). La formazione deve rendere consapevoli emotivamente e cognitivamente del fatto che la sessualità finisce col rappresentare tutti i simboli della vita. In un certo senso, non esistono problemi sessuali (tranne che per questioni biologiche di competenza non psicoterapiche). In realtà, dietro le difficoltà sessuali ci sono paure o rabbie relazionali interne rispetto all’altro sesso, all’abbandono inconscio del nucleo familiare ( che si può amare o odiare troppo) e delle sue certezze (che si esprime spesso nei disturbi alimentari e nel panico). Un mio paziente, ad esempio, poteva far sesso con la moglie anziana, e non con la giovane amante. Un altro, poteva masturbarsi ma non concedere eiaculazioni alla fidanzata. Alcune donne vivevano rapporti anali ed orali ma evitavano quelli vaginali. Tutte cose, come si vede, che dipendono da vissuti simbolici, psicologici, e relazionali, e non dal sesso in senso stretto. È chiaro che un terapeuta (o chiunque abbia una posizione di potere) che agisce sessualità con i pazienti è un persona sostanzialmente malata, che cerca di usare la situazione per “curare” i propri problemi, sottomettere l’altro al proprio potere. Per entrambi (terapeuta e paziente) c’è una sorta di “fuga dalla relazione terapeutica” per passare ad un rapporto di reciproca manipolazione. È chiaro che c’è una forte violazione della deontologia professionale (ma, in misura minore, c’è anche un gioco seduttivo non espresso  e non elaborato) che è incompatibile con la professione di psicoterapeuta. Il danno al paziente può essere notevole. Si tratta di persone con fragilità e storie di problemi e sofferenze psichiche. Facilmente (come accade alle donne violentate) possono sentirsi in colpa, perdere speranza nella psicoterapia, avere conferma del pessimismo esistente rispetto all’umanità che spesso i problemi psichici già inducono.

 


[1] Lo Verso G., Di Blasi M., Gruppoanalisi oggettuale. Cortina, Milano 2011.

 

FONTE: Osservatorio di Psicologia Nei Media

La deprogrammazione dai culti: un esame della procedura di intervento

Convegno Internazionale di Shenzhen sugli Studi dei Culti 2010
Pubblicato dall’Istituto di Studi Religiosi dell’Accademia di Scienze Sociali di Shanghai
Autore: Rick Alan Ross

Ringraziamo Rick Alan Ross, che ci ha permesso di tradurre questo suo intervento:

You may translate my article regarding cult deprogramming. But full attribution and copyright notice must be posted. Copyright © 2010 Rick Ross”

L’originale è al seguente indirizzo

http://www.cultnews.com/?p=2421 (

© Traduzione in italiano a cura di Lidia De Stefanis, editing di Lorita Tinelli . CeSAP – 2011

 

Il mio lavoro sulla deprogrammazione dai culti ha avuto inizio nel 1982. A quell’epoca ero profondamente interessato ad un gruppo che si era infiltrato in una casa di cura dov’era ospite mia nonna ottantaduenne.

Il gruppo aveva chiesto espressamente ai suoi membri di cercare lavoro come professionisti retribuiti presso la casa di cura, con l’ulteriore intenzione di puntare ai residenti per l’assunzione.
Mia nonna mi informò di questa situazione. E lavorando con l’amministratore della casa di cura individuammo i membri del gruppo in organico, che successivamente vennero allontanati.
Questa esperienza personale mi ha introdotto nell’universo dei gruppi religiosi radicali e dei culti. Poi sono diventato attivista e organizzatore di comunità anti-culto.
In questo periodo sono stato nominato membro di due comitati nazionali e successivamente mi è stato chiesto di entrare a far parte dello staff di professionisti del dipartimento per i servizi sociali a Phoenix, in Arizona.
In tale ambito non era raro che i genitori portassero un figlio adulto, generalmente studente universitario, nel mio ufficio per consultarmi riguardo al coinvolgimento in un gruppo radicale o in un culto.
Solitamente lavoravo con le famiglie, spesso in sinergia con il nostro psicologo in organico e/o con gli assistenti sociali, nello sforzo di liberare l’individuo da ogni ulteriore coinvolgimento nel culto. Non sapevo, all’epoca, che questa procedura d’intervento fosse definita “deprogrammazione”.
Negli anni ’80 sono stato impegnato in circa 100 interventi riguardanti gruppi assimilabili ai culti.
Le famiglie solitamente arrivavano a me attraverso il dipartimento dei servizi sociali citato prima, un ufficio educativo di comunità che aveva assunto anche me, o venivano indicate dal clero locale, dagli educatori e dai leader di comunità.
In questo periodo ho lavorato principalmente nell’ambito della comunità ebraica, sebbene più che altro attraverso convegni sull’argomento e scambi professionali, e sono venuto a conoscenza di una rete di attivisti anti-culto e professionisti d’aiuto in tutti gli Stati Uniti.

La deprogrammazione dai culti: un esame della procedura d’intervento

Proprio attraverso la mia interazione con quanti essenzialmente facevano lo stesso lavoro ho poi imparato che il tipo d’intervento che stavo svolgendo veniva comunemente denominato “deprogrammazione”.
Margaret Singer, citata spesso come importante esperta sul lavaggio del cervello e sui culti, definiva la deprogrammazione come il “dare ai membri informazioni sul culto e mostrare loro come fossero stati privati del loro stesso potere decisionale ”.
Nel corso degli anni è stato continuamente affinato e migliorato il procedimento fondamentale del condividere l’informazione e del dimostrare ai membri dei culti come il potere di persuasione possa aver compromesso la loro facoltà di pensiero critico e autonomo. In realtà, il termine stesso “de- programmazione dai culti” è diventato in un certo senso inadeguato.
Oggi la maggior parte dei professionisti coinvolti nel lavoro d’intervento sui culti preferiscono altre “etichette” per descrivere il loro operato. Per esempio, “exit counseling” (o “assistenza di uscita”), “ consulenz a sulla riforma del pensiero ”, o “ terapia d’intervento strategico”.

Molti credono che il termine “deprogrammazione dai culti” possa essere applicato correttamente solo agli interventi senza il consenso degli interessati.
Comunque, la semplice definizione data dalla Singer resta la comprensione più saliente ed essenziale del procedimento di fuoriuscita delle persone dai culti distruttivi, attraverso un intervento mirato.

La deprogrammazione senza consenso sugli adulti non si pratica più negli Stati Uniti.

Gli unici interventi senza consenso che continuano, riguardo ai culti nel Nord America, si riferiscono ai minori, sotto la diretta supervisione del genitore affidatario. Legalmente non è consentito altro, anche se per un breve periodo di tempo, negli anni ’70, con una sentenza del Tribunale definita “conservatrice”, la deprogrammazione senza consenso fu invece praticata in soggetti adulti.

Nel 1986 ho cominciato a lavorare privatamente, vale a dire come consulente privato e specialista d’interventi sui culti. Negli ultimi 24 anni sono stato impegnato in centinaia di tentativi
d’intervento. Il mio lavoro mi ha portato in giro per gli Stati Uniti, in Canada, Italia, Svezia, Inghilterra, Irlanda e Israele.

Ho continuamente sviluppato e affinato il mio approccio all’intervento. L’elemento fondamentale, così come definito dalla Singer, rimane lo stesso, ma i dettagli di quel procedimento si sono evoluti, specialmente in considerazione del fatto che si sono resi disponibili i nuovi ritrovati della tecnologia informatica, come l’accesso alle informazioni via Internet.
Negli anni ’80 e agli inizi degli anni ’90 l’informazione veniva veicolata ai membri dei culti, durante gli interventi, tramite libri, video e l’interazione diretta con gli ex-membri.
Oggi il procedimento d’informazione è stato principalmente influenzato dall’avvento di Internet, dei video in streaming, delle teleconferenze, dei DVD ed altre tecnologie. Questi sviluppi hanno notevolmente facilitato la raccolta, l’organizzazione e la presentazione delle informazioni in vista di un intervento.
La mia preparazione, la presentazione e l’approccio comunicativo sono stati affinati e migliorati nel corso degli anni. La mia speranza, nel presentare questa relazione, è che io possa condividere con voi la struttura fondamentale e il contenuto del mio approccio in un linguaggio sintetico e chiaro. Attraverso la condivisione del mio approccio, probabilmente potremo capire meglio e accelerare lo sviluppo del lavoro d’intervento sui culti.

La preparazione
Il primo passo nel procedere a qualunque intervento è la preparazione.
Dopo che una famiglia, un coniuge o qualcuno che sia interessato, mi contatta richiedendomi un intervento, devo valutare la situazione ed elaborare una scheda.
Essa include un questionario preliminare composto da circa 50 domande, riferite specificatamente al background dei singoli membri dei culti, alla storia del loro coinvolgimento e alle preoccupazioni specifiche per la situazione immediata.
Inoltre, raccoglierò anche informazioni per la mia scheda, che è specifica sul gruppo e/o leader in questione.
Molto spesso seguirà una serie di colloqui telefonici.
Poi ci sarà un incontro in presenza, solitamente nel giorno che precede l’inizio dell’intervento.
In questo procedimento di preparazione, la famiglia individua chi sarebbe più adatto a partecipare all’intervento: cioè, quali familiari e/o amici hanno più rispetto, ammirazione e ascendente sul soggetto coinvolto nel culto.
Un risultato evidente del procedimento di preparazione è quello di determinare quali persone siano più adatte come membri della squadra d’intervento.

Dopo aver individuato e formato la squadra, ecco ciò che di solito si discute nell’incontro finale
di preparazione:
– Quali sono le regole dell’impegno?
– Quali sono i limiti e i parametri della partecipazione?
– Quale ruolo avrà ogni familiare o amico?
– Che cosa dovrebbero o non dovrebbero dire?
– Come inizierà, procederà e finirà l’intervento?
Il ruolo fondamentale di ciascun familiare e amico si può sinteticamente considerare focalizzato su due obiettivi primari.

Essi sono:
1. Essenzialmente ancorare il soggetto coinvolto nel culto, cioè trattenerlo contribuendo a creare un’atmosfera di sostegno basata sulla fiducia e la comprensione radicate nel tempo. Per dirla in maniera semplice, il membro del culto non si coinvolgerà nel procedimento d’intervento per fare un piacere a me, poiché io sono un perfetto sconosciuto. Ma il soggetto rimarrà per rispetto nei confronti dei suoi familiari, amici ed altri interessati. Questo è di vitale importanza, perché ogni intervento su un adulto è su base volontaria e quindi dipende dal suo consenso e dalla sua collaborazione continuativa. Nella fase di preparazione si discutono possibili scenari e/o potenziali situazioni. Per esempio, il soggetto può arrabbiarsi, alzarsi e tentare d’andarsene.
Come si dovrebbe far fronte a questo? Chi sarebbe più efficace nel convincerlo a non andare e a rimanere?
2. I familiari e gli amici sono lì anche per fornire una testimonianza diretta di prima mano; vale a dire, che cosa hanno visto e osservato di preoccupante riguardo al recente comportamento della persona coinvolta nel culto? In vari momenti nel corso di un intervento, un membro del culto può negare. Poiché io non ho assistito a quanto accaduto, faccio affidamento sui familiari
e gli amici lì presenti a condividere le loro esperienze, per contrastare ogni tentativo di oscurare o negare fatti concreti che fanno da contorno alla situazione.

Dobbiamo anche discutere e definire i nostri ruoli.

Qual è il ruolo dello specialista dell’intervento?
Quando è opportuno ed efficace che familiari e amici intervengano con le loro opinioni, testimonianze e preoccupazioni?
Normalmente consiglierò alla famiglia di concedermi di presentare il contenuto principale delle informazioni, conducendo e/o facilitando la discussione.

 

L’intervento
Un intervento relativo ai culti dura in media dai 3 ai 4 giorni, esclusi il viaggio e la preparazione.
Questo significa dalle 24 alle 32 ore circa di lavoro, spalmate su 8 ore al giorno escluse le pause.
Più tempo ho a disposizione, più aumentano le probabilità che il membro del culto lasci il gruppo.
Circa il 75% dei miei interventi si è concluso con un successo; cioè, il soggetto che era l’obiettivo dell’intervento ha deciso di lasciare il culto entro la conclusione della procedura d’intervento.

La maggior parte dei miei insuccessi è avvenuta nel primo giorno o comunque entro le prime 24 ore dell’intervento.
Pochissimi membri di culto con i quali ho lavorato per 3-4 giorni hanno scelto di continuare con il gruppo. In definitiva ciò significa che quanto maggiore è il tempo a mia disposizione, tanto maggiori sono le probabilità che l’intervento abbia successo.
Un intervento è un dialogo o discussione continuativa. Durante tale discussione tutti i presenti offrono le loro impressioni, osservazioni e opinioni. Il mio ruolo consiste nel condurre e facilitare la discussione in corso, spesso dirigendo e focalizzando l’attenzione su particolari punti.
Vi sono 4 blocchi o aree di discussione essenziali per il completamento di un intervento efficace e potenzialmente riuscito.
Questi blocchi di discussione preferibilmente possono essere sviluppati nell’ordine che segue, ma la sequenza può essere modificata durante l’intervento, a seconda dell’interesse e dell’attenzione del soggetto coinvolto nel culto.

I quattro blocchi di discussione sono:
1. Qual è la definizione di culto distruttivo?
2. Come funziona realmente il processo di persuasione coercitiva o riforma del
pensiero?
3. Qual è la storia del gruppo e/o leader che ha suscitato preoccupazione?
4. Quali sono le preoccupazioni della famiglia?

Primo blocco di discussione: definire un gruppo distruttivo
La discussione specifica sulla definizione di culto distruttivo è basata su una definizione fornita dallo psichiatra Robert Jay Lifton. Essa è precisa e obiettiva, basata sul comportamento del gruppo, anziché sulle sue credenze.
Lifton afferma che i culti sono caratterizzati da 3 elementi:
1. un leader carismatico che diventa sempre più oggetto di venerazione, mentre i princìpi
generali che possono aver originariamente permeato il gruppo perdono rilevanza;
2. un procedimento che io chiamo persuasione coercitiva o riforma del pensiero;
3. lo sfruttamento economico, sessuale o d’altro tipo dei membri del gruppo da parte del
leader e dalla ristretta cerchia dominante.

Il primo criterio è che il gruppo può essenzialmente essere visto come un’entità guidata dalla personalità di un capo vivente e totalitario. Egli / Ella è il perno del gruppo e la sua forza trainante. Tutto ciò che lui/lei definisce giusto è giusto, e tutto ciò che lui/lei ritiene sbagliato è sbagliato. I membri del gruppo, quindi, in definitiva abdicano alla loro facoltà di giudizio autonomo, come atto di deferenza nei confronti del leader.
Nell’ambito dell’intervento si forniscono esempi o profili di leader storici dei culti e del loro potere personale.
Per esempio, si possono citare figure note come Jim Jones, David Koresh, Shoko Asahara e Charles Manson. Lo scopo è quello di stabilire un filo conduttore e una base storica per la comprensione di ciò che caratterizza il leader di un culto distruttivo.
Si possono anche vedere dei documentari in DVD, che riportano la storia di particolari leader dei culti.
Poi argomento della conversazione è come quel particolare gruppo e/o leader su cui è incentrato l’intervento possa in un certo senso allinearsi alla definizione stabilita e agli esempi storici forniti.
La discussione potrebbe poi vertere sulla domanda se esista una significativa responsabilità che limiti o ponga fine al potere del leader.
Ci sono dei confini chiari riguardo alla sua influenza?
Il leader ha mai torto?
Può essere seriamente messo in discussione o contraddetto?
Se il leader può realmente essere messo in discussione, contraddetto o avere torto, quali sono gli esempi specifici?

A questo punto si potrebbe fare qualche semplice osservazione sull’argomento della riforma del pensiero quale modello di comportamento che dimostra una mancanza di pensiero autonomo e individuale.
Si potrebbe anche prospettare la considerazione che i membri del gruppo fanno cose che non sono nel loro miglior interesse, ma in quello del gruppo.
Il giudizio conclusivo è che il gruppo fa del male e quindi può essere considerato un culto distruttivo.

La natura distruttiva dei gruppi varia per grado a seconda del gruppo.
Alcuni gruppi possono essere più distruttivi di altri.
La discussione qui si sposta su quale danno specifico il gruppo in questione abbia cagionato.
A questo punto si può produrre la documentazione a conferma di una serie di lamentele e danni procurati nel corso del tempo, quali si evidenziano in notizie già pubblicate, documenti dei Tribunali e altre fonti.
Inoltre, i familiari e le altre persone interessate presenti all’intervento possono offrire i loro punti di vista.
Di nuovo, si possono tracciare punti di contatto tra i culti ormai saldamente radicati e il gruppo di cui si sta discutendo.

Secondo blocco di discussione: “Come funziona il processo di persuasione coercitiva o riforma del pensiero?”
La discussione sulla persuasione coercitiva e le tecniche di riforma del pensiero si basa sugli scritti di Robert Jay Lifton, della psicologa Margaret Singer, del sociologo Richard Ofshe e del docente di Psicologia Robert Cialdini.

Le opere di questi esperti formano una base per la discussione.
Nello scritto di Ofshe “La persuasione coercitiva e il cambiamento comportamentale” l’autore presenta 4 fattori chiave che distinguono la persuasione coercitiva dagli altri modelli di formazione e socializzazione.
1. Fare leva su un aggressivo attacco interpersonale e psicologico per destabilizzare l’autostima del soggetto e indurre accondiscendenza
2. L’uso di un gruppo di pari organizzato.
3. Esercitare pressione interpersonale per promuovere il conformismo.
4. La manipolazione di tutto l’ambiente sociale della persona per stabilizzarne il comportamento, una volta modificato.

Questi fondamentali fattori di gruppo si possono stratificare ed espandere nel corso della discussione.

Si esaminano anche gli otto criteri di Lifton, così come delineati nel suo libro “La riforma del pensiero e la Psicologia del Totalitarismo”, che sono usati per accertare la presenza di un programma di riforma del pensiero.
1. “Controllo dell’ambiente”, che Ofshe descrive come controllo dell’ambiente e della comunicazione.
2. “Manipolazione mistica”, che Ofshe spiega come manipolazione emotiva e comportamentale praticata sotto forma di credenze e pratiche del gruppo.
3. “Richiesta di purezza”, o quel che Ofshe descrive come richieste di assoluto conformismo al comportamento così come prescritto e derivato dall’ideologia del gruppo.
4. “Culto della confessione”, ciò che Ofshe vede come ossessive richieste di confessioni individuali e di gruppo, che in definitiva rendono i singoli soggetti completamente vulnerabili, trasparenti e senza il senso della riservatezza.
5. “La scienza sacra”, che Ofshe spiega come l’accordo sul fatto che l’ideologia del gruppo sia assolutamente perfetta, senza incrinature, o ciò che Lifton definisce la sua visione definitiva della struttura di tutta l’esistenza umana.
6. “Linguaggio manovrato”, spiegato da Ofshe come la manipolazione del linguaggio spesso caratterizzato da clichés dogmatici, che sostituiscono il pensiero critico e analitico.
7. “La dottrina al di sopra della persona”, ulteriormente descritto da Ofshe come la reinterpretazione dell’esperienza e delle emozioni umane visto attraverso la lente della dottrina del gruppo, in linea con i suoi dettami.
8. “Il classismo esistenziale”, che Ofshe vede come la classificazione di quanti non condividono le credenze del gruppo come esseri inferiori e indegni di rispetto.

Poi bisogna fare delle distinzioni tra il processo di persuasione coercitiva o riforma del pensiero e altre forme di persuasione come l’istruzione, la pubblicità, la propaganda e l’indottrinamento.
Margaret Singer ha elaborato una tabella in cui queste diverse forme di persuasione sono delineate ed espresse in categorie quali il punto centrale del corpus delle conoscenze, la direzione e il grado di scambio, la capacità di cambiare, la struttura della persuasione, il tipo di relazione, l’illusorietà, l’ampiezza dell’apprendimento, la tolleranza e la metodologia.
E’ importante discutere di queste distinzioni per chiarire che la riforma del pensiero è una categoria di persuasione unica e a sé stante che, a differenza delle altre forme di persuasione, può essere vista come coercitiva ed anche deliberatamente ingannevole.
Nel suo schema la Singer si è anche soffermata sui tre stadi della persuasione coercitiva, come sono stati definiti da Edgar Schein, autore ed esperto in tecniche di persuasione.

Schein,docente presso il MIT (Massachusets Institute of Technology, N.d.T.), ha individuato 3 semplici
livelli di persuasione coercitiva:
1. “Lo scongelamento”, o ciò che Singer descrive come “la destabilizzazione del senso di sé”. Questo processo include il “mantenere la persona nell’inconsapevolezza di ciò che sta accadendo e dei cambiamenti che stanno avvenendo. Controllare il tempo di una persona, e possibilmente il suo ambiente fisico. Creare un senso di impotente e segreta paura, nonché di dipendenza. E sopprimere gran parte del vecchio comportamento e delle abitudini della persona”.
2. “Il cambiamento”, o quel che Singer spiega come “condurre la persona a reinterpretare drasticamente la storia della sua vita e alterare radicalmente la sua visione del mondo, accettando una nuova versione della realtà e del nesso di causalità”.
3. “Ricongelamento”, o come dice la Singer “affermare un sistema di logica chiuso; non consentire alcun contributo reale o alcuna critica”. In definitiva questo culmina in ciò che Singer descrive come una persona ‘congelata’ o “dipendente totalmente dall’organizzazione, un militante”.
Si possono anche mostrare dei documentari in DVD in questo frangente della procedura d’intervento, per far vedere in azione queste tecniche specifiche di persuasione coercitiva.
Questi DVD potrebbero includere notizie riguardanti i culti distruttivi che riferiscano del loro comportamento interno. E anche delle ricerche sugli stati di suggestione che si possono raggiungere attraverso l’ipnosi, l’induzione in trance, la meditazione, lo yoga, il canto corale e la ripetizione di vari esercizi fisici.
Questi stati di suggestionabilità come possono essere manipolati attraverso l’uso di metafore guidate, ordini indiretti, pressione dei pari, comportamento modellante e manipolazione emotiva?
La discussione poi si focalizza su come questi criteri e tecniche di persuasione coercitiva siano espressi dal gruppo in questione.

I partecipanti all’intervento offrono le loro intuizioni e punti di vista su come il gruppo attui questi criteri.
Si passa in rassegna anche un riepilogo delle tecniche di condizionamento più in generale.
Questa discussione si basa sugli scritti di Robert Cialdini, autore del libro “Il condizionamento”.
In questo libro Cialdini, docente di Psicologia presso l’Università statale dell’Arizona, presenta quelli che definisce i “6 princìpi del condizionamento”.
Essi sono:
1. “La regola della reciprocità”, che richiede che una persona cerchi di ripagare ciò che ha ricevuto da un’altra. Singer spiega che questa regola può essere distorta dai culti. Vale a dire, il culto dà un senso di sicurezza, di salvezza, di benessere e di amore, ma si aspetta che i suoi devoti contraccambino con l’assoluta obbedienza e arrendevolezza.
2. “Impegno e coerenza”, che si esprime nel desiderio di apparire coerenti nelle parole, nelle credenze, negli atteggiamenti e nelle azioni: tutto ciò è apprezzato dalla società. Singer spiega che un culto può ribaltare questa regola e far sentire in colpa i membri ogni qual volta essi vengano meno allo svolgimento coerente dei doveri e degli obblighi negli impegni presi col gruppo.
3. “Approvazione sociale”, un mezzo usato per determinare ciò che è giusto osservando quel che gli altri intorno a noi ritengono tale. In un ambiente di culto Singer spiega che “se ti guardi intorno nel gruppo, vedrai persone che si comportano in un certo modo. Tu imiti ciò che vedi e presumi che tale comportamento sia adeguato, buono e atteso”. Singer inoltre chiarisce che questa regola può essere usata nell’ambiente del culto per stimolare l’accondiscendenza.
4. “Il gradimento”: le persone preferiscono dire sì ad individui che conoscono e che a loro piacciono. Ma la Singer spiega che i neofiti del culto possono essere fatti oggetto di amore apparentemente incondizionato, che viene frequentemente definito “love bombing” (“bombardamento d’amore”). Questo fa sentire i membri del gruppo desiderati e amati, e li spinge a simpatizzare con le persone nel gruppo. Essi poi sentono che, siccome nutrono simpatia o amore per queste persone, dovrebbero accondiscendere ai loro desideri e suggerimenti ed essere obbedienti.
5. “L’autorità”: c’è forte pressione nella società in favore dell’arrendevolezza nei confronti di una figura autoritaria. Singer spiega che questa tendenza a rispettare l’autorità può essere facilmente applicata al leader del culto che rivendica una conoscenza e un potere superiori, e una missione speciale. I membri accolgono il leader come suprema autorità.
6. “La mancanza”: le persone attribuiscono più valore alle opportunità se queste sembrano essere meno disponibili. Singer sostiene che se ai membri viene detto che senza il gruppo perderanno l’opportunità di vivere senza stress, di raggiungere la consapevolezza universale e la beatitudine, di cambiare il mondo, di avere la facoltà di tornare indietro nel tempo, tutto ciò che il gruppo offre è cucito su misura per apparire essenziale. Il gruppo può anche esemplificare questa regola rivendicando l’esclusività, cioè non esiste nessun altro gruppo che offra lo stesso e/o un equivalente percorso di appagamento.
La discussione ancora una volta s’incentra su come il culto in questione metta in atto questi princìpi o regole di condizionamento.
A questo punto si può dare una scorsa al materiale prodotto dal gruppo, che fornisca gli esempi.
I partecipanti all’intervento possono anche portare la loro esperienza di prima mano riguardo al gruppo e ai suoi leader, che esemplifichi questi punti.

Terzo blocco di discussione: “Qual è la storia specifica del gruppo o del leader?”
A questo punto viene esaminato il gruppo che ha suscitato preoccupazioni.
Qual è la sua storia unica e particolare?
Qual è il retroterra culturale e la storia personale del suo o dei suoi leader?
L’obiettivo in questo frangente della procedura d’intervento è rivedere la storia del gruppo, focalizzare l’attenzione e discutere su qualunque cosa possa essere stato nascosto ai membri dal gruppo e/o dal suo leader.
Quali eventi sono accaduti che possano essere stati falsamente interpretati o propagandati dal gruppo?
Questo processo è attualmente spesso facilitato dall’accessibilità delle informazioni attraverso Internet.
Qualunque documento sul gruppo e/o leader sia stato elaborato, ora verrà discusso.

A questo punto si possono rivedere vari ritagli di stampa, documenti storici o della magistratura, notiziari televisivi e/o documentari sul gruppo e/o leader.
La discussione, che si sviluppa spostandosi in avanti e all’indietro, si concentra sempre più su come la famiglia vede la storia del gruppo e il coinvolgimento specifico del soggetto in questione. I partecipanti all’intervento possono aggiungere importanti informazioni di prima mano su ciò che ritengono degno di nota, riguardo al gruppo.
Questo procedimento concede al membro del culto un’opportunità unica di valutare ed esaminare criticamente il gruppo stesso e la sua storia, all’esterno di ciò che molto probabilmente è un ambiente fortemente controllato. Forse per la prima volta il membro del
culto ha una cornice esterna di riferimento, e un riscontro da diverse angolazioni non controllate dal gruppo.
Quarto blocco di discussione: “Quali sono le specifiche preoccupazioni della famiglia?”
A questo punto i familiari e gli altri interessati esprimono perché ritengono importante attuare l’intervento e avere una discussione.
Essi spiegano in dettaglio, basandosi sulle loro osservazioni dirette, perché il coinvolgimento nel gruppo sembra loro problematico o perfino potenzialmente rischioso e/o pericoloso.
Per esempio, le aree di preoccupazione potrebbero includere le richieste finanziarie avanzate dal gruppo, la comunicazione carente e filtrata, il crescente isolamento, le condizioni di vita precarie, le mancate cure mediche, il comportamento illegale, l’abuso sessuale, l’abuso e l’incuria nei confronti dei bambini, la violenza attuale o potenziale e/o l’instabilità psicologica ed emotiva piuttosto evidente.
Ciascun partecipante all’intervento offre adesso il suo punto di vista personale.
Esempi ricchi di aneddoti spiegano come queste preoccupazioni siano diventate evidenti.
Questa è spesso la fase più incerta, difficile e coinvolgente nel corso dell’intervento.
Il mio ruolo in questo frangente è quello di attirare l’attenzione su come il gruppo possa aver causato e/o esacerbato i problemi e le situazioni personali.
Per esempio, l’intervento può essere stato sollecitato da una crisi particolare causata dal coinvolgimento nel culto. Si potrebbe trattare di una separazione o divorzio imminente, un tracollo economico, una malattia grave ma non curata e/o qualche tipo di azione legale incombente, o preannunciata, relativa al culto.

Esempi di casi

Di seguito indico alcuni esempi di specifici casi d’interventi recenti negli Stati Uniti e in Canada.
Sono inclusi due casi con esito positivo, uno con risultati parzialmente positivi, e un altro con esito decisamente negativo.

L’Istituto [T]
Sono stato consultato da un marito preoccupato per il coinvolgimento di sua moglie in un gruppo neo-orientale chiamato “Istituto [T]”, con sede a […], in California.
La coppia era sposata da più di 10 anni e aveva due figli, di 7 e 9 anni.
La moglie, trentanovenne, aveva fatto parte del gruppo per circa 2 anni. Era in possesso di Laurea di secondo livello e aveva lavorato nel settore privato come dirigente del settore marketing. Comunque, per dedicarsi ai loro due bambini, aveva rinunciato al lavoro per fare la casalinga a tempo pieno. Questo, in ultima analisi, aveva minato l’autostima della donna e scalfito il senso della sua identità di persona.
Inizialmente, incoraggiata da un’amica, aveva frequentato corsi di yoga all’Istituto [T]. La sua motivazione era la cura della forma fisica, attraverso un’attività regolare. In un primo tempo non capì che [T] era un gruppo religioso. Ma man mano che le lezioni continuavano, divenne chiaro che il gruppo non era semplicemente un luogo per l’esercizio fisico, ma piuttosto un gruppo con
un leader spirituale e un particolare sistema di credenze. I membri del gruppo mostravano un’estrema deferenza e devozione al loro guru [il sig. R.], noto anche come “[D.S.]”.

Il sig. R. aveva una struttura in Tailandia, oltre all’Istituto T in California.
Il coinvolgimento della moglie era costantemente aumentato, fino a causare conflitti all’interno della vita familiare.
I bambini venivano trascurati per colpa dei suoi impegni pressanti e crescenti in Istituto.
Alla fine, dopo molte discussioni accese, la coppia si è separata.
La moglie ha lasciato la casa coniugale e ha preso un appartamento in un palazzo occupato dai membri di [T].
Dopo aver assunto l’incarico per questo lavoro, ho consigliato al marito di smettere di litigare sul coinvolgimento della moglie nell’Istituto, di scusarsi per le discussioni alterate che potevano aver avuto e filtrare le sue conversazioni future, eliminando ogni elemento negativo.
Dopo aver fatto questo per settimane, la frizione è diminuita e il loro rapporto è diventato sempre più disteso.
La coppia è rimasta separata, ma ha voluto di comune accordo concedersi una vacanza familiare alle Hawaii per Natale.
Al ritorno dalle Hawaii, il marito mi ha chiesto urgentemente di volare in California e assumermi l’impegno dell’intervento.
Sua moglie lo aveva avvertito che il primo gennaio si sarebbe trasferita in un ambiente più controllato, nell’ambito dell’alloggio del gruppo.

Immediatamente volai in California per cominciare il mio lavoro.
Al mio arrivo mi sono incontrato con il marito e i familiari di sua moglie, inclusi nella squadra d’intervento. Questa includeva i genitori della moglie e suo fratello.
Ho indicato alla famiglia cosa dire e cosa non dire rispettando i parametri della loro partecipazione.
La famiglia è stata incoraggiata ad esprimere osservazioni dirette sulle sue preoccupazioni, ma senza essere litigiosa, accusatoria o inutilmente aggressiva.
Abbiamo anche discusso su chi aveva la migliore presa emotiva, che potesse trattenere la moglie dall’andarsene. Abbiamo ragionato e anche fatto le prove per vedere come far fronte ad ogni tentativo improvviso della moglie di interrompere bruscamente l’intervento e andarsene.
Ho anche rivisto con la famiglia le nostre aree di conversazione, che avremmo esplorato nei giorni a venire. Mi hanno posto domande sul nostro piano di lavoro, le pause, il cibo e su che cosa fare nelle serate tra un giorno e l’altro nel corso dell’intervento.
Abbiamo impiegato diverse ore per la procedura di preparazione, il giorno prima che l’intervento avesse inizio.
Si è elaborato un piano che prevedeva che il marito chiedesse alla moglie di andare nella loro casa per badare ai bambini, mentre lui era impegnato in un incontro di lavoro.
Ma quando lei è arrivata nella casa coniugale, i suoi genitori, il fratello ed io eravamo lì ad aspettarla, mentre i bambini venivano accuditi altrove da parenti.

Immediatamente la moglie capì che questo era un tipo d’intervento familiare. Reagì rabbiosamente e inizialmente rifiutò di partecipare, ritirandosi di corsa in garage. La moglie fu immediatamente seguita dai suoi genitori. Preparati dal giorno prima, la supplicarono di tornare e chiarire le cose. Dopo circa 30 minuti tornò.
A questo punto il marito mi presentò come consulente incaricato di facilitare l’incontro e offrire il parere di un esperto. La moglie mi pose domande sul mio background, la mia esperienza e lo scopo finale dell’incontro.
Ho spiegato che l’obiettivo dell’intervento era condividere le informazioni nel tentativo di presentare prospettive ed opinioni alternative e spiegare le preoccupazioni.
Fu sottolineato da tutti i presenti che la decisione finale di separarsi, divorziare e/o continuare con il gruppo spettava a lei. Abbiamo espresso la speranza che parte del suo processo decisionale tenesse anche in considerazione le ricerche rilevanti, e la nostra condivisione delle informazioni e della discussione.
Ho parlato della mia esperienza pluriennale nel trattare gruppi controversi e movimenti simili all’Istituto [T]. Ho evidenziato che avevo visionato materiale prodotto dall’Istituto e dal suo leader, in merito alla sua storia, alla struttura, alle pratiche e agli obiettivi. Ho concluso dicendo alla moglie che un’organizzazione che non abbia nulla da nascondere non ha motivo di temere
la valutazione altrui.
A questo punto la moglie acconsentì a rimanere e partecipare. Durante il primo giorno dell’intervento abbiamo discusso una serie di argomenti che includevano parti di ciascuno dei 4 blocchi di discussione individuati precedentemente.
Abbiamo toccato la definizione di culto, il processo di riforma del pensiero, abbiamo parlato della storia del gruppo e delle preoccupazioni della famiglia.

Abbiamo trascorso otto ore piene dedicate alla discussione e alla revisione, il primo giorno.
Alla fine del primo giorno ho chiesto alla moglie di incontrarci il giorno successivo. Le ho anche chiesto di astenersi dall’avere contatti di qualunque genere con gli associati all’Istituto [T].
Questo divieto includeva le e-mail, i messaggi telefonici, le telefonate e/o la comunicazione d’ogni altro tipo. Le ho spiegato che le sue molte ore di formazione all’Istituto non avevano mai subìto un’interruzione. Per una questione di equità, anche la nostra discussione non doveva essere interrotta da [T].
La famiglia esprimeva la preoccupazione che la sua reazione alle informazioni presentate fossero i suoi pensieri spontanei, senza tenere in alcun conto la guida o le indicazioni da parte del gruppo.
Ancora una volta ci fu un’esplosione emotiva. La moglie si arrabbiò e attaccò i genitori ed il marito, accusandoli di interferire nella sua vita e di tentare di controllarla.
In questo frangente il fratello si alzò ed espresse i suoi sentimenti. Affermava che questa situazione era così importante per lui, che aveva rinunciato a trascorrere del tempo con moglie e figli e si era sobbarcato a molte ore di viaggio in macchina per essere presente all’intervento.
Questo fece comprendere alla donna l’importanza, ancora una volta, delle preoccupazioni della famiglia.
Poi la donna ha deciso di continuare la discussione la mattina seguente, senza comunicazioni o interferenza da parte del gruppo e di trascorrere la notte nella casa coniugale.

Mentre il marito mi accompagnava in albergo, siamo ritornati sulle istruzioni date il giorno precedente: nessuno avrebbe dovuto parlare del gruppo e/o di argomenti ad esso collegati fino al nostro incontro del giorno successivo. Bisognava far questo per evitare il possibile scoppio diuna lite in mia assenza.
La mattina dopo abbiamo ripreso la nostra discussione. In questa giornata ci siamo dedicati alla definizione di culto molto di più ed in maniera approfondita. La nostra conversazione si soffermava spesso su esempi di comportamento, dinamiche e struttura assimilabili ai culti e sulle analogie con l’Istituto [T] e il suo leader, il sig. R. Basandoci su queste linee guida abbiamo rivisto anche il materiale reperito dal marito e pubblicato dal gruppo, e alcune comunicazioni via e-mail tra i membri.
Abbiamo guardato un documentario in DVD con uno spezzone storico su una serie di culti ben noti, che includeva il commento di ex seguaci.
Quanto sopra si è concluso il secondo giorno.
Alla fine del nostro secondo giorno la moglie sembrava curiosa, poneva domande e non era néarrabbiata, né litigiosa riguardo all’intervento.
Si è dichiarata d’accordo ad incontrarci di nuovo per il terzo giorno, senza alcuna difficoltà.
Il terzo giorno abbiamo discusso in profondità il processo di riforma del pensiero e la persuasione coercitiva.
Tale discussione includeva un esame del materiale di ricerca citato prima, scritto da Lifton, Singer, Ofshe, Schein e Cialdini, che serviva da spunto per la conversazione.

Di nuovo, sono stati fatti vari paragoni per evidenziare le affinità tra comportamento interno e pratiche dell’Istituto [T] e gli esempi delle tecniche prese in esame.
Verso la fine del terzo giorno abbiamo guardato un altro documentario in DVD, specificamente imperniato sulla manipolazione psicologica ed emotiva. Questo includeva l’induzione in trance e le tecniche di meditazione collegate, l’ipnosi e l’uso di ordini indiretti. Poiché gli stati alterati di coscienza sono un obiettivo primario dell’Istituto [T], abbiamo discusso della suggestionabilità e
della vulnerabilità degli individui che sperimentano tali stati d’alterazione.

Alla fine del terzo giorno la moglie, benché molto infastidita, sembrava molto interessata alle informazioni che avevamo trattato. Era molto più a suo agio con la sua famiglia ed in particolare con suo marito.
Non vi è stata alcuna esitazione nel concordare un incontro per il quarto giorno.

Il quarto giorno abbiamo discusso approfonditamente la storia dell’ Istituto [T] e del suo leader, il sig. R. Abbiamo passato in rassegna il materiale procurato dal marito: documenti societari, estratti conto, registrazioni immobiliari, e infine comunicazioni personali tramite e-mail tra il sig. R. e i suoi seguaci.
Cominciava ad emergere un quadro di sfruttamento.
L’organizzazione, a quel che si diceva, aveva uno scopo benefico e si supponeva cercasse di migliorare la condizione umana. Invece era evidente che il guru conduceva una vita tra agi e lusso, alle spalle dei suoi seguaci. Questo fu reso palese dalla documentazione, dalle sistemazioni nella struttura del gruppo in Tailandia e anche dalle insistenti richieste personali fatte dal sig. R. tramite e-mail. Tutto questo lasciava trapelare non certo un essere “altruista” o “illuminato”, bensì un approfittatore egoista.
Abbiamo guardato altri DVD che illustravano il comportamento di una serie di leader dei culti.
Ripetutamente la famiglia interveniva con osservazioni sul gruppo e la sua influenza sulla vita della donna.
Verso la conclusione del quarto giorno la donna era molto tranquilla e alla fine cominciò a piangere.
Chiese perdono ai familiari per la sua “stupidità”.
A questo punto sono intervenuto dicendo che sarebbe stato impossibile per lei valutare realisticamente il gruppo, dato il modo ingannevole con cui era stata reclutata e manipolata. E aggiunsi che tutta quella durezza nel giudicare sé stessa appariva esagerata.
Che dire del gruppo e del suo leader?
Quali responsabilità avevano in merito alle conseguenze negative del loro condizionamento?
Non meritavano di vedersi attribuita una parte – se non la maggior parte – della colpa?
Abbiamo poi discusso dell’assistenza successiva e delle varie risorse disponibili in California per proseguire la fase di recupero.

La conclusione fu emotivamente molto intensa, ma felice per tutti i presenti.
Marito e moglie si riappacificarono. La donna non ebbe più contatto o coinvolgimento con il gruppo, in alcun modo.
La moglie successivamente mi contattò per problemi con il gruppo che creavano preoccupazione a lei e/o alla sua famiglia.

 

[T] Il richiamo di Dio
Una trentenne operatrice di siti web, progettista, sposata e madre di 2 figli di 6 e 2 anni, è stata coinvolta in un gruppo religioso online noto come “[T] il richiamo di Dio”.
Il gruppo comprendeva circa 20 – 30 membri attivi collegati interamente tramite Internet.
Il leader del gruppo, S.T.R., sostiene di ricevere la rivelazione direttamente da Dio. Queste rivelazioni sono poi messe in forma di “lettere da Dio”, rese note e pubblicate dal sig. R.

Il gruppo comunica quasi esclusivamente online usando la teleconferenza, frequenti messaggi di posta elettronica e ritagli sui siti web.
I membri sono dislocati negli Stati Uniti, in Canada e in Australia.
Il sig. R in persona gestisce l’organizzazione da casa sua, nello stato di […].
I contributi al gruppo sono dati principalmente tramite Internet.
La giovane madre, che vive in Canada, era seguace già da due anni quando suo marito e i suoi familiari mi hanno contattato. In questo periodo aveva appena detto ai genitori e al fratello che non avrebbe più comunicato con loro, date le sue credenze.
Il suo matrimonio decennale cominciava ad accusare crescenti tensioni, sebbene lei convivesse ancora con suo marito.
Ho avuto dai suoi genitori l’incarico per l’intervento, che si giovava anche dell’appoggio del marito della giovane donna.
L’incontro del giorno di preparazione ha visto coinvolti tutti i familiari insieme. Proprio come nel caso precedente si è usata questa fase per spiegare e discutere i parametri dei nostri rispettivi ruoli e le ragionevoli aspettative.
Il giorno seguente, la giovane donna arrivò a casa dei genitori per una visita particolare, apparentemente per condividere le sue idee e chiarire il suo impegno.
La mia presenza fu, come al solito, un’assoluta sorpresa.

La donna non si aspettava neanche la presenza di suo fratello, di sua cognata e di suo marito.
Tutti i telefoni e gli accessi ad Internet in casa erano stati disattivati.
Dopo alcune ore di conversazione, la giovane donna si agitò visibilmente e protestò per questo “attacco” alle sue credenze. La rassicurai dicendole che nessuno dei presenti voleva criticare la sua fede cristiana, ma piuttosto il comportamento del gruppo e del suo leader.
La donna si calmò.
Al termine del primo giorno di lavoro, con circa 8 ore di discussione, la giovane donna acconsentì a pernottare nella casa della sua famiglia, a spegnere il cellulare e consegnarlo a sua madre. Le chiedemmo anche di non tentare di comunicare o di entrare in contatto con gli esponenti del gruppo. Accettò queste condizioni su pressione dei familiari e del marito.
Abbiamo trascorso una giornata intera a discutere sulla definizione di culto, sui culti storici e su quanti di essi si possano considerare “fondati sulla Bibbia”. Poi si sono individuati i parallelismi tra questi ultimi e il gruppo “[T] Il richiamo di Dio”.
Per esempio, si è discusso di David Koresh e i Davidiani Waco, poiché Koresh aveva storicamente rivendicato speciali rivelazioni da parte di Dio.
Jim Jones aveva un debole per la deformazione delle Scritture, usandole per manipolare i suoi seguaci. Abbiamo parlato, in maniera un po’ più dettagliata, di Jonestown e dei cosiddetti “Davidiani” che seguivano Koresh.
Il giorno successivo venne dedicato all’esame della riforma del pensiero e delle tecniche di persuasione coercitiva, ma in particolare del loro possibile uso nel contesto dei culti fondati sulla Bibbia.
Abbiamo guardato e discusso documentari in DVD sui Davidiani Waco e Jonestown.
Abbiamo anche ragionato su come la mancanza di trasparenza finanziaria e di affidabilità sia tipica all’interno di tali gruppi: vale a dire, come nessuno tranne il leader sappia realmente dove va a finire il denaro.
Poi abbiamo visionato la relazione di un investigatore privato ingaggiato dalla famiglia.
La relazione comprendeva un elenco delle proprietà immobiliari del sig. R., alcune registrazioni contabili societarie e la sua recente dichiarazione dei redditi, di notevole consistenza. Tutte queste informazioni contraddicevano palesemente ciò che il sig. R. aveva raccontato al gruppo e le sue ripetute affermazioni di non essere spinto dall’avidità.
Infine, l’ultimo giorno ciascun familiare condivise le sue particolari preoccupazioni riguardo al gruppo e alla sua influenza sul comportamento della giovane donna.
I genitori espressero il loro dolore per la sua recente decisione di interrompere la comunicazione con loro. Spiegarono che, indipendentemente dalle credenze della figlia, l’avrebbero sempre amata e non riuscivano a capire perché lei avesse deciso di troncare i rapporti.
Suo fratello parlò dei lunghi mesi senza contatti con lei e di come ne avesse sentito la mancanza.
In conclusione, il marito spiegò come l’impegno della moglie nel gruppo sembrasse preminente rispetto ad ogni altra considerazione pratica, compresi il matrimonio e la cura dei figli.

Negli ultimi due giorni la giovane donna ha posto sempre più domande critiche.
Il terzo giorno ha cominciato a divulgare informazioni rilevanti, riservate e sconosciute riguardo al gruppo. Ha parlato di altre persone con matrimoni in crisi e figli trascurati. La giovane donna spiegò anche che un seguace estremamente devoto era stato costretto alla bancarotta, e lei sospettava che questo fosse dovuto in parte agli eccessivi contributi in denaro elargiti al gruppo.
Queste rivelazioni costituivano la prova che l’influenza e il controllo del gruppo stavano svanendo.
Alla fine, la principale preoccupazione della donna fu quella di avvertire gli altri affinché non si lasciassero coinvolgere nel gruppo.
Abbiamo discusso della possibilità di condividere le informazioni attraverso la bacheca dell’Istituto Ross e di contattare altre persone nei primi stadi del coinvolgimento nel gruppo.
La giovane donna ha concluso definitivamente il suo impegno con “[T] Il richiamo di Dio”.

 

 

Falun Gong

Una donna di 36 anni, sposata e madre di 4 bambini tutti d’età inferiore ai 10 anni, si trovò coinvolta nel gruppo Falun Gong essendovi giunta tramite un’amica.
Inizialmente, vedeva il gruppo come un’opportunità di fare esercizio fisico e tenersi in forma.
Comunque, a poco a poco, l’organizzazione manipolò la sua mente e progressivamente condizionò le sue personali convinzioni religiose.
La giovane donna aveva un retroterra ebraico rigorosamente ortodosso. Tutta la sua famiglia era devota ad una nota setta ebraica cassidica. La loro osservanza prevedeva un severo regime alimentare, il rispetto del sabato ebraico, rigide direttive sull’abbigliamento e i rapporti tra uomini e donne.
Suo marito e i suoi familiari rimasero sconvolti quando scoprirono il suo impegno con Falun Gong, che essi giustamente vedevano come una contraddizione rispetto alle radicate tradizioni familiari e alle credenze religiose a loro care.

Arrivai all’incontro preliminare un giovedì mattina. L’incontro si svolse a casa di suo fratello, dove la famiglia aveva concordato di vedersi per la festività del sabato, che comincia al tramonto del venerdì e finisce al tramonto del giorno successivo.
Agli Ebrei ortodossi che osservano la festività del sabato è vietato usare apparecchi elettrici o dispositivi elettronici, durante il sabato stesso. Allo stesso modo, è vietato usare qualunque mezzo di trasporto. Avevamo concordato che il momento migliore per attuare l’intervento fosse il sabato, in una casa privata, sfruttando le rigide regole che avrebbero precluso ogni comunicazione esterna con i membri di Falun Gong.
All’incontro preparatorio erano presenti i genitori della giovane donna, suo marito e suo fratello. I genitori erano arrivati in aereo da […] e l’intervento ebbe luogo a […].

Tutti i presenti erano molto preoccupati che se il coinvolgimento della donna con Falun Gong fosse continuato, si sarebbe arrivati certamente al divorzio e ad una battaglia per l’affidamento dei bambini.
Il venerdì sono arrivato a casa del fratello poco prima del tramonto.
La famiglia mi ha presentato come esperto esterno e consulente. Ci siamo seduti tutti comodamente e abbiamo cominciato la discussione.
Ho dettagliato meglio il mio curriculum e l’obiettivo del nostro incontro.
Con tono dimesso la donna chiese ai familiari perché si rendesse necessario questo incontro, considerando che Falun Gong era un gruppo “innocuo” e “benigno”.
Ciascun familiare singolarmente spiegò le sue preoccupazioni.
I suoi genitori dissero che all’interno della famiglia c’era una tradizione di osservanza religiosa ebraico – ortodossa e non riuscivano a capire perché la figlia avesse apertamente rifiutato questo, abdicando al suo ruolo di madre ebraico – ortodossa.
Il fratello espresse un’analoga disapprovazione riguardo alle scelte della donna. Disse che per molti anni sua sorella era stata l’ispiratrice del suo coinvolgimento nel Giudaismo ortodosso.
Il marito fu il più pungente, affermando enfaticamente e chiaramente che si erano sposati con matrimonio ebraico, assumendo l’impegno reciproco di dar vita ad una famiglia ebraica e onorare i “Comandamenti di Dio”. Concluse che la moglie aveva infranto quei giuramenti e ignorato le sue promesse.

Ripetutamente la donna rassicurò i presenti che Falun Gong non era una scelta religiosa, ma piuttosto una pratica di esercizio fisico, che non contraddiceva le sue credenze religiose.
Affermò anche che c’erano sempre stati dei problemi nel suo matrimonio e poi scoppiò in lacrime.
I familiari contraddissero la sua affermazione e dissero che sebbene nessun matrimonio sia perfetto, il suo sembrava piuttosto soddisfacente, fino all’approfondirsi del suo coinvolgimento in Falun Gong.
[…]
In conclusione della prima serata concordammo l’incontro per il giorno seguente.
Non ci fu bisogno di sollecitare l’impegno di non comunicare con il gruppo, in virtù delle regole della festività del sabato riguardo ai telefoni e/o alla comunicazione elettronica. E tutto in casa era stato disattivato.
La mattina seguente la nostra discussione si concentrò sulla definizione di culto e fino a che punto Falun Gong rientrasse nei canoni.
Parlammo del ruolo del “Maestro Li”, le sue pretese soprannaturali e il modo in cui la sua personalità permeava il gruppo.

Discutemmo anche delle pratiche di meditazione di Falun Gong e del processo di induzione in trance.
Falun Gong incoraggiava, attraverso la suggestione, alterazioni dello stato di coscienza?
Alcuni degli esercizi del gruppo potevano essere considerati auto-ipnosi?
Come si potevano misurare oggettivamente i risultati soggettivi raggiunti attraverso Falun Gong?
Al di là degli aneddoti, c’erano dei risultati, prodotti da Falun Gong, che fossero scientificamente misurabili?
Come poteva Li Hongzhi giustificare le sue pretese soprannaturali?
Questi punti vennero discussi in tutta la mattinata e fino al pomeriggio.
All’avvicinarsi del tramonto, la giovane donna fece notare che, analogamente, neanche le rivendicazioni soprannaturali nel contesto del Giudaismo potevano essere provate.
I miracoli citati nella Bibbia accaddero realmente?
Mosè aprì il Mar Rosso?
E che dire dell’Arca di Noè?
Quali racconti della Bibbia furono eventi storici ed effettivamente provati?
Poi chiesi alla donna se intendesse dire che le pretese soprannaturali di Falun Gong dovessero essere interpretate come rivendicazioni religiose basate sulla fede.
Lei non rispose prontamente.
Insistendo sull’argomento, le chiesi precisamente se volesse dire che le rivendicazioni di Li Hongzhi fossero di tipo religioso. E se lo erano, allora come poteva lei aderire contemporaneamente a due diversi sistemi di credenze religiose?
Discutemmo anche le affermazioni razziste fatte dal sig. Li.
Parte della sua spiegazione in merito includeva una cosmologia con varie divinità assegnate alle varie razze.
Misi in evidenza il problema dell’adesione a due sistemi di credenze contemporaneamente, specialmente se in aperta contraddizione. Vale a dire: mentre il Giudaismo è monoteista, Falun Gong non lo è.
Come faceva lei a conciliare le due cose?
Le chiesi anche se era giusto che Falun Gong l’avesse deliberatamente ingannata nella procedura di reclutamento, nascondendo e/o camuffando il fatto che esso è un sistema religioso e non semplicemente una pratica di esercizio fisico. Non meritava di conoscere tutti i fatti prima di coinvolgersi sempre più nel gruppo?

Al tramonto sembrò trovarsi in imbarazzo.
La giovane donna insisteva nel sostenere che in qualche modo il suo impegno in Falun Gon fosse possibile senza alcun conflitto.
Poi promise al marito e ai familiari che i suoi figli sarebbero cresciuti in una “casa ebraica”.
Successivamente ho ribadito che il monoteismo era l’aspetto più importante nel Giudaismo e quindi era il fondamento di una “casa ebraica”. E come riusciva lei a conciliare questo con gli insegnamenti del Maestro Li?
Fu una specie di disastro.
A questo punto la giovane donna rifiutò di continuare a parlare e disse che la nostra discussione doveva essere conclusa.
Alla fine tutti concordarono nel rispettare i suoi desideri e terminare l’intervento, ma con l’intesa che la coppia avrebbe partecipato ad incontri con un consulente matrimoniale professionista.
La giovane donna acconsentì anche a concludere il suo impegno con Falun Gong e/o chiunque fosse associato al gruppo. Però, successivamente, le sue azioni sembravano indicare che questa promessa non fu completamente mantenuta.

 

Il centro della Kabbalah

Una famiglia ebrea […] decise, dopo molti anni di partecipazione attiva, di porre fine all’impegno in un gruppo controverso noto come “Il centro della Kabbalah”.
Questa organizzazione è guidata dal rabbino Philip Berg, da sua moglie Karen e dai loro figli Michael e Yehuda Berg.
Il Centro della Kabbalah non è ufficialmente riconosciuto dai leader della comunità ebraica organizzata, né è generalmente considerato molto credibile nella più ampia comunità di studiosi della Kabbala.
Invece, il Centro della Kabbala è stato spesso definito “culto”.
Il padre e la madre avevano allevato i figli all’interno del gruppo. Quando ne uscirono, i loro figli più giovani, adolescenti, prontamente lasciarono anch’essi il gruppo. Invece la loro figlia più grande rifiutò di andarsene. Insisteva nel dire che i suoi genitori avevano fatto un errore a separarsi dall’organizzazione.
Fui contattato per un intervento finalizzato a far uscire la figlia adulta dal gruppo.
Ci incontrammo diverse volte per la fase preparatoria.
Alla fine ci riunimmo per l’ultimo incontro di preparazione il giorno prima dell’intervento prestabilito. Erano presenti i genitori, una zia e uno zio ed un ex membro del Centro della Kabbala.
Nel nostro incontro prefigurammo che la figlia avrebbe avuto maggiore intesa con lo zio.

Entrambi i genitori avevano litigato varie volte con la figlia, per più di un anno, a causa del suo protratto coinvolgimento nel gruppo.
Ma suo zio non aveva mai criticato il Centro della Kabbala.
Discutemmo in particolare dell’importanza di bloccare la comunicazione con il gruppo e la sua conseguente influenza per il periodo di tempo in cui saremmo stati insieme, il che si era dimostrato un problema per il suo comportamento precedente.
Sperammo che la figlia condividesse una camera con sua zia nell’albergo in cui stava per svolgersi l’intervanto.
I suoi genitori sarebbero stati in una camera nello stesso piano.
Sùbito dopo l’inizio dell’intervento, la mattina seguente, la giovane donna ebbe una reazione rabbiosa. Era furiosa con i genitori perché non l’avevano avvertita dell’incontro in anticipo.
Spiegai che questa era stata una mia decisione, per le preoccupazioni sul perdurante condizionamento e sulla potenziale interferenza da parte del Centro della Kabbala.
Trovò questo molto difficile da accettare e si precipitò fuori dalla stanza.
Suo zio la seguì fin nella hall e alla fine la convinse a tornare in camera e sedersi.
Un’ ex seguace del Centro della Kabbala condivise le sue esperienze. Una volta faceva parte dello staff, sebbene la sua retribuzione comprendesse poco più che vitto e alloggio, senza altri vantaggi significativi, quali un’assicurazione per la copertura sanitaria.
L’ex seguace spiegò come i membri dello staff venissero sfruttati dai leader. Offrì anche una visione interna del duro trattamento spesso sopportato per lo stile estremamente autoritario dei Berg.
Discutemmo la definizione di culto e come il Centro della Kabbala sembrasse rientrare in quei canoni.
Invece, il Centro della Kabbala è stato spesso definito “culto”.
Il padre e la madre avevano allevato i figli all’interno del gruppo. Quando ne uscirono, i loro figli più giovani, adolescenti, prontamente lasciarono anch’essi il gruppo. Invece la loro figlia più  grande rifiutò di andarsene. Insisteva nel dire che i suoi genitori avevano fatto un errore a separarsi dall’organizzazione.
Fui contattato per un intervento finalizzato a far uscire la figlia adulta dal gruppo.
Ci incontrammo diverse volte per la fase preparatoria.
Alla fine ci riunimmo per l’ultimo incontro di preparazione il giorno prima dell’intervento prestabilito. Erano presenti i genitori, una zia e uno zio ed un ex membro del Centro della Kabbala.
Nel nostro incontro prefigurammo che la figlia avrebbe avuto maggiore intesa con lo zio.
Entrambi i genitori avevano litigato varie volte con la figlia, per più di un anno, a causa del suo protratto coinvolgimento nel gruppo.
Ma suo zio non aveva mai criticato il Centro della Kabbala.

Discutemmo in particolare dell’importanza di bloccare la comunicazione con il gruppo e la sua conseguente influenza per il periodo di tempo in cui saremmo stati insieme, il che si era dimostrato un problema per il suo comportamento precedente.
Sperammo che la figlia condividesse una camera con sua zia nell’albergo in cui stava per svolgersi l’intervanto.
I suoi genitori sarebbero stati in una camera nello stesso piano.
Sùbito dopo l’inizio dell’intervento, la mattina seguente, la giovane donna ebbe una reazione rabbiosa. Era furiosa con i genitori perché non l’avevano avvertita dell’incontro in anticipo. Spiegai che questa era stata una mia decisione, per le preoccupazioni sul perdurante condizionamento e sulla potenziale interferenza da parte del Centro della Kabbala.
Trovò questo molto difficile da accettare e si precipitò fuori dalla stanza.
Suo zio la seguì fin nella hall e alla fine la convinse a tornare in camera e sedersi.
Un’ ex seguace del Centro della Kabbala condivise le sue esperienze. Una volta faceva parte dello staff, sebbene la sua retribuzione comprendesse poco più che vitto e alloggio, senza altri vantaggi significativi, quali un’assicurazione per la copertura sanitaria.
L’ex seguace spiegò come i membri dello staff venissero sfruttati dai leader. Offrì anche una visione interna del duro trattamento spesso sopportato per lo stile estremamente autoritario dei Berg.
Discutemmo la definizione di culto e come il Centro della Kabbala sembrasse rientrare in quei canoni.

La discussione seguente fu incentrata sulla riforma del pensiero e sulle tecniche di persuasione coercitiva.
A turno sia i genitori, sia l’ex seguace esponevano i loro ricordi personali sul Centro della Kabbala e le loro specifiche esperienze, che io poi mettevo a confronto con le tecniche coercitive di persuasione.
Nel corso della giornata, man mano che la discussione continuava, c’erano periodiche esplosioni d’emotività, e la figlia lasciò nuovamente la stanza in preda all’ira.
Suo zio la seguì rapidamente, le parlò lungamente nella hall, e infine rientrarono in camera insieme.
Questo accadde per circa tre volte.
Infine, dopo 8 ore di discussione intervallate da queste periodiche esplosioni, concludemmo la prima giornata.
Ma la figlia rifiutò di stare con la zia o con chiunque altro in albergo.
Alla fine acconsentì a rimanere a casa dello zio a […].
Tutti concordammo di ricominciare la mattina seguente. E la figlia in particolare acconsentì a non comunicare in alcun modo con il Centro della Kabbala, nel frattempo.
Comunque, la mattina dopo se n’era andata.

Suo zio l’aveva lasciata sola in casa quando era andato ad accompagnare i suoi due figli a scuola.
Evidentemente, sùbito dopo che lui era uscito, la donna aveva contattato il Centro e poi era scappata via.
Successivamente, per diversi mesi, la figlia si allontanò dalla casa familiare, rifiutò di incontrare i genitori e invece andò a vivere con un seguace del Centro della Kabbala.
Oggi la figlia continua ad essere membro del Centro nonostante le preoccupazioni dei suoi familiari, anche se le comunicazioni con loro sono riprese e molto migliorate.

 

Conclusione
Spero che questa spiegazione essenziale del mio approccio d’intervento / deprogrammazione sia servita ad una migliore comprensione della procedura.

La deprogrammazione nelle sue varie forme è sostanzialmente durata più di 30 anni negli Stati Uniti, in quanto è l’unico approccio sistematico più efficace per interrompere il condizionamento strategico di un culto attraverso una procedura d’intervento.
Come avete potuto vedere dal breve profilo dei casi presentati, questo processo è difficile e non sempre ha buona riuscita.
E’ mia speranza che lavorando insieme, confrontando i vari approcci, condividendo le nostre conoscenze generali e le informazioni rilevanti, si possa rendere un servizio migliore alle molte persone e alle rispettive famiglie pesantemente condizionate dai culti distruttivi.
—————————————
Ringraziamo Rick Alan Ross, che ci ha permesso di tradurre questo suo intervento:
“You may translate my article regarding cult deprogramming. But full attribution and copyright
notice must be posted. Copyright © 2010 Rick Ross”
L’originale è al seguente indirizzo
http://www.cultnews.com/?p=2421 )
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La deprogrammazione dai culti: un esame della procedura d’intervento
Giovedì 13 Gennaio 2011 16:44 –
© Traduzione in italiano a cura di Lidia De Stefanis –Editing di Lorita Tinelli – CeSAP, 2011

Psicoterapie “Folli” Conoscerle e difendersi

Psicoterapie “Folli” Conoscerle e difendersi


Di Margaret T. Singer e Janjia Lalich

Prefazione: Prof Paolo Michielin

Casa editrice Erickson

 

Recensione di Lorita Tinelli

Le autrici di questo libro, due psicologhe americane, hanno elencato ed analizzato alcune ‘psicoterapie’ proposte in anni recenti, in primis negli USA e poi anche nella nostra Europa, spesso fondate sulle intuizioni di un caposcuola o di un leader carismatico e mai supportate dalla Comunità Scientifica.

Si tratta di “psicoterapie” che pretendono di risolvere i problemi che il “cliente” porta in seduta, mediante ‘strani’ esercizi e strategie ‘psicoterapiche’ che alla fine presuppongono seri rischi per la sua salute mentale. Alcune di queste ‘terapie’ per esempio si basano sulla necessità di far rivivere al cliente una sua ‘rinascita’ e magari anche gli stati iniziali della sua vita attraverso l’allattamento con un biberon; oppure gli propongono l’esigenza di ricongiungerlo a vite precedenti, tramite forme di ipnosi regressiva o ancora passano ad ipotizzare la causa del suo disagio dovuta a rapimenti di non meglio identificati extraterrestri o spiriti maligni.

Tali terapie, considerate dalle stesse autrici ‘folli’, possono prevedere sessioni a base di sesso e di coccole tra terapeuta e suo paziente. Altre si avvalgono di tecniche apparentemente razionali e miracolose, come la comunicazione facilitata e la programmazione neurolinguistica, o anche sul concetto dello sfogo libero e incontrollabile, basato sulla teoria che ‘manifestare le proprie emozioni risolva molti problemi, sia intrapsichici che intrapersonali’.

Le teorie alla base delle terapie folli analizzate nel libro sono accomunate dall’approccio a ‘taglia unica’: ovvero i terapeuti adottano un atteggiamento per il quale operano come se ci fossero una sola causa e una sola risoluzione per tutti i problemi.

Altro assunto su cui si basano tali terapie è il potere narcisistico ed economico che il terapeuta stesso acquisisce nei confronti della propria utenza.

Le autrici ripercorrono ciascuno di questi nuovi interventi curativi pseudoscientifici, evidenziandone i limiti e i danni sull’utenza, anche attraverso racconti di esperienze dirette.

Il libro, con prefazione del Prof. Paolo Michielin è rivolto agli psicologi, agli psicoterapeuti, ai medici e a tutti gli operatori della salute in generale. Ma soprattutto, per la chiarezza espositiva circa i reali limiti tra terapie ‘scientificamente accettate’ e quelle ‘folli’ e tra i vari ruoli e competenze dei professionisti della salute mentale, si propone come ottimo strumento di conoscenza per tutti coloro che possono aver bisogno di un trattamento psicoterapico, al fine di meglio orientarsi nel ‘mercato’ degli approcci e delle tecniche proposte nei tempi odierni.

L’ultimo capitolo in particolare offre anche importanti strumenti su come valutare il servizio proposto dallo psicoterapeuta scelto ed anche a quali istituzioni rivolgersi per approfondire l’argomento, onde evitare di cadere in esperienze a rischio di delusione, se non di vera e propria truffa o raggiro.

http://www.osservatoriopsicologia.it/2009/03/12/psicoterapie-%E2%80%9Cfolli%E2%80%9D-conoscerle-e-difendersi/