Sfatare i miti. Alcune idee sbagliate comuni circa i culti e le loro vittime

di Paul R. Martin, Ph.D.

Per più di sette anni Jennifer è stata una missionaria di successo, rispettata dalla organizzazione religiosa cui apparteneva.

Ritornando negli Stati Uniti ancora da fedele servitore della Parola di Dio, si è unita a quella che sembrava essere una buona Chiesa Evangelica. A poco a poco lei e il resto della chiesa sono stati profondamente coinvolti dal carisma del Pastore. Nel corso del tempo lei ha cominciato a credere e mettere in pratica le cose che in precedenza sarebbero state moralmente impensabili per lei. Nonostante affermasse di essere felice, dentro di sé era piena di ansia, sensi di colpa e paura.
Eppure, nessuna pressione persuasiva avrebbe potuto convincerla che il suo gruppo era nell’errore.

E’ letteralmente accaduto un miracolo perchè Jennifer visualizzasse gli errori dell’insegnamento distorto della sua chiesa riversate sulle relazioni e sulla crescita spirituale.

Anche se ora va molto meglio, ella è al suo secondo anno di terapia con un consulente cristiano. E probabilmente ci vorrà un po’ di tempo ancora per rielaborare, attraverso questa consulenza, quello che questa cosiddetta “chiesa” ha fatto a lei e ad altri membri di quella congregazione.

Randy, al secondo anno in una importante università del Midwest, un vero cristiano convertito, ha cercato qualcosa di più entusiasmante per raggiungere il Signore. Dopo aver trovato la “chiesa perfetta” Randy è stato piuttosto felice e soddisfatto per qualche tempo. Poi si è innamorato di una delle donne nella chiesa. C’era solo un problema: la sua chiesa proibiva la relazione. E’ stata scandagliata tutta la vita di Randy, i suoi incontri occasionali e cosa era accaduto con questa ragazza – tale frequentazione è stata considerata dagli Anziani [ministri della congregazione] come disobbedienza e fazione e per questo egli è stato scomunicato.

L’esperienza l’ha talmente stordito che la sua vita non è stata più la stessa. Randy rispettava gli Anziani  e così ha accettato come vere le accuse di fazione e di avere un cuore malvagio. Anche se ha cercato di fare ammenda con la congregazione non gli è mai sembrato di essere in grado di soddisfare gli Anziani.

Per una decina d’anni Randy è rimasto un emarginato e ha creduto di essere un emarginato da Dio. Ogni tentativo di lavorare o tornare a scuola è stato di breve durata. E’ stato perseguitato da sentimenti di rifiuto. In preda alla disperazione i suoi genitori hanno cercato molte forme di aiuto. Anche per alcuni dei migliori psichiatri del paese era difficile curare il danno prodotto da questa esperienza. Da uomo di mezza età, Randy ancora lotta con la confusione, la disperazione, l’incertezza occupazionale e le difficoltà relazionali.

Michael era figlio di un predicatore, cresciuto in una bella casa evangelica. Ha frequentato una scuola cristiana e il college. Era ben adattato, solare ed energico e aveva un profondo desiderio di conoscere Dio e servirlo pienamente. Si è unito ad un gruppo che mirava a evangelizzare secondo il messaggio di Cristo l’intero mondo nell’arco di una generazione. Michael è diventato un leader nell’ambito del gruppo, ma lentamente si è reso conto dell’ipocrisia personale nel leader nazionale, così come di un crescente spirito di élitarismo. I metodi erano diventati più importanti del messaggio.
In qualche modo Michael non poteva fare abbastanza per compiacere il capo. Mentre lavorava nel gruppo, spesso per diciotto ore al giorno per lo studio della Bibbia, per l’evangelizzazione, l’insegnamento e la consulenza, non riusciva a sedare il persistente pensiero di avere uno “spirito tiepido” o di non essere del tutto “preso dal Signore“. Alla fine ha lasciato il gruppo, ma ha continuato ad avere la mente impostata secondo le dinamiche del gruppo. Ci sono voluti anni per superare il suo senso di colpa derivato dal vivere uno stile di vita meno radicale e per non aver raggiunto l’obiettivo di evangelizzazione del mondo. Avrebbe potuto chiedere un aiuto professionale, ma non sapeva che ne aveva bisogno. Egli avrebbe rifiutato tale aiuto, anche se gli fosse stato offerto, perchè si rimproverava per la spirale emotiva e spirituale in cui era caduto. La sua rielaborazione dell’esperienza è avvenuta attraverso due mezzi:

  1. parlando con altri, che delusi in modo simile da questi gruppi, li avevano lasciati, e avevano continuato fuori il loro percorso di vita, e

  2. con la riscoperta del Vangelo e della grazia incondizionata di Dio.

 

Sorprendentemente Jennifer e Randy hanno sperimentato gli stessi sintomi della disillusione, depressione, confusione e disperazione, come molti dei giovani che una volta erano stati prigionieri in ben noti culti.

Ma come può essere? Queste due persone sono state coinvolte da gruppi che si professano cristiani. Purtroppo ci sono tanti casi come questi che i Pastori e i Consulenti (compreso il sottoscritto, psicologo abilitato), non possono ignorare.

Nel mio caso, sono stato lento nell’affrontare e riconoscere il problema, perché – come molti altri – ho accettato alcune ipotesi errate del fenomeno dei culti. Questi assunti effettivamente hanno creato un senso di rifiuto in me relativo a queste persone sofferenti. In questo articolo voglio soffermarmi su questi miti ampiamente accettati in materia di coinvolgimento in un culto.

Mito n. 1

Gli ex membri di culti non hanno problemi psicologici. I loro problemi sono prevalentemente di carattere spirituale.

Questo mito è simile a un errore comunemente commesso dai sostenitori del Vangelo che affermano che solo chi è fedele e obbediente a Dio otterrà “salute e benessere“. Pertanto, qualsiasi problema nella propria vita si presume che sia causa di disobbedienza, di fede insufficiente o di mancanza di fedeltà.

Molti ex membri continuano a credere a questo mito anche molto tempo dopo la loro fuoruscita dal gruppo. Sebbene spesso questo mito sia presente sia tra i cristiani che tra gli ex membri di sette, esso non ha alcun fondamento nella realtà. Come risultato da una vasta ricerca su circa 3.000 ex membri di sette realizzata dalla Dr.ssa Margaret Singer, casi significativi di depressione, solitudine, ansia, scarsa autostima, eccessiva dipendenza, confusione, incapacità di concentrarsi, lamentele somatiche e, a volte, psicosi, sono molto frequenti. [1].

Oltre alla ricerca autorevole della Singer, ci sono numerosi articoli e libri che descrivono il disagio psicologico degli ex. (Molti dei risultati di questa tesi saranno riportati nel corpo di questo articolo.

La mia esperienza ha prodotto i medesimi risultati della Dr.ssa Singer.

Lori (una ragazza che ho trattato dopo che lei aveva lasciato un bislacco gruppo religioso) presenta un tipico esempio di eccessiva dipendenza e di insicurezza di un ex cultista. Lei mi faceva domande del tipo: “Va bene mangiare cereali freddi per la prima colazione?“, “Posso ascoltare la radio?” Era come se Lori fosse una bambina che necessitava di approvazione e di orientamento per ogni sua scelta. La sua risposta alla ricezione di autorizzazione di mangiare cereali freddi e ascoltare la radio sembrava gioiosa quasi più della meraviglia e dell’emozione che i bambini provano la mattina di Natale.

Debbie, un altro ex cliente, è un tipico esempio di qualcuno che soffre di depressione. Lasciare il suo gruppo e l’atletica è stato per lui come far morire la sua anima. Le due cose più preziose della sua vita erano ormai perse: il gruppo e la sua passione per l’atletica. La perdita era chiaramente evidente in lui dalla inespressività del suo volto. La sua vita a quel punto era solo una questione di passare attraverso i movimenti della vita. A poco a poco Debbie ha cominciato a percepire che l’atletica non era “peccaminosa“, dopo tutto. Più vedeva la possibilità di vita al di fuori del culto che aveva frequentato, più si sentiva rigenerato e la cosa cominciava a trasparire dal suo viso. Tuttavia, non è stato facile aiutare Debbie. Era come un animale ferito, aveva paura che qualcuno venisse a rinchiuderlo. Ci sono voluti un sacco di cure compassionevoli prima che fosse in grado di fidarsi ancora.

I professionisti della salute mentale sostengono la prima parte del mito n. 1.

Pur non approvando l’appartenenza al culto, il Dr. Saul Levine, capo del dipartimento di psichiatria alla Sunnybrook Medical Center di Toronto, afferma che l’esperienza [nei culti- ndt] può essere “terapeutica” e che “una notevole maggioranza di individui non è stata danneggiata [nei culti- ndt]”. [2]

Anche se non metto del tutto in dubbio i risultati di Levine, mi preoccupa che egli scrisse il suo documento dopo (e nonostante) gli orrori di Jonestown. Egli non fa alcun riferimento alle innumerevoli storie di dolore riferite da migliaia di ex membri.

Gran parte della differenza tra i risultati di Levine e quelli dei ricercatori che riconoscono i problemi degli fuorusciti dalle sette, potrebbe essere dovuta alle popolazioni campionate. Levine ha studiato persone che erano state in genere in gruppi settari per brevi periodi e che si offrivano volontariamente per essere intervistate. Contrariamente i membri di sette “utopistiche” o separatiste non si prestano volontariamente a parlare con uno psichiatra, a meno che non stanno avendo seri dubbi sul gruppo. La paura delle reazioni degli altri membri e il senso di colpa – così come la sfiducia verso la professione dello psichiatrica – sono forse un ostacolo troppo grande. Inoltre, Levine ha ammesso che anche il suo campione di cultisti sperimentavano un “grave sconvolgimento emotivo nei primi mesi” dopo il ritorno a casa. [3]

I ricercatori che hanno evidenziato dei problemi di solito si sono occupati delle persone che sono fuoruscite dai gruppi da sole, o alle quali è stato
consigliato di uscire, o che sono state cancellate dai programmi del gruppo e che loro hanno aiutato.

In questi casi i problemi erano reali e le ferite molto evidenti. I ricercatori, tuttavia, non hanno risolto la questione della percentuale di persone che in
questi gruppi subiscono danni psicologici. Né hanno dimostrato che tipo di personalità possa essere negativamente influenzata dal coinvolgimento cultuale.

Levine sostiene inoltre che il “danno” subito dal coinvolgimento al culto può essere dovuto al processo traumatico della deprogrammazione.

Tuttavia, nella mia ricerca con gli ex membri non ho trovato nessuna statistica differenza tra coloro che sono stati involontariamente liberati dai culti e quelli che hanno lasciato il gruppo in maniera del tutto volontaria. Infatti, il punteggio medio nelle scale cliniche per il gruppo volontario era in realtà superiore a quello dell’altro gruppo.
Per quanto riguarda i problemi spirituali incontrati dai cultisti, è vero che questi sono spesso presenti in aggiunta al disagio emotivo. Questi problemi spirituali, tuttavia, in genere hanno origine con gli insegnamenti biblici del gruppo, piuttosto che nel proprio rapporto del singolo con Dio. La mia esperienza ha evidenziato che quasi tutti gli ex membri di sette religiose o sette estremiste (compresi quelli che sostengono di essere evangelici) sono confusi su argomenti come la grazia di Dio, la natura di Dio, la sottomissione all’autorità e l’abnegazione. È degno di nota che i gruppi con posizioni diverse di tipo dottrinale uniformemente tendono a modificare la grazia di Dio e il carattere.

Mito n. 2

Gli ex membri di un culto hanno disturbi psicologici. Ma queste persone provengono da culti non cristiani.

Il Mito n. 2 assume uno dei due concetti come vero. In primo luogo si può presumere che non sono veri cristiani coloro che hanno problemi psicologici. Tuttavia, molti teologi cristiani ben noti e psicologi sono in accordo quando affermano che i veri cristiani soffrono psicologicamente.

Il Dr. Francis Schaeffer A, per esempio, ha scritto: “Cerchiamo di essere chiari su questo. Tutti gli uomini, dopo la fuoruscita, hanno avuto alcuni problemi psicologici”.

Il Mito n. 2 è un assoluto un nonsense, un romanticismo che non ha nulla a che fare con il cristianesimo biblico, questo per dire che non è chi ha problemi psicologici a non è mai stato un vero cristiano. Tutti gli uomini possono avere  problemi psicologici. Essi differiscono in misura, e differiscono per tipo, ma dopo una ‘caduta’ tutti gli uomini hanno più o meno un problema psicologico. E ha a che fare con questa esperienza anche chi segue il Vangelo ed è in sintonia con la fede nel Calvario di Cristo sulla Croce. Chi può conoscere perfettamente l’uomo ora? Ciò è vero sia nei momenti migliori che quando le tempeste irrompono su di noi, dato che le brutte vicende capitano a tutti, anche ai cristiani.[4]
In secondo luogo, il Mito n. 2 fa presumere che esistono solo i culti non cristiani. E tuttavia la mia esperienza personale (che è stata confermata dalla considerevole ricerca di altri) è che alcuni gruppi cristiani sono settari nella pratica. Stando così le cose, i gruppi cristiani abusanti possono, e spesso lo fanno, esacerbare preesistenti disturbi psicologici della personalità dell’individuo, nella famiglia, nell’occupazione, ecc, e possono anche produrre tali disturbi in soggetti cui non erano già presenti prima dell’esperienza gruppale. [5]

Una serie di studi recenti hanno dimostrato che problemi psicologici sono sperimentati dai membri, in entrambi i gruppi, sia quelli basati sulla Bibbia (anche quelli dottrinalmente ortodossi) sia nei gruppi che non si fondano sulla loro dottrina sulla Bibbia. Infatti, i problemi psicologici sono simili. Flavil R. Yeakley, Jr., riferisce che un certo tipo di gruppo induce una distorsione della personalità e induce al senso di colpa, bassa autostima, frustrazione, depressione, problemi emotivi gravi, un’eccessiva dipendenza e comportamenti irrazionali, problematiche tipicamente presenti anche in un certo numero di organizzazioni religiose ben note. [6]
Tra i gruppi da lui studiati, i seguenti hanno evidenziato segni obiettivamente misurabili di distorsione della personalità: la Chiesa di Cristo di Boston (ora nota come la Chiesa Internazionale di Cristo), la Chiesa di Scientology, gli Hare Krishna, Maranatha Campus Ministries (ora disciolto come movimento), i Bambini di Dio (ora denominato come La Famiglia), la Chiesa dell’Unificazione, e The Way International.
Maranatha e la Chiesa di Cristo di Boston sono chiaramente movimenti basati sul ministero della Bibbia. Maranatha era una setta carismatica fondamentalista ( sosteneva il “dominio” o “Teologia del Regno”) che è stata spesso criticata per i suoi eccessi autoritari, tra le altre cose. Allo stesso modo, la Chiesa di Boston di Cristo e della sue molte Chiese sorelle in tutti gli Stati Uniti e all’estero, sono state aspramente criticate per l’autoritarismo e per le tecniche di persuasione coercitiva utilizzate all’interno. Entrambi questi gruppi conterrebbero membri “di seconda generazione”.

Quello che è allarmante di questi risultati è che i gruppi che sono per lo meno marginalmente cristiani producono danni psicologici molto simili a quelli prodotti da gruppi non basati sulla Bibbia. Tutti questi gruppi plasmano la personalità dei loro membri in una personalità complessa che include il grado di giudizio (cioè, una valutazione del mondo in termini di giudizi di valore) e l’estroversione. Ma non tutte le persone sono per natura estroversi o giudicanti.
Alcune persone sono per natura introversi e capaci di vari spettri percettivi (ad esempio, vi sono quelli che si riferiscono al mondo in modo più descrittivo, senza aver bisogno di trarre conclusioni sulla base della loro osservazioni). Modifcando il tipo di personalità, il danno viene occultato sotto forma di nevrosi e di altre difficoltà emotive.

Yeakley ha testato anche membri delle chiese storiche di denominazione Cristiana, così come i membri della Chiesa Cattolica, quella Battista, Luterana, Metodista e Presbiteriana. In questi gruppi, non ha trovato alcuna prova di distorsione indotta dal gruppo sulla personalità e che porterebbe a stress psicologico.
Purtroppo, l’ortodossia di per sé, non offre alcuna garanzia che non si verifichino danni.

La mia ricerca (su diverse centinaia di ex membri di sette e circa 50 su base intensiva totale di circa 2.000 ore) indica che la gravità dei problemi sofferti da coloro che sono nelle sette estremiste evangeliche può essere uguale o maggiore di quella sperimentata dai membri dei più noti culti. [7]

Mito n. 3

Entrambi i gruppi cristiani e non cristiani sono in grado di produrre problemi, ma tutte le persone coinvolte devono aver avuto qualche precedente problema psicologico che è emerso indipendentemente dall’esperienza nel gruppo cui ha aderito.

Ho incontrato questo mito regolarmente sia tra gli psicologi cristiani che tra quelli laici. Ho il sospetto che gli faranno presto raggiungere uno stato di immortalità. Sembra che nessuna quantità di prove contraddittorie possa convincere che alcune persone “normali” possano essere coinvolte in questi gruppi. A volte, mi capita di ricordare ai miei colleghi che la Germania nazista aiuta a sfatare questo mito dal loro modo di pensare. Chiedo, “Se tutti quei tedeschi che soffrono di patologia individuale sono stati resi vulnerabili dalla religione nazista“. Oppure chiedo loro: “Come accade con l’Iran e la Ayatollah? I malati sono tutti i suoi seguaci fanatici o erano persone abbastanza normali,  diventati fanatici e malati a causa di averlo seguito?

Ci sono più di alcune vicende della storia che sottolineano la falsità del mito n. 3.

La mia ricerca clinica, insieme a una serie di altri studi, dimostra che non tutti i membri di una setta avevano prima problemi psicologici. Infatti, la percentuale di persone con problemi precedenti (circa 1/3) rispetto a quelli senza è solo leggermente superiore alla popolazione generale (circa 1/4).

Levine, Cantante, Maron, Clark, e Goldberg & Goldberg hanno dimostrato, in studi separati, che la famiglia o comunque i fattori psicologici preesistenti non necessariamente sono fattori che possono preventivare chi finirà in un culto. [8], naturalmente, le loro scoperte riguardanti chi aderisce ai culti sarebbero in linea con le dinamiche della vita sociale di movimenti di grandi dimensioni come quelli nazisti, dei musulmani fanatici, o dello stesso comunismo.

In poche parole, la psicopatologia non riesce adeguatamente a spiegare i fenomeni dei grandi movimenti di massa fanatici. Tuttavia ci sono alcune variabili che ci aiutano a prevedere chi entrerà a far parte di una setta o di gruppo cultuale.

Cantante, Maron e una serie di altri ricercatori hanno evidenziato questi fattori, alcuni dei quali sono:

1) un evento stressante nel corso dell’ultimo anno,

2)una fase di transizione nella vita (tra la famiglia e l’indipendenza, tra la scuola e la carriera, o a livello affettivo-relazionale),

3)il desiderio di far parte di una comunità e di ricevere un accudimento amicale

4) il desiderio di servire una grande causa e di essere parte di un movimento che cambierà la società.

Ora, per coloro che hanno pre-esistenti problemi, la vita cultuale può essere estremamente pericolosa. Almeno su questo la maggior parte dei ricercatori sembra aver trovato un punto di accordo sostanziale. In questi casi il convolgimento con il culto può produrre la dissociazione, l’incapacità di pensare o concentrarsi, psicosi, allucinazioni o suggestionabilità estrema. [9] Tuttavia, la struttura intensa della vita cultuale porta spesso alla instabilità emotiva tanto da far visualizzare i culti come fossero paradisi. Il regime severo e lo stile di vita fornito dal culto possono dare loro la struttura esterna e i controlli che essi non hanno in se stessi. Quando queste persone lasciano il loro culto vi è una buona probabilità che alla fine ritornano in quella struttura. [10]

La prognosi per queste persone non è incoraggiante.

Mito n. 4

Mentre i non credenti normali possono essere coinvolti dai culti, i credenti di convertiti successivamente non lo faranno. E anche se l’hanno fatto, il loro coinvolgimento non sarà di tipo negativo.

Il Mito n. 4 è forse il più pericoloso di tutti, perché rende difficoltosa l’attività di aiuto. E’ anche un vecchio mito, ed è stato contestato fin dai tempi dell’Antico Testamento. Ezechiele ha avvertito che le pecore di Dio avrebbero potuto essere sfruttate dai pastori malvagi (Ezechiele 34:1-7). A questo proposito, S. Agostino ha detto: “I difetti delle pecore sono molto diffusi. Ci sono pochissime pecore sane e sono pochi coloro che sono solidamente nutriti con il cibo della verità, e pochi che godono i buoni pascoli di Dio. Ma i pastori malvagi non risparmiano tali pecore. Non è sufficiente che trascurino quelle che sono malate e deboli, quelle che vanno fuori strada e si perdono. Hanno anche provato, per quanto è in loro potere, di uccidere il forte e sano“[11]

Quindi è ovvio che le pecore di Dio possono essere danneggiate da cattivi pastori, e esempi più evidenti di “Pastori malvagi” ci vengono dati dai leader di culti distruttivi e aberranti dal punto di vista religioso.

Il Mito n. 4 è particolarmente pericoloso per la comunità cristiana, perché ignora il fatto, sottolineato da diversi osservatori di culti cristiani, che una parte consistente di coloro che sono coinvolti in sette o gruppi estremisti proviene da un certo tipo di chiesa evangelica di base. [12]

Con i cultisti ho personalmente lavorato, circa il 25% di loro proveniva da chiese evangeliche o fondamentaliste e oltre il 40% avevano un passato in grandi denominazioni protestanti più liberali.

Mito n. 5

I cristiani possono e devono essere coinvolti in questi gruppi aberranti e possono farsi male emotivamente. Ma tutto ciò di cui hanno realmente bisogno è di un buon insegnamento della Bibbia, di una calorosa amicizia cristiana e della cura che andrà bene per loro.


C’è sicuramente un sacco di verità in questa affermazione. Purtroppo, le mezze verità sono spesso la peggior forma di errore.

Il Mito n. 5 è falso per i seguenti motivi: in primo luogo molte persone che hanno lasciato i culti non vogliono più seguire l’insegnamento della Bibbia e l’insegnamento o il concetto di fratellanza cristiana. [13] Essi sono “prima scottati e successivamente intimiditi.”

In secondo luogo, un  sondaggio del 1986 su circa 300 ex membri di sette, effettuato da Conway e Siegelman, ha evidenziato che le attività essenziali per la riabilitazione sono le seguenti:

1) l’amore e il sostegno dei genitori e familiari – 64%
2) la comprensione e il sostegno di ex membri – 59%
3) la consulenza di un professionista della salute mentale – 14%
4) un’azione giuridica per recuperare i soldi persi, beni, ecc – 9%
5) il ritorno a scuola o all’università – 25%
6) trovare un lavoro e che istituisce una nuova carriera – 36%
7) aiutare gli altri a fuoruscire o recuperare serenità dai culti – 39%
8) stabilire nuovi amicizie con estranei ai culti – 50%
9) stare più lontano possibile dai culti – 29% [14]

Anche se molti membri dei gruppi estremisti cristiani tornano a chiese evangeliche, spesso continuano a soffrire. Questi membri tenderanno a cercare una chiesa che è molto simile a quella che hanno lasciato. Tali persone hanno lasciato il primo gruppo perché erano stati delusi da esso e / o incapaci di soddisfare le sue esigenze, ma credono ancora a molti dei suoi principi. [15]
Per questo la vita delle persone può diventare un incubo – sono caduti, hanno lasciato “la pupilla degli occhi di Dio“, perché sono stati, nei loro propri termini, “troppo carnali” o “troppo mondani” per tenere il passo nel gruppo. Il rigore della vita cultuale aveva prodotto in loro tutti i sintomi del burnout: uno stato di avanzato esaurimento spirituale, mentale, emotivo e fisico. Eppure, nelle loro menti il ​​mondo è spiegato così totalmente in termini teologici che non possono neppure concepire un qualsiasi termine, come burnout. Invece hanno erroneamente concluso che non erano spirituali abbastanza, che non sono riusciti e che Dio in qualche modo li ha respinti.
Purtroppo non mi capita spesso di vedere queste persone, di solito alcuni amici mi parlano di loro. Questi ex membri provano troppa vergogna nel tornare al gruppo cultuale, temendo solo di fallire di nuovo. Essi continuano a credere alla visione del mondo del culto e si impegnano in una chiesa locale, nella speranza di sostituire ciò che hanno perso nel lasciare il gruppo. Queste persone hanno bisogno di aiuto e, sospetto, ci siano diverse centinaia di migliaia di loro.
Altri ancora che hanno lasciato un culto spesso presentano difficoltà a legarsi ad un altro gruppo. Vogliono essere coinvolti in nuovi gruppi, amici e in una nuova organizzazione religiosa. Eppure spesso si lamentano, “ho paura di essere manipolato, che mi venga detto che cosa fare tutto il tempo “, oppure” Non so se mi posso fidare di nuovo del leader della chiesa“, o “Ho paura che se mi fido sarò rifiutato di nuovo.”

Forse la maggior parte di questi ex-membri di gruppi estremisti vorrebbe andare avanti con la propria vita cristiana, ma non è in grado di leggere parti della Bibbia senza associare ad esse emozioni negative.

Versi come “Colui che mi segue deve prima di tutto rinnegare se stesso …” ora producono forti reazioni negli ex-membri.

Esortazioni scritturali di “dimenticare … cosa c’è dietro“, o “abbandonarsi all’insegnamento” producono confusione e risentimento.

Gli ex membri di gruppi si chiedono: “Dove è il confine? Dove si trova l’equilibrio in tutti questi comandi?” A volte, quando un ex membro sente qualcuno dire:”Il Signore sarebbe così e così … “, lui o lei può rispondere con forti sentimenti di disgusto, incredulità, rabbia, e a volte anche paura.

Troppi ricordi negativi o flashback di eventi del gruppo e dei conflitti sono innescati da queste frasi. Per queste persone la comunione evangelica non è una panacea o la perfetta guarigione. Chiaramente, è necessario qualcosa di più.

Un altro problema del mito n. 5 è quello secondo cui alcuni pastori e consulenti cristiani sono in gran parte inconsapevoli del fatto che gli ex membri di sette o chiese di frangia sono stati condizionati per interrompere o annullare alcuni pensieri biblici che contraddicono i dogmi del loro gruppo particolare. Per coloro che si impegnano nel processo dell’arresto del pensiero, uno studio biblico può probabilmente essere ignorato o respinto da alcuni cliché che hanno imparato mentre erano nel loro gruppo. Queste persone avrebbero bisogno di una forma professionalmente controllata e non coercitiva di “deprogrammazione” o “assistenza all’uscita” prima di studiare la Bibbia, che di per se sarebbe utile.
Allo stesso modo, i versi che hanno a che fare con fazione e calunnia – così come la paura condizionata anche di intrattenere tali pensieri – possono avere un effetto di blocco del pensiero. Ciò impedisce la liberazione dal dolore, perchè secondo gli insegnamenti del suo gruppo solo la Bibbia l’avrebbe liberato dai sensi di colpa. E ‘chiaro che i consulenti cristiani spesso non comprendono o fraintendono gli insegnamenti errati che servono come meccanismi di controllo sottili. In certi gruppi cristiani marginali, meccanismi di controllo sono spesso contenuti nel loro insegnamento sulla fazione, calunnia, sottomissione, o confessione. [16]
E’ necessario, quindi, conoscere tutto questo per il supporto a queste persone e per essere sistematicamente in grado di confutare l’insegnamento di un particolare gruppo, su argomenti quali per esempio, la fazione, la calunnia, la sottomissione o la confessione. In questo modo l’ex-membro ha l’opportunità di aprire la sua mente e intrattenere pensieri che possono essere stati fino ad allora considerati come “calunnia“, e che ora possono essere visti come “sana dottrina” o anche “rimprovero“.

Non posso sottolineare abbastanza l’importanza di far riappropriare questi ex-membri della libertà di pensare, e di pensare in modo critico.

Mito n. 6

Forse il modo migliore per aiutare questi ex-membri è quello che vadano da un terapista professionale come uno psicologo, uno psichiatra o un consulente della salute mentale.

Come il Mito n 5, il Mito n. 6 è vero soltanto a metà e quindi anche particolarmente pericoloso. Essere un professionista terapeuta non conferisce automaticamente avere le competenze per quanto riguarda i fenomeni di culto. Alcuni terapeuti possono essere inclini a sottoscrivere il Mito n. 3. I terapeuti che operano secondo il Mito n. 3 possono inavvertitamente “Incolpare la vittima“, oppure possono commettere ciò che gli psicologi sociali chiamano “errore di attribuzione” [17] (vale a dire, il problema si trova all’interno della persona e non all’interno del gruppo). Tale terapia può produrre anche risultati peggiori sull’ex-membro.

Non vi è sufficiente letteratura e ricerca che mostra gli effetti deleteri dell’esperienza nel culto o in un gruppo estremista tanto da offrire informazioni utili a coloro che sono alla ricerca di una consulenza, per cui bisogna essere cauti nella scelta di un terapeuta che sottoscrive la vista “benigna” rispetto al coinvolgimento nel culto. [18]
Una piccola percentuale di terapeuti professionali, invece, considerano sia il coinvolgimento cultuale sia l’interesse religioso di per sé come esperienze non sane, e cercherà di aiutare l’ex membro di sette a guardare alla vita in maniera più “Realistica“. Altri sono esplicitamente ostili verso il cristianesimo. Ad esempio, N. Brandon dichiara che la Fede cristiana del peccato e sacrificio di per sé è “come una mostruosa ingiustizia, come una perversione della moralità che la mente umana possa concepire “. [19] Egli incoraggia i consulenti ad aiutare gratuitamente i loro clienti a liberarsi  da  tali dottrine distruttive. [20] A. Ellis vede il concetto di peccato come la causa diretta e indiretta di quasi tutti i disturbi nevrotici. [21]

C’è poco da commentare nel sottolineare l’effetto potenzialmente disastroso dell’invio di un ex-cultista ad un terapeuta che ha tali opinioni. Tale consulenza da parte di questo tipo di terapeuti potrebbe creare un doppio senso di perdita: 1) dal gruppo cultuale, e 2) dalle credenze religiose di per sé. La risultante confusione e disillusione spirituale potrebbe durare per anni (per non parlare delle conseguenze di tale consulenza per l’anima dell’ex-cultista). [22]

Sette passi verso la ripresa

Data la presenza di diverse idee sbagliate, cosa è necessario fare per aiutare gli ex membri di questi gruppi estremisti?

Fase uno: La cosa più importante è trovare un aiuto da chi non condivida questi sei miti e che sa come fare per contrastarli in modo corretto.

Fase due: Capire che la partecipazione cultuale è un’esperienza intensamente personale. Di conseguenza la terapia deve essere intensa e personale. Il terapeuta, counselor, o pastore che sia, deve essere in grado di relazionarsi con i bisogni emotivi dell’utente ex membro di un culto e deve essere in grado di accettare, di considerare il suo senso di appartenenza, amicizia e amore. [23] Harold Busse’ll nota di non aver mai visto un evangelico che è entrato in un gruppo cultuale per motivi dottrinali. Tra le cose che descrive come fattori che rendono un gruppo interessante vi è l’accento della setta su principi quali “la condivisione di gruppo … l’esser parte di una comunità e il ricevere una cura …. “[24]

A questo proposito alcune note di cautela dovrebbe essere evidenziate quando si lavora con un ex membro.

Per cominciare, il metodo di confutazione degli insegnamenti del gruppo è solo uno dei numerosi elementi cruciali del recupero dell’ex membro. Oltre a disporre di una struttura  teologica e intellettuale, l’etica del gruppo (ad esempio, l’uso del denaro, i metodi di riforma del pensiero, e la pratica dell’inganno) deve essere accuratamente esaminata (2 Cor 4:2;. Ef. 5:11; Sal. 24:3-4)

Inoltre, l’etica e la teologia devono essere considerate nel contesto dei bisogni psicologici della persona (vale a dire, di cosa trattava l’insegnamento del gruppo perchè ha attirato lui o lei in esso?). Durante il recupero dalla vita cultuale, il problema che richiede più tempo da risolvere è in genere la ricerca dell’amore, dell’amicizia, e della cura, sperimentate mentre si era nel gruppo.
E ‘estremamente importante che venga stabilito un rapporto di fiducia. Il figurante deve lavorare sodo per raggiungere questo obiettivo. Uno studio ha mostrato che solo la metà dei membri del culto che hanno cercato aiuto erano in grado di impegnarsi in un rapporto di successo con un consulente. [25]
Anche se il pastore consigliere e la chiesa devono fornire calore e cura all’ex, non devono cercare di diventare un sostituto o una imitazione della intensa esperienza vissuta nel gruppo cultuale.
L’enorme investimento nello studio e il calore che l’ex-membro anelava sono spesso  “molto artificiali“. “Sì, sentivo molto grande la mia esperienza di gruppo, ma era radicata nella verità? È stata sempre prodotta dallo Spirito Santo, o potrebbe essere una euforia indotta a causa di un farmaco?” È vero, il tossicodipendente pensa che non esista una migliore sensazione del mondo. Ma guardate il risultato – una dipendenza più miserabile che porta a vivere da relitti, e spesso rovina la salute e le carriere.
Mentre il membro del gruppo era nella fase “alta”, egli poteva essere – allo stesso tempo – inconsapevolmente represso o dissociato dal dolore emotivo, dai dubbi e dai segni rivelatori che la sua salute era trascurata.
Tali “alti” (che non sono unici per gruppi dichiaratamente cristiani) sono psicologicamente e spiritualmente malsani. [26] L’esperienza per la maggior parte produce nei culti un forte senso di dipendenza dal gruppo e dai suoi leader. Di conseguenza, il consulente deve essere molto attento a non favorire la dipendenza verso di lui. I conflitti di dipendenza sono in genere una grande preoccupazione per l’ex-membro. Una corretta riabilitazione cercherà di evitare la dipendenza malsana fornendo un supporto sano di gruppo.

Fase tre: La maggior parte delle persone che entrano nelle sette hanno un desiderio potente e altamente encomiabile di servire Dio e il prossimo. Purtroppo, la mia esperienza mi ha portato a credere che i culti spesso ottengono la parte “migliore” della nostra gioventù. Il processo di recupero deve consentire a queste persone di vedere la possibilità di una vita di dedizione a Dio senza confini di culto. Le Chiese hanno bisogno di mostrare a queste persone che ci sono attività impegnative, emozionanti, e che soddisfano la possibilità di servire Dio in un modo non settario. Al momento opportuno nel processo del suo recupero i programmi estivi di missione offerti da diversi gruppi ecclesiali possono essere “solo una offerta” per l’ex membro.
Alcuni ex membri di sette, però, sono abbastanza “timidi” e possono reagire negativamente a qualsiasi programma nella chiesa che ricorda loro il far parte dei gruppi. Spesso queste persone fanno coraggiosi tentativi per rientrare in una chiesa, ma l’abbandonano perché i ricordi dolorosi sono troppo forti. Qui le chiese hanno potuto stabilire gruppi di sostegno al di fuori del chiesa stessa per ex membri di sette e hanno attivato per loro un ministero. In tale ministero può essere consigliabile che la partecipazione e il coinvolgimento nelle attività della chiesa non siano inizialmente raccomandate o incoraggiate. Queste persone hanno bisogno di rassicurazioni da parte del parroco e della comunità e hanno bisogno di non sentirsi in colpa se non frequentano il santuario.

Fase quattro: L’ex-membro di culto ha quasi sempre subìto una rottura nei rapporti familiari. Una consulenza familiare è essenziale per la realizzazione di un reinserimento sano. Le preoccupazioni tipiche degli altri membri della famiglia sono: la tensione tra il desiderio dell’ex membro per l’indipendenza (soprattutto se l’ex membro è tra i 18 ei 25 anni) e il desiderio dei genitori di proteggerlo; ottenere informazioni sul gruppo; come stabilire la comunicazione con l’ex-membro; la paura che il proprio familiare è grave e / o danneggiato in modo permanente dal suo coinvolgimento col culto; senso di colpa che in qualche modo i genitori sono responsabili per il fatto che il loro figlio sta entrando in una organizzazione estremista [27]
La natura della cura della famiglia suggerisce  al parroco e / o consulente l’importanza di fornire sia informazioni sia sostegno, e di prestare assistenza nella ricerca di altre famiglie con membri in gruppi settari.

Fase cinque: Nel tentativo di capire che cosa è successo all’ex-cultista è molto utile acquisire il modello della vittima della ex setta. Secondo questo modello la vittimizzazione e il conseguente disagio sono dovuti alla frantumazione di tre assunti di base che la vittima ha del mondo e di se stesso: “la fede in una personale invulnerabilità, la percezione del mondo come significativo, e la percezione di sé come positiva “. [28]
L’ex-cultista è stato traumatizzato, ingannato, truffato, usato, e spesso emotivamente e mentalmente abusato mentre è al servizio del gruppo e / o del leader del gruppo. Come altre vittime (ad esempio, di atti criminali, di atrocità della guerra, stupro, grave malattia, ecc), gli ex membri delle sette spesso rivivono i ricordi dolorosi del loro coinvolgimento nel gruppo.
Hanno anche perso interesse per il mondo esterno, per il sentire individuale, e possono mostrare emozioni controllate. [29] La terapia deve concentrarsi su come aiutare queste persone a ritrovare le percezioni del mondo e di se stesso, che non sia così inquietante.
L’esperienza cultuale si traduce spesso in una “crisi di fede“. Molti ex membri di sette si chiedono: “Come ha potuto Dio permettere che ciò succedesse a me? ” Spesso pensano: “Devo essere orribile da quando ho fallito con Dio e con il suo piano per la mia vita.” La convinzione dell’ex-cultista di un “mondo giusto” è in frantumi. Lui o lei non può più dire: “Non succederà a me.”

Il bisogno di significati tra queste persone è di primaria importanza. La vittima deve essere aiutata a ritrovare la fede in sé e ad accettare che il mondo lascia spazio anche alle “cose ​​cattive che accadono alle persone buone.
Lui o lei può anche aver bisogno di parlare per rivivere il trauma ancora e ancora, come le vittime di altri tipi di crisi. [30]

Purtroppo, il processo di parlare del trauma è a volte visto come “un corto circuito” da ben intenzionati consulenti che vedono la ruminazione come “poco edificante” o “un eccessivo concentrarsi sul passato.”

Una terapia efficace deve essere di grande aiuto e contribuire a ricostruire l’autostima.
Le vittime hanno bisogno di essere liberate dalla percezione di essere, in qualche modo, le uniche responsabili della loro condizione. Questo compito è particolarmente problematico per coloro che avevano fortemente creduto in una versione di insegnamento della “prosperità“.
Allo stesso modo anche la ricostruzione teologica è spesso utile. Per ristrutturare il senso della loro esperienza cultuale, le vittime devono  essere aiutate a percepire la figura di un Dio benevolo che li ama veramente. [31]
Anche se è la mia esperienza mi ha fatto comprendere che la maggior parte delle persone entrano e rimangono nei culti per motivi sinceri, la mia raccomandazione dell’uso del modello della vittima di un culto non significa negare che per gli altri le motivazioni del potere, l’orgoglio, l’avidità e il sesso possa essere stata la causa del sostegno e della partecipazione cultuale. In questi casi una riabilitazione efficace deve includere un riconoscimento onesto e l’abbandono di tali inclinazioni peccaminose.
Il cambiamento di comportamento è anche molto utile. I Pastori che lavorano con gli ex membri di sette dovrebbero sapere che le possibilità (e la velocità) di recupero dell’ex-membro può in parte dipendere dal fatto che la chiesa o lo stile del pastore sia simile o meno al gruppo estremista precedentemente frequentato. Se vi è una marcata somiglianza tra il primo gruppo e l’attuale chiesa, ci sarà una grande probabilità che l’impostazione della chiesa attiverà ricordi traumatici.
Di conseguenza, l’ex membro dovrebbe considerare seriamente l’acquisto di una diversa traduzione della Bibbia e trovare un pastore diverso dallo stile di personalità e di insegnamento del suo ex leader. Tenendo conto di questo, lui o lei farebbe bene a cercare una chiesa o un percorso di insegnamento che fornisce un gradito contrasto con l’ambiente cultuale.

Troppo spesso gli ex membri abbandonano le chiese perchè ricordano loro troppo il gruppo passato. È tragico che queste persone siano spesso viste più come “apostati” che come vittime.
Un gruppo di sostegno o una consulenza professionale possono percorrere un lungo cammino per aiutare l’ex-membro ad acquisire strategie che gli consentano di evitare il coinvolgimento futuro con persone manipolative. Questo permette alla vittima di recuperare un po’ il suo senso di forza e la propria l’autostima. Come nel caso di altre vittime, la ricerca e la condivisione con gli altri ex membri (preferibilmente dello stesso gruppo cultuale) è un passo essenziale per la ripresa. Spesso durante questo processo gli ex membri diventano amici intimi. Si tratta di un processo simile alla “guerra
di amici
” un fenomeno rappresentato dai gruppi di sostegno, che sono sorti negli ultimi anni per aiutare le persone che sono vittime di abusi di droga e alcol, del divorzio, del cancro, o simili.

Fase sei: i gruppi di istruzione e sostegno sono essenziali. Il processo di recupero richiede inevitabilmente tempo. Ma, anche se molti alla fine guariscono spontaneamente, non è saggio prolungare il processo. Credo che un’ora alla settimana con un pastore o un consulente non sia l’approccio migliore. L’ex membro di una setta ha così tanti problemi che necessita di un trattamento efficace.

Quello che ho scritto in questo articolo evidenzia la necessità di studiare programmi speciali per aiutare recuperare l’ex membro della setta.
Il Dr. Ronald Enroth ha sottolineato la necessità di fare questo un trattamento col supporto di centri di riabilitazione specifici. [32] Dopo centinaia di riabilitazioni di successo nel nostro Wellspring Retreat and Resource Center posso certamente testimoniare la necessità e l’efficacia di tali programmi. Ma per varie ragioni alcuni individui trovano  scomodo o impraticabile rivolgersi ad un Centro. Per chi non si rivolge ad un centro per la riabilitazione sarebbe utile un programma locale composto da istruzione, supporto di gruppo e una consulenza.

Fase sette: E’ essenziale per aiutare chi proviene da aberranti gruppi cristiani riscoprire il Vangelo. Secondo la mia esperienza tutti i gruppi settari o aberranti distorcono il Vangelo. Ciò che è particolarmente inquietante è che molti di questi gruppi potrebbero, con la coscienza pulita, sottoscrivere la dichiarazione più ortodossa, fondamentale, ed evangelica della fede.
Ma in pratica propongono una religione superficiale e letali opere, almeno per quanto riguarda la santificazione. Per questo motivo è molto liberatorio per gli ex membri poter studiare la lettera ai Galati in maniera graduale e il messaggio di San Paolo per capire le pratiche del loro gruppo.
Attraverso il Vangelo, il senso della vita viene ripristinato e l’autostima viene recuperata. Gli ex-membri di sette possono analizzare le gesta di Giuseppe, che “Dio ha considerato buono” (Genesi 50:20). Anche secondo l’esperienza di Harold Busse’ll una chiara comprensione del Vangelo è la questione più importante nel recupero di un cultista e la sua immunità futura da ulteriori coinvolgimento cultuale. [33]

In conclusione, il coinvolgimento cultuale comporta sicuramente aberrazioni teologiche. L’attuale ricerca pubblicata dimostra che si verificano anche danni psicologici e che i cristiani non sono immuni. E’ probabile che ci siano diverse centinaia di migliaia di persone nelle chiese di oggi, che una volta erano membri di sette o di organizzazioni estremiste. Questo può essere uno dei più grandi problemi non riconosciuti nella Chiesa di oggi. Si raccomanda l’uso di programmi specializzati che possono essere usati in modo più efficace per identificare e aiutare queste persone.

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Paul R. Martin, Ph.D. (1946 – 2009) psicologo, è stato fondatore e direttore del Wellspring Retreat and Resource Center nei pressi di Albany, Ohio. La mission del Wellspring è quella di aiutare gli ex cultisti a superare i dannosi
effetti della loro esperienza.

Una versione di questo articolo è stato originariamente pubblicato nella Christian Research
Journal, nell’uscita inverno / primavera 1989.

Note:

1. Margaret Thaler Singer, Ph.D., “Coming Out of the Cults,” Psychology Today, January 1979, 72-82.

2. Saul V. Levine, “Radical Departures,” Psychology Today, August 1984, 27.

3. Ibid.

4. Francis A. Schaeffer, True Spirituality (Wheaton, IL: Tyndale House Publishers, 1971), 132-133. See all

of chapter 10, “Substantial Healing of Psychological Problems.”

5. Ronald M. Enroth, “The Power Abusers,” Eternity, October 1979; Enroth, The Lure of the Cults and

New Religions (Downers Grove, IL: InterVarsity Press,1987); Enroth, “Churches on the Fringe,” Eternity,

October 1986.

6. Flavil R. Yeakley, Jr., The Discipling Dilemma (Nashville: The Gospel Advocate Co., 1987), 23-28.

7. See also Flo Conway, James H. Siegelman, Carl W. Carmichael, and John Coggins, “Information

Disease: Effects of Covert Induction and Deprogramming (parts one and two),” Update 10 (June 1986):

45-57, and Update 10 (September 1986): 63-65.

8. Levine; Singer; Neil Maron, “Family Environment as a Factor in Vulnerability to Cult Involvement,” Cultic

Studies Journal 5, 1 (1988): 23-43; John G. Clark, M.D., “Cults,” Journal of the American Medical

Association 242, 3: 279-80; Lorna Goldberg and William Goldberg, “Group Work with Former Cultists,”

Social Work 27 (March 1982).

9. Singer; John G. Clark, M.D., Testimony to Vermont Senate on Cults (Pittsburgh: PAIF, 1979); Goldberg

and Goldberg.

10. Goldberg and Goldberg. 1982.

11. Augustine of Hippo, Sermons on the Old Testament, no. 46, “On Pastors,” excerpt entitled “Shepherds

Who Kill Their Sheep” reprinted in Pastoral Renewal, January/February 1989, 23-24.

12. See, for example, Dave Breese, “How to Spot a Religious Quack,” Moody Monthly, June 1975, 57-60;

J.L. Williams, Identifying and Dealing with the Cults (Burlington, NC: New Directions Evangelistic

Association), 2; Harold Busse’ll, “Why Evangelicals Are Attracted to the Cults,” Moody Monthly, March

1985, 111-113.

13. Ned Berube, “Burned Christians.” Pastoral Renewal, July/August 1987, 9-11.

14. Conway, Siegelman, Carmichael, and Coggins, 64.

15. Singer, 1979.

16. See Jerry Paul MacDonald, “‘Reject the Wicked Man’ – Coercive Persuasion and Deviance Production:

A Study of Conflict Management,” Cultic Studies Journal 5 (1988): 59-121.

17. See K. Shaver, An Introduction to Attribution Processes (Cambridge, MA: Winthrop, 1975).

18. A major component of thought reform is “loading the language.” This is a technique widely used by

those engaged in mind control to counter effectively thoughts contrary to the doctrines or “science” of the

group (see Robert Jay Lifton, Thought Reform and the Psychology of Totalism (New York: W.W. Norton,

1961; republished by University of North Carolina Press, 1989), 429-430. An extreme example of how

loaded language is used to “manage the conflict associated with grievances and non-conformity” within a

contemporary Christian extremist sect can be found in Jerry Paul MacDonald, ” ‘Reject the Wicked Man’ –

Coercive Persuasion and Deviance Production: A Study of Conflict Management,” Cultic Studies Journal,

5, 1, 1988, 59-121. In this article the author describes how a sect called OASIS (a pseudonym for Great

Commission International) utilized excommunication to maintain a rigid authority. In the course of his

research MacDonald studied 274 excommicants.

19. An excellent discussion of these issues can be found in Stephen M. Ash, Psy. D., “A Response to

Robbins’ Critique of My Extremist Cult Definition and View of Cult Induced Impairment,” Cultic Studies

Journal 1 (Fall/Winter 1984): 127-35. See also Steven Hassan, Combatting Cult Mind Control (Rochester,

VT: Park Street Press, 1988).

20. N. Brandon, Honoring the Self (New York: Bantam Books, 1983), cited in P.J. Watson, Ronald J.

Morris, and Ralph W. Hood, Jr., “Sin and Self-functioning, Part 2: Grace, Guilt, and Psychological

Adjustment,” Journal of Psychology and Theology 16 (Fall 1988): 270.

21. Brandon, The Psychology of Self-esteem (New York: Bantam Books, 1969), cited in Watson, et al.,

1988.

22. An excellent discussion of this issue can be found in Stephen M. Ash, “A Response to Robbins’

Critique of My Extremist Cult Definition and View of Cult Induced Impairment,” Cultic Studies Journal,

Volume 1, No.2, Fall/Winter 1984, 127-135. See also Singer, 1979; and Conway and Siegelman, 1982;

Conway et al., 1986; Goldberg and Goldberg, 1982; Steven Hassan, Combatting Cult Mind Control,

(Rochester, VT: Park Street Press, 1988); David A. Halperin, ed., Psycho-dynamic Perspectives on

Religion, Sect and Cult (Boston: John Wright – PSG, Inc., 1983) 295-382; M. HaLevi Spero, “Some Pre-

and Post-Treatment Characteristics of Cult Devotees,” Perceptual and Motor Skills, Vol. 58, 1984,

749-750; M. Addis, J. Schulman-Miller and M. Lightman, “The Cult Clinic Helps Families in Crisis,” Social

Casework, November 1984,515-522; J. Hochman, “Iatrogenic Symptoms Associated with a Therapy Cult:

Examination of an Extinct ‘New Psychotherapy’ with Respect to Psychiatric Deterioration and

‘Brainwashing,’ ” Psychiatry, Vol. 47, 1984, 366-377; Paul R. Martin, Cult Proofing Your Kids, (Grand

Rapids: Zondervan Publishing House, 1993), 13.

23. A. Ellis, Reason and Emotion in Psychotherapy (Secaucus, NJ: Lyle Stuart, 1962), cited in Watson, et

al., “Sin and Self-functioning, Part 1: Grace, Guilt, and Self-Consciousness,” Journal of Psychology and

Theology 16 (Fall 1988): 255.

24. Cultic involvement can produce serious psychological problems, though the problems of ex-cultists

may not all be cult-related. Pastors are well advised to seek mental health consultation if they desire to

treat these people.

25. Busse’ll.

26. See Ash.

27. Sullivan.

28. Ronnie Janoff-Bulman, “The Aftermath of Victimization: Rebuilding Shattered Assumptions,” in

Trauma and Its Wake: The Study and Treatment of Post-Traumatic Stress Disorder, ed. Charles R.

Figley, Ph.D. (New York: Brunner/Mazel Publishers, 1985).

29. Ibid.

30. M.J. Horowitz, “Psychological Response to Serious Life Events,” in Human Stress and Cognition, ed.

V. Hamilton and D. Warburton (New York: Wiley, 1980), cited in Janoff-Bulman, 23.

31. Research shows that non-teleological explanations (i.e., those which do not invoke some divine

purpose) can also be helpful. See Janoff-Bulman, 26.

32. Ronald M. Enroth and J. Gordon Melton, Why Cults Succeed Where the Church Fails (Elgin, IL:

Brethren Press, 1985), 98-99.

33. Harold Busse’ll, A Study on Justification, Christian Fullness, and Super Believers, unpublished paper;

see also Walter Martin, Essential Christianity (Ventura, CA: Regal Books, 1980), 71-81.

 

Traduzione di Lorita Tinelli

Avvertenza: Questa traduzione non è stata realizzata da traduttori professionisti, pertanto ci scusiamo per eventuali errori.

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