Le sette: problemi terminologici

Il termine sètta, derivante dal latino sequor con il significato di ‘seguire’, è stato solo in seguito collegato all’idea di ‘separazione’ (dal verbo secare, tagliare).
Giovanni Filoramo, studioso di Storia delle Religioni e autore di numerosi articoli e saggi sul mondo gnostico, infatti, attribuisce questo uso del termine al sociologo Max Weber (1864-1920) e successivamente a Ernst Troeltsh (1865-1923) i quali lo utilizzarono in contrapposizione alla categoria di ‘chiesa’ (Giovanni Filoramo, I nuovi movimenti religiosi.Metamorfosi del sacro, Laterza, Bari, 1986, pp 16-20).
Le sette, secondo questa accezione, risultano essere delle ‘unità sociologiche’ caratterizzate da un numero limitato di aderenti, soprattutto appartenenti alle classi meno abbienti della popolazione.

Tali ‘cellule’, sorte per lo più nel periodo della Riforma, si contrapponevano, dal punto di vista dottrinale, culturale e organizzativo all’Istituzione ecclesiastica.
Filoramo sostiene che, essendo il termine legato a tale contesto religioso, risulta difficile estenderlo a contesti religiosi non cristiani, perchè è fuorviante nello spiegare le nuove forme di religiosità, provenienti soprattutto dall’Oriente.
A tal fine è stato utilizzato quello di culto (dall’inglese ‘cult‘) che designa proprio quei movimenti di origine non cristiana, sia orientale sia occidentale, che non possiedono un sistema fisso di credenze e in cui la religiosità del singolo si alimenta dal rapporto privilegiato con un leader carismatico.
I termini setta o culto, spesso utilizzati indistintamente, hanno acquisito, col tempo, una valenza negativa (questo è stato soprattutto evidenziato dal Rapporto Provvisorio Vaticano, Il fenomeno delle sette o movimenti religiosi; una sfida pastorale, reso pubblico nel Maggio 1986), perciò ultimamente si è ritenuto più corretto riferirsi a un termine, non altrettanto esaustivo, bensì più neutro, quale nuovi movimenti religiosi.

Nonostante l’interminabile querelle terminologica, il fenomeno resta estremamente complesso e spesso ancora oscuro perfino agli addetti ai lavori. Motivi gnostici, messianici, occultistici s’inttrecciano nelle nuove forme di culto costituendo un universo eterogeneo e di difficile categorizzazione (da Cecilia Gatto Trocchi, Le sette in Italia, Tascabili Economici Newton, Roma, 1994, 13).
Pertanto è possibile considerare le nuove forme religiose settarie nella misura in cui si autopropongono come unico mezzo di salvezza e unica fonte di verità, incentivando un apostolato aggressivo al fine di salvare il resto del mondo che vive l’errore. In questo senso essi denotano la tendenza a non integrarsi nella società più allargata proponendosi come cultura alternativa.

Tinelli Lorita
Da Mutamenti psicologici nel processo di affiliazione ad una setta (Tesi di laurea anno accademico 1994/1995)

Abuso traumatico nei culti

Di Daniel Shaw C. S.

traduzione di Fabio Giannelli e Lorita Tinelli

 

Nota: Ringraziamo il Dr. Daniel Shaw per averci messo a disposizione il suo studio. Il Dr. Daniel Shaw attualmente è uno psicoterapeuta di Rochland Conuty, New York, ma è stato anche membro di un culto. Desideriamo sottolineare che l’articolo è stato tradotto da traduttori non professionisti, pertanto ci scusiamo di eventuali errori di espressione. La responsabilità del contenuto dell’articolo è esclusivamente dell’autore. Questo saggio prende il gruppo SYDA (Siddha Yoga) come esempio di culto abusivo. Pubblicato nel Maggio 1996

INDICE DEI CONTENUTI Introduzione Cos’è un culto e perché la gente si lascia coinvolgere? Seduzione Riforma del pensiero e controllo della mente Valori del lavoro sociale contro i valori del culto Vuoto interiore e cultura del narcisismo La questione della patologia pre-esistente e indotta; induzione di colpa nella vittima Il leader dominante e il seguace obbediente Traumi sofferti da membri del culto Violenza carnale Percosse Incesto Lavorare assieme ai sopravvissuti dal culto Conclusioni Tavola I: Organizzazioni di recupero Referenze

 

INTRODUZIONE

Quando cominciai la scuola di formazione sociale erano trascorsi due anni dalla mia fuoruscita dalla comunità spirituale Ashram, dove avevo vissuto e lavorato per oltre 10 anni. In quei due anni post-ashram feci un esame di coscienza e conclusi che la mia esperienza di vita era stata una buona preparazione per una carriera nel lavoro sociale. Tuttavia mi sentii colto alla sprovvista quando iniziai il lavoro presso un centro comunitario di salute mentale. Molti dei clienti assegnatimi raccontavano terribili storie di abusi fisici, sessuali ed emotivi subiti durante l’infanzia ed in taluni casi erano ancora oggetto di perduranti abusi, sia come carnefici che come vittime. Molti di questi clienti stavano lottando per guarire da queste abitudini devastanti. Sebbene la mia vita sia stata quasi un letto di rose, se paragonata alle sofferenze patite da costoro, mi resi subito conto di avere con le loro sofferenze un legame più profondo di quanto inizialmente immaginato. Avevo sempre considerato la partecipazione al Sidda Yoga (conosciuto anche come SYDA) per me e per gli altri, come un impegno idealistico per un nobile percorso spirituale dedicato al risveglio ed all’edificazione del mondo. Appena cominciata la scuola, tale identificazione andò in frantumi non appena seppi di un incidente accaduto ad una mia amica, una ragazza ventenne, che era stata molestata sessualmente nell’ashram da uno dei più potenti leader. Quando ella cercò aiuto da Gurumayi, la guru indiana, adesso quarantenne, a capo dell’Ashram, questa le disse che era stata lei stessa ad aver provocato tali molestie. La ragazza fu inoltre trattata con disprezzo e come una svergognata. Tramite l’assistente capo, la Gurumayi disse alla giovane donna ‘Non dire una parola a nessuno di tutto ciò, specialmente a tua madre'(la madre della ragazza era un’adepta di vecchia data di SYDA, che aveva fatto grosse donazioni all’Ashram, nel corso degli anni). Dopo due anni di intenso conflitto interiore la ragazza decise finalmente di raccontare la sua storia. Il risultato fu che molti altri cominciarono a parlare, contribuendo, alla fine, a smascherare il SYDA nel New Yorker Magazine (Harris, 1994). Pubblicato circa due mesi dopo che avevo iniziato la scuola, l’articolo rivelò, come il vaso di Pandora, abusi ben documentati compiuti dai leader del SYDA ed ancora in atto da oltre 20 anni. Nei due anni precedenti la pubblicazione dell’articolo, avevamo ” io ed altri ” lentamente e dolorosamente constatato che alcuni aspetti del SYDA e dei suoi leader erano inquietanti e contrari all’etica. In particolare avevo assistito e personalmente sperimentato che Gurumayi abusava verbalmente ed emotivamente dei suoi adepti, usando spie e microfoni nascosti per raccogliere informazioni e pubblicamente incolpare ed umiliare coloro di cui era scontenta. I miei dubbi sul SYDA si rafforzarono quando appresi la storia della ragazza che conoscevo. Nella frase ‘Non dire a nessuno di tutto questo, specialmente a tua madre‘ ho ravvisato una eco agghiacciante del padre incestuoso, del marito violento, del molestatore sessuale, dello stupratore. Come afferma Judith Herman nel suo lavoro dal titolo ‘Trauma e guarigione‘(1992) ‘il segreto ed il silenzio rappresentano la prima linea di difesa del carnefice‘(p.8). E’stato udendo quella frase ‘Non dire mai‘ che ho capito ciò che Ernst Becker (1973) ha definito ‘l’incantesimo operato da persone, il nesso del plagio’.

Cominciando a valutare le mie esperienze e quelle degli altri, relativamente al SYDA, arrivai a comprendere che, per il fatto di avere accettato la pretesa del leader di possedere la perfezione e l’illuminazione, mi ero messo nella condizione di non riconoscere gli abusi nell’Ashram per quelli che erano in realtà. Le mie emergenti intuizioni, corroborate da consigli e studi, sono state fortemente legate al lavoro con i miei pazienti. Le loro esperienze mi hanno aiutato a chiarire anche le mie e,comprendendo questo sono riuscito a stringere con loro più profondi legami terapeutici. Lo scopo di questo saggio è di usare: La mia esperienza personale, sia come adepto SYDA sia come ex adepto SYDA Il lavoro sociale ed altri scritti di scienze sociali sui culti La mia esperienza in questo campo di lavoro, tendente a fornire un trattamento psicoterapeutico a clienti traumatizzati e violentati Per Promuovere la comprensione del lavoro sociale e dell’impatto traumatico dei culti religiosi Studiare le analogie fra vittime di abuso del culto con altre forme di abuso, come violenza carnale, incesto, percosse Tentare di capire aspetti della nostra cultura che possono aver favorito un clima adatto ad esporre tante persone a comportamenti di sfruttamento ed abuso nei gruppi di culto Far risalire i temi del mio lavoro di educazione sociale, che sono stati per me molto importanti in relazione al mio lavoro con i pazienti ed alla mia personale esperienza di comportamenti abusanti nei culti.

 

 

COSA E’UN CULTO E PERCHE’LA GENTE SI LASCIA COINVOLGERE?

Gli esperti di culto ipotizzano l’esistenza di  5000  culti esistenti oggi negli Stati Uniti e che, circa 10-20 milioni di persone nel recenti anni abbiano ad un certo punto fatto parte di uno o più di tali gruppi (Langone 1993).  Il Cult Awareness Network riferisce di ricevere circa 18000 richieste d’informazione all’anno (Tobias e Lalich, 1994). Michel Langone (1993), uno psicologo che ha lavorato con circa 3000 famiglie di membri di culto, definisce un culto come un gruppo o movimento che, a un grado significativo:

1) Esibisce grande od eccessiva devozione o attaccamento a qualche persona o idea o cosa Usa un programma di riforma di pensiero per persuadere, controllare e socializzare con membri (cioè integrarli in un’unica etichetta di relazione di gruppo, credenze, valori e pratiche).

2) Induce sistematicamente per promuovere i fini della leadership

3) Causa danni psicologici ai membri, alle loro famiglie ed alla comunità.

 

 

 

A queste definizioni vorrei aggiungere che un culto religioso è capeggiato da una persona che pretende di aver raggiunto l’umana perfezione e unione col divino e, che afferma perciò di essere esente da limitazioni sociali o morali o restrizioni. All’interno di questa autocrazia il leader non è tenuto ad osservare uno standard di condotta normativa sociale e non è soggetto ad alcun sistema di controllo o resoconto. Una condotta considerata amorale in qualunque altro contesto, se non psicopatico, viene invece idealizzato dagli adepti come indicativo di illuminazione e perfezione trascendente del leader.

SEDUZIONE

Le domande più frequenti rivolte ad ex-membri dei culti sono: ‘Come ci sei cascato? E perché ci sei rimasto così a lungo?’La domanda sottintesa sembra essere: ‘Come ha potuto uno come te finire lì dentro? Deve esserci qualcosa di sbagliato in te’. Certamente la maggior parte degli ex-membri dei culti non volevano essere controllati, resi succubi, sfruttati o psicologicamente danneggiati, quando inizialmente hanno chiesto di diventare membri. Una ragione del successo dei culti sta nel fatto che sono diventati maestri nell’arte della seduzione, usano tecniche ed influenze indebite (Cialdini, 1994). Come annota Hochman (1990) i culti, utilizzando miracoli, misteri ed autorità, promettono la salvezza. Invece della noia vengono offerte mete nobili e immediate; invece dell’ansia esistenziale viene offerta la certezza. Al posto dell’alienazione la comunità, al posto dell’impotenza la solidarietà diretta dagli onniscienti leader (p. 179). I culti depredano i ricercatori spirituali, offrendo risposte ai problemi sociali e promettendo mutamenti sociali. Il reclutamento si rivolge alle ansietà ed alla solitudine di gente, che ha problemi personali, o di transizione o di crisi, ventilando la promessa di un processo trasformativo di guarigione, nella cornice di una comunità affettuosa e comprensiva (Tobias ed altri). Il reclutamento da parte del culto avviene in scenari sofisticati, sotto forma di seminari che presentano oratori persuasivi, ben accreditati, come professionisti di successo, accademici rispettato o artisti, scrittori ed intrattenitori popolari. I probabili membri dei culti provengono da ambienti della classe media, spesso direttamente da campus universitari e la maggioranza di loro hanno un’intelligenza al di sopra della media (Hassan, 1990; Kliger, 1994; Tobias ed altri, 1994). Nei programmi di reclutamento gli oratori e i membri propongono varie specie di disinformazione sui leader del culto, compreso quella di nasconderne completamente l’esistenza. Oppure il leader può essere presentato come un maestro umile, saggio ed amoroso, mentre è in realtà un despota in possesso di notevoli fortune provenienti da donazioni di membri ed attività commerciali (spesso illegali). L’apparente leader può essere solo un prestanome, mentre viene nascosta l’identità del vero leader. Possono richiamarsi a falsi, antichi lignaggi, oppure si afferma falsamente che il leader o la leader è rispettato/a e famoso/a nel proprio paese. I leader del culto riscrivono e falsificano le loro stesse biografie. I programmi di reclutamento, per esempio, non informano i partecipanti su eventuali precedenti penali di leader del gruppo o su storie di abusi sessuali da parte di membri, oppure su coinvolgimenti del gruppo in attività illegali. Nel reclutamento effettuato dal culto viene sempre esercitato un controllo severo e la falsificazione delle informazioni.

 

RIFORMA DEL PENSIERO O CONTROLLO DELLA MENTE La riforma del pensiero, o controllo mentale, è un’altra importante componente per capire la ragione per cui i culti sono così frequenti nella nostra società. Lo psichiatra Robert Jay Lifton (1987) ha studiato i metodi adottati dai comunisti cinesi durante la guerra di Corea, per trasformare i prigionieri di guerra in complici volontari, e li ha chiamati riforma del pensiero (vedi anche Hinkle e Wolff, 1976; Schein, 1956; Singer, 1979).ùLa riforma del pensiero (conosciuta anche come controllo della mente) è il fondamento su cui si basano i culti. Lifton ha identificato otto fattori presenti nei sistemi di totalitarismo ideologico da lui studiati, ognuno dei quali può essere ritrovato nei culti: Controllo dell’ambiente, controllo della comunicazione entro l’ambiente. Mantenendo principalmente i membri separati dai non-membri mediante un isolamento crescente, ciò è stato definito da Lifton chiusura personale. Si esercitano costanti rinforzi al fine di sopprimere dubbi personali e sforzi per capire ciò che è vero o reale, Manipolazione mistica o pianificata spontaneità ” un processo sistematico, segretamente progettato e diretto dal leader del gruppo, per cui gli altri gli conferiscono il carisma dell’onniscienza, onnipotenza o divina autorità. Ciò induce all’accettazione della filosofia de il fine giustifica i mezzi, dal momento che la condotta e le direttive del leader sono sempre e soltanto interpretate come aventi origine e scopo divini, Richiesta di purezza ” il richiamo ad una radicale separazione fra puro e impuro, buono e cattivo nell’ambiente e in se stessi. Ciò crea un mondo di colpa e vergogna in cui gli adepti diventano ossessivamente preoccupati con la speranza di ricompensa e timore della punizione; Culto della confessione ” collegato alla richiesta di purezza. Le sessioni di confessione che vengono richieste per la purificazione ed evoluzione spirituale, manipolano i meccanismi di colpa e di vergogna degli adepti e li espongono totalmente al gruppo, accentuando il senso di appartenenza al gruppo, Scienza sacre ” un insieme di principi dogmatici che pretendono di essere scienza incarnante la verità circa il comportamento umano e la psicologia umana. Questi princìpi non devono mai essere messi in discussione e tutte le esperienze devono essere filtrate da essi, Limitazione del linguaggio ” riduzione e distorsione di concetti complessi, pensieri, simpatia per clichè semplicistici e slogan, che vengono usati per rallentare e limitare i processi di giudizio e di pensiero critico Dottrina della persona ” l’adepto viene indotto a credere che i dubbi sulla dottrina sono il riflesso delle proprie inadeguatezze, difetti o peccati. Il dogma è la verità e le proprie esperienze soggettive devono allinearsi al dogma. Fare diversamente significa rischiare l’esclusione dal gruppo. Poiché la dottrina è creata per servire gli scopi del leader sociopatico, i seguaci devono dividere o dissociare parti di se stessi e gettare via i propri valori al fine di giustificare azioni o credenze del leader, che altrimenti risulterebbero per loro intollerabili, Gestione dell’esistenza ” nella visione totalitaria della verità, uno che disobbedisce p devia dal dogma è falso, illuso o cattivo e perciò subito giudicabile. I leader sono giudici di chi devia e possono mutare i loro criteri a capriccio. I culti usano il timore dell’espulsione e dell’allontanamento per controllare e frenare i membri. Secondo il proprio ideale assoluto il timore dell’espulsione equivale al profondo terrore dell’annichilimento (vedi anceh Singer e Ofshe, 1990; Tobias e altri, 1994; per altre teorie di controllo sociale concernenti i culti vedi Festinger, 1964; Gramsci, 1973; Zimbardo, 1988) Mentre una volta le tecniche di riforma del pensiero miravano agli aspetti periferici dell’Io, come le vedute politiche e sociali, adesso i culti mirano alla centralità dell’Io, all’immagine centrale di se stesso che ha l’adepto (Singer ed altri). Il Guru è percepito come una divinità che ha sempre divinamente ragione e l’adepto vive per piacere ed evitare di dispiacere al Guru-dio.

In un sistema ideologico totalitario il dispiacere del leader del culto significa per il membro che il suo Io centrale è indegno, mostruosamente difettoso e da correggere. Il membro è stato condizionato a credere che la perdita della grazia del leader equivale alla perdita di se stesso. Man mano che il membro diviene più profondamente coinvolto, aumenta la sua ansia di rimanere un membro di buona reputazione. L’ansia è legata ad un’intensa paura, senso di impotenza, perdita di controllo e paura di annullamento, che Herman, nella sua dissertazione sul dominio psicologico, descrive come indotta nelle vittime sia di terroristi che di mariti violenti. L’effetto finale di queste tecniche è convincere la vittima che il carnefice è onnipotente, che la resistenza è inutile e, che la sua vita dipende dal guadagnarsi la sua indulgenza mediante l’assoluta obbedienza. Lo scopo del perpetuatore è di instillare nella vittima non solo la paura della morte, ma anche la gratitudine per avergli concesso di vivere (p. 77). Così la vittima viene ad identificarsi con l’aggressore, accettando l’aggressione come purificazione e l’assenza come beneficenza. Peggio che trovarsi fra una roccia ed una parete dura; questa posizione in cui uno viene a ritrovarsi è disperata e di degrado. Herman scrisse Trauma e guarigione per dimostrare le analogie ‘fra sopravvissuti a violenze carnali e veterani di guerre, donne percosse e prigionieri politici e fra sopravvissuti di campi di concentramento creati da tiranni che governano le nazioni ed i sopravvissuti a piccoli e nascosti campi di concentramento creati da tiranni che governano le proprie case. (pag. 3) I tiranni a capo dei culti assoggettano i membri a simili violazioni.

 

 

VALORI DEL LAVORO SOCIALE CONTRO I VALORI DEL CULTO

Durante il mio primo anno di formazione al lavoro sociale, proprio alcuni mesi dopo la completa rottura con SYDA, mi fu richiesto di scrivere un rapporto in cui dovevo mettere a confronto il sistema di valori precedentemente sperimentato col sistema di valori del lavoro sociale dove attualmente mi trovavo.

Agli operatori sociali vengono insegnati, sin dall’inizio della loro formazione, i valori della loro professione: il diritto dei pazienti all’auto-determinazione, rispetto e dignità per tutti, l’innato valore di un essere umano, rispetto per l’unicità e la facilitazione della realizzazione del potenziale (Woods e Hollis 1990).

I culti sono abili nel reclamizzare la promozione di questi valori come il nocciolo della loro filosofia. Per esempio i principali slogan del SYDA, ripetuti spesso in pubblici dibattiti e nella letteratura di fonazione SYDA, sono: ‘Onore, amore, rispetto, venerazione del proprio Io. Dio dimora in voi, come voi. Ciascuno veda Dio nell’altro’.

SYDA afferma che il suo Guru è ‘un maestro fattosi sé’, e che seguire gli insegnamenti del maestro conduce alla realizzazione di se stessi. Tali messaggi costituiscono un’esca per attrarre altri membri. Una volta ottenuta l’ammissione a membro, i messaggi vengono modificati in sempre più crescenti richieste di obbedienza, sottomissione e dipendenza. Il vero sistema di valori di un culto è spesso l’antitesi del sistema che pubblicizza. Quanto segue è estrapolato dallo studio che eseguii per tentare di descrivere il sistema di valori del Syda, specialmente in termini di valori concessi al concetto di forza contro debolezza e confrontarlo con i valori del lavoro sociale: ‘Nella cultura dell’ashram di Gurumayii, niente era più importante della venerazione del guru e della completa sottomissione a lui. Questa è l’essenza di Sidda Yoga.

La letteratura della fondazione SYDA descrive all’infinito le vie più adatte per essere assorbito completamente nel Siddha, il Perfetto Maestro, e descrive anche l’illuminazione, la costante beatitudine e l’unità con l’Assoluto, che ne sarebbero il risultato (Muktananda, 1978). Io restai coinvolto col Syda in un momento di transizione della mia vita. Ebbi molte esperienze di meditazione estatica all’inizio del mio coinvolgimento con Suddha Yoga. Bramando di appartenere e di esserle utile, aumentai poco a poco il mio impegno, fino a rinunciare a tutto quanto ed a entrare a far parte dello staff ashram. Dopo alcuni anni, cominciai ad avere maggiori contatto con la Gurumayii. Cominciai a procedere verso il “circolo interno”, ove tutto mi apparve diverso. Soltanto in retrospettiva, dopo la mia fuoruscita da Siddha Yoga, sono in grado di descrivere di quale cultura si tratta. A quel tempo idealizzavo tutto quello che riguardava Gurumayi. Noi tutti trovavamo modi ingegnosi per renderla perfetta a dispetto di tutto e giustificando la sua condotta crudele e bizzarra, perché tendente “al nostro bene”. In questa cultura, se tu hai un problema, sei un debole, non abbastanza devoto e puro. Potresti anche essere estromesso se hai un problema. Potresti essere licenziato, allontanato dalle riunioni, ridicolizzato ed umiliato pubblicamente, talora in presenza di pochi, altre volte di fronte a migliaia di persone in grandi programmi pubblici.

Il peggio che può capitarti, se hai creato dispiacere al guru, è quello di essere da lei completamente ignorato. Ciò che è negativo è che di tutte le osservazioni crudeli e pungenti debbano servire come perle di saggezza, volti alla purificazione. Essere ignorato significa essere indegni della vista di Dio. Se hai un problema, potresti essere spiato dai tuoi compagni di stanza, che poi riferiranno alla Gurumayi quello che hai detto o fatto. Oppure la tua stanza potrebbe essere provvista di una ‘cimice’con microfono nascosto. Oppure potresti essere lasciato indietro, non accettato nei viaggi di conferenze della Gurumayi in tutto il mondo, perché indegno di farne parte. Potresti persino sentirti dire di ritornare nel mondo a lavorare. Sei considerato “forte”, cioè devoto e degno, se lavori per 24 ore e non ti prendi mai una vacanza o un giorno libero. Sei forte se non hai mai bisogno di nulla. Se vivi con un magro introito e non hai bisogno di altro denaro. Ma sei considerato molto forte se hai un sacco di denaro, di cui versi grosse cifre al guru. Sei forte se sei disposto ad insultare e molestare altra gente per conto del guru evitando di farla scoprire come l’istigatrice. Sei debole se mostri stanchezza o se hai sentimenti diversi dall’entusiasmo, felicità e ardente devozione alla guru, senza mai chiederle niente. Essere depressi o esauriti non è solo segno di debolezza, ma viene considerato egoistico ed un insulto alla Gurumayi. Se chiedi aiuto, sei un debole, non solo, ma degno di disprezzo. L’ingresso nel campo del lavoro sociale è stato per me il rifiuto della cultura di Siddha Yoga. E’stato un ritorno alla vita, alla compassione per l’umanità e per me stesso. Adesso so che chiedere aiuto può essere un segno di forza e coraggio, che i problemi vanno trattati con sensibilità e comprensione e, che una parte dell’essere forti sta nell’avere reali sentimenti senza tentare di negarli.’Di recente, quando ho tentato di descrivere ad un altro operatore sociale la crudeltà da me sperimentata nel culto, egli mi ha risposto: ‘Era davvero crudeltà o soltanto amore?’. I culti sono delle comunità totalitarie, secondo il detto ‘il potere tende a corrompere'(Acton, 1887) e il potere assoluto corrompe del tutto. Eppure amore non è un’appropriata descrizione dell’abuso di potere diffuso nei culti.

L’urgenza di scrivere su questa tematica scaturisce da molte motivazioni: la letteratura del lavoro sociale contiene scarsi contributi sui culti (addie, Schulman-Miller e lightman, 1984; Goldberg & Goldberg, 1982) e la mia formazione di operatore sociale non ha incluso alcuna discussione su questo problema sociale. Inoltre, molti operatori sociali ed altri operatori di salute mentale sono essi stessi membri di gruppi settari. C’è bisogno di prendere coscienza di questo

Alcune domande che necessitano di un’indagine quando si lavora con i membri di un culto sono: Quali sono i traumi di cui questa popolazione molto comunemente soffre? Come dobbiamo intendere il ruolo della patologia preesistente contro la patologia imposta quando lavoriamo con le vittime del culto?, e Quali lotte devono sostenere queste persone e le loro famiglie per guarire, lasciando il culto e rientrando nella comunità?.

 

VUOTO INTERIORE E CULTURA DEL NARCISISMO

Christopher Lasch (1979) nel descrivere la “cultura del narcisismo” ricordava l’esempio dello scrittore Paul Zweig, un devoto SYDA, per illustrare il “vuoto interiore” col quale individui nella società occidentale hanno dovuto lottare nell’era posteriore alla seconda guerra mondiale. Prima del suo coinvolgimento nel SYDA, Zweig parlava della sua crescente ‘convinzione, equivalente ad una fede, che la mia vita era organizzata attorno ad un nucleo centrale di dolcezza, che spandeva anonimità sopra qualunque cosa toccassi’; di ‘ibernazione emozionale che durò fino a quando avevo quasi trent’anni’; di ‘persistente sospetto di vuoto personale che tutto il mio parlare ed i miei ansiosi tentativi di affascinare riuscivano ad aggirare, ad abbellire, ma non a penetrare o ad avvicinarmi’. Quando ‘l’esperienza di vuoto interiore, il senso spaventoso che ad un certo livello di esistenza io non sono nessuno, che la mia identità è crollata e non c’è più nessuno’diventa opprimente Zweig incontra Swami Muktananda o Baba (Padre), l’originale fondatore di Siddha Yoga. Da Baba egli impara ad anestetizzare i suoi ‘affari mentali i pensieri ossessivi e l’ansia’. Chushman (1990) nota che il vuoto interiore è espresso in molti modi nella nostra cultura, come una bassa stima di se stessi (assenza di senso del valore personale), confusione di valori (assenza di un senso di convinzioni personali), disordini alimentari (l’urgenza di riempire il vuoto con cibo, o impersonare il vuoto rifiutando il cibo), abuso di droghe (l’urgenza di riempire il vuoto con un’esperienza emotiva provocata chimicamente di ‘ricevere’qualcosa dal mondo). Può anche assumere la forma di assenza di significato personale. Questo può manifestarsi come fame di guida spirituale, che talvolta prende la forma di desiderio di essere riempito dallo spirito divino, da ‘verità’religiose o dal potere e dalla personalità di un leader guru (p. 604). La fame di guida spirituale e di verità spinge spesso la gente ad esplorare i gruppi religiosi. I problemi sorgono quando i leader di questi gruppi si proclamano incarnazioni viventi di questa verità. Il pericolo dei culti sta nel salto che uno deve fare, dall’abbracciare una verità religiosa al venerare una persona che afferma di essere tale verità. Il pericolo aumenta quando questa persona promette la salvezza, la redenzione o la perfezione, in cambio di denaro, merce o servizi. Mentre i maestri religiosi hanno diritto, come chiunque altro, a guadagnarsi da vivere vendendo i propri insegnamenti, la pretesa che un leader sia un maestro perfetto è il comune denominatore dei culti distruttivi. Che una persona particolare sia o non sia perfetta è qualcosa che può essere dibattuto su basi soggettive. Per alcuni un perfetto essere umano è una possibilità, per altri un ossimoro. Eppure il mito del perfetto maestro può essere molto allettante ed il bisogno molto urgente. Cushman parla di ‘soluzione di stile di vita’, promosso dalla pubblicità, in cui affascinanti ‘autooggetti’più grandi del normale (Khout, 1984) sotto forma di prodotti da acquistare o incorporare, promettono di trasformare magicamente il vuoto Io. Forse questa soluzione al problema del vuoto interiore -“acquisti di oggetti, tesori, terreni ” è l’inverso della soluzione guru, che promette di riempire il vuoto Io col tesoro spirituale di un perfetto, affascinante guru più grande del normale. Come ha sostenuto Kohut, la pressione del vuoto interiore può lasciare una persona particolarmente vulnerabile alla ‘seduzione di una forza esterna che si erge ad ego ideale'(Kohut, p. 122)- Oggi i guru usano la tecnologia e la psicologia di marketing per procurarsi metodi più efficaci per sedurre le reclute. Una delle idee più seducenti reclamizzata nei culti basati sulla meditazione è che ‘non è necessario essere logici, razionali o anche ragionevoli. Il criterio dominante finale di ciò che è buono è uno stato di sentimento totalmente soggettivo’. Lo scopo della vita diventa una buona sensazione, un’ascesa continua senza fine (Garvey, 1993). Ciò non è necessariamente egoistico come può sembrare. Membri fedeli del culto credono che il proprio leader abbia magicamente trasformato le loro vite e tolto le sofferenze. Su tale base, essi difenderanno fedelmente il loro leader persino se vengono dimostrati i suoi crimini.culto, al fine di non perdere l’onnipotente e idealizzato guru. Molto dopo l’affievolirsi dell’esperienza di conversione, nonostante le prove di colpa, di abuso e di sfruttamento, molti seguaci mantengono la loro irragionevole lealtà, perché per loro è diventata una questione di vita o di morte.

La ‘buona sensazione’della loro iniziale esperienza di conversione, potrebbe consistere nel sentirsi ‘redenti’, ‘ritornati finalmente a casa’, essersi ‘perduti, ma adesso ritrovati’, o ad essere ‘salvati’. Queste esperienze intensamente emotive sono attribuite direttamente al potere ed alla volontà del leader. I gruppi come il SYDA abilmente controllano i processi di pensiero dei seguaci, suggerendo ripetutamente che essi ”si fidano della propria esperienza”in tal modo, l’obiettività -“per esempio ogni informazione negativa sul leader ” viene svalutata. Il guru, in linea con la propria sensazione soggettiva è idealizzato. La risposta della mentalità bunker a qualsiasi informazione critica sul gruppo ed i suoi leader diventa così: ‘questa non è la mia esperienza’. Ci sono forti ragioni per spiegare questa necessità di bandire l’obiettività. Se uno crede che il potere del guru gli ha guarito un dolore, allora l’evitare che il dolore ritorni significa proteggere il guru, ad ogni costo. Infatti, il dolore della vita che è stato magicamente annullato dal guru, ritornerà se uno rifiuta il guru. Il dolore ritornerà assieme ad altre emozioni evitate e queste necessiteranno di essere sperimentate, sentite, capite, elaborate e rese significative, se deve avvenire una trasformazione vera, non magica. Ciò è parte del difficile processo di autosviluppo che la soluzione del guru spazza via sotto il tappeto. La storia di SYDA offre un buon esempio di quanto cammino fanno gli adepti per difendere la persona da loro percepita come il proprio salvatore. Nei primi anni ’80 la comunità Siddha Yoga rimase scioccata nell’apprendere che Muktananda, un monaco quasi settantenne e ritenuto celibe da sempre, aveva avuto segretamente relazioni sessuali con adepte occidentali da almeno dieci anni. Mentre molte donne si ritennero partner consenzienti, altre si sentirono costrette e traumatizzate dall’esperienza. Spesso le sue vittime erano ragazze adolescenti sotto i vent’anni. Molti che erano allora adepti SYDA appresero queste accuse, ma le ignorarono, malgrado l’ampio riscontro fra quelli più vicini a Muktananda, che asserivano che tutto ciò era vero. Quando molti adepti parlarono pubblicamente degli abusi sessuali di Muktananda, due fedeli adepti furono mandati da Muktananda a minacciare queste ‘spie’di deturpazioni e castrazione (Rodamor, 1983). Tuttavia, fino ad oggi, Muktananda è venerato dai devoti SYDA come un dio. Come va intesa questo tipo di lealtà? Sotto l’influenza del controllo mentale da parte del culto, gli adepti devono mettere il guru, che ha magicamente riempito il loro vuoto interiore, al riparo da ogni supervisione e giudizio. Gli adepti arrivano a dipendere completamente dall’assoluta perfezione del guru.

Mantenere il terrore del vuoto e della demotivazione, seppure artificialmente, diventa così cruciale per la sopravvivenza dell’adepto, che egli deve negare la verità e sacrificare la sua integrità ed i valori che aveva prima dell’appartenenza al problema.

 

LA QUESTIONE DELLA PATOLOGIA PRE-ESISTENTE ED INDOTTA: INDUZIONE DELLA COLPA NELLA VITTIMA

Se i culti reclutano i membri offrendo come esca i trabocchetti della cultura del narcisismo con promesse di redenzione ed appagamento, come dobbiamo considerare coloro che “abboccano”? Come possiamo considerare queste persone?

Per affrontare questi problemi è necessario mettere a confronto due temi importanti:

1) Patologia pre-esistente e patologia indotta, e

2) La questione della responsabilità della vittima.

Teorici come Fromm (1965), Becker (1973) e Berger (1967) hanno cercato di capire le dinamiche del dominio e della sottomissione, sadismo e masochismo, che sono radicate nel carattere umano e che si scatenano in individui e società esposte a cercare influenze. Fromm e più tardi Becker, furono spinti ad esplorare questi tratti umani dagli orrori della Germania Nazista; l’interesse di Berger si orientò verso la storia delle religioni. Queste idee relative alla umana vulnerabilità a certi comportamenti ‘patologici’possono essere usate per suggerire che coloro divenuti vittime di un culto sono predisposti ad un comportamento sottomesso e sadomasochistico. Teorici più recenti si sono interessati al fenomeno della responsabilità delle vittime di stupro e violenza per chiedersi il perché le vittime non hanno fermato l’abuso da loro sofferto (Herman, Kliger). Mc New e Abell (1995) e Silber e Iacano (1986) usano il termine ‘trauma del santuario’per descrivere come uno, che ha già sperimentato forti traumi come lo stupro, spesso sperimenti un trauma secondario all’interno di quello che dovrebbe essere un ambiente di sostegno e protezione, come in una stazione di polizia, un tribunale o uno studio terapeutico. Herman sottolinea che ‘coloro che provano a descrivere le atrocità cui hanno assistito, rischiano la loro propria credibilità.

Parlare pubblicamente delle proprie conoscenze di atrocità è come attirarsi un marchio d’infamia, che si attacca alle vittime'(p. 2).

E’ facile ma erroneo ritenere che solo certi tipi di persone sono predisposte ad entrare nei culti. Quando il noto esperto di culti Joe Szimhart parla al pubblico dei culti e gli viene richiesto che tipo di gente vi entra, lui punta il dito sul pubblico e risponde: ‘Gente come voi’ (Szimhart, conversazione privata).

Negli studi condotti da Langone (1993) in cui i membri dei culti vengono sottoposti ad una raffica di test standard psicologici, si rileva che la percentuale diagnosticabile di adepti era solo del 20% superiore alla norma comunemente diagnosticabile; Langone concluse che la popolazione dei culti non è necessariamente ed in maniera evidente diversa dalla norma.

Inoltre, egli assieme a Martin ed Hassan asserisce che, le tecniche di controllo della mente sono efficaci con tutti i tipi di persone, a prescindere dalla precedente esistenza o non esistenza di qualunque tipo di psicopatologia. La letteratura riguardante il lavoro con ex-adepti ribadisce, in massima parte, che la patologia indotta dal culto stesso deve essere riconosciuta e che l’ex-adepto deve essere aiutato a risolvere una serie di problemi risultanti da questa indotta patologia, prima di pensare ad una patologia pre-esistente o nascosta. (Addis ed altri, Clifford, 1994; Gimbalvo, 1993; Glodberg, 1993; Goldberg e altri, 1982; Halpering, 1990; Hassan, 1990; Kliger, 1994; Langone, 1993; Langone e Chambersm 1991; Martin, 1993; Martin e Langone, 1992; Morse & Morse, 1987; Tobias, 1993). Per questi autori agire diversamente invalida la realtà del cliente e costituisce un messaggio stigmatizzante da parte dell’operatore sociale, che l’esperienza traumatica delle vittime ha a che fare con la loro psicopatologia, anziché con le violazioni perpetuate dal gruppo.

Concordo pienamente che le vittime del culto possano essere ingiustamente bollate o patologizzate. Tuttavia ritengo che gli operatori rischiano di creare una falsa dicotomia quando si polarizzano i problemi della patologia pre-esistente ed indotta nelle vittime del culto; ed inoltre, che configurando il problema in termini di patologia è in partenza controproducente. Tutti gli esseri umani lottano contro la dipendenza, la separazione e l’individualismo e contro i conflitti di desideri e timori attivi a passivi. Questi sono problemi universali di sviluppo. Come rileva Herman riferendosi agli stadi di cicli vitali (1980) ‘il trauma costringe il sopravvissuto a rivivere tutte le precedenti lotte per l’autonomia, iniziativa, competenza, identità e intimità’. Una volta che una persona viene esposta ad un programma di riforma di pensiero ed alle susseguenti violazioni traumatiche, le crisi di sviluppo vengono sottoposte a nuovo stimolo, sia che prima siano state adeguatamente risolte o no. Il concetto di ‘incolpare la vittima’è abusato ed ingiusto per il cliente, se ciò incoraggia gli operatori a trascurare precedenti fattori, che possono aver contribuito alla vittimizzazione del cliente. Le vittime possono e debbono essere aiutate negli aspetti del loro problema sia indotti che pre-esistenti, in momenti appropriati del trattamento (Addis e altri, Clifford, Gimbalvo, Goldberg, Goldberg l., Goldberg e altri, Goldberg W., Hassan, Morse & Morse, Tobias e altri).

 

 

IL LEADER DOMINANTE ED IL SEGUACE OBBEDIENTE

Nell’interesse di una migliore comprensione delle dinamiche che possono indurre gente a stare nei culti, desidero esporre alcune idee circa l’umana propensione a sfruttare e ad essere sfruttata. Quando il mondo assisteva al nascere del Partito Nazista negli anni ’30 e ’40, si sviluppò, durante e dopo l’olocausto, una letteratura tendente a capire, come virtualmente una nazione intera di tedeschi, avesse potuto essere persuasa a rinunciare alla morale, ai valori, all’autonomia e all’integrità, da un solo uomo, un carismatico megalomane di nome Adolf Hitler. Molti autori hanno tentato di trovare spiegazioni per questo orrore inesplicabile.

Le idee di Erich Fromm su questo argomento, come le presenta nel suo libro ‘Fuga dalla libertà’, sono importanti (vedi anche Becker, 1973, specialmente il capitolo intitolato L’incantesimo realizzato da persone ” il nesso della mancanza di libertà, e Berger, 1967, specie nel capitolo Il problema della Teodicea). Fromm esamina la relazione fra i processi di sviluppo umano e le forze ambientali, sociali, religiose, economiche e politiche. Egli nota che il processo di individuazione libera il bambino a ‘sviluppare ed esprimere il proprio io individuale non ostacolato da quei legami che lo limitavano. Ma il bambino diventa anche più libero da un mondo che gli aveva dato sicurezza e fiducia’(p. 46). Fromm continua: Se le condizioni economiche, sociali e politiche, da cui dipende l’intero processo di umana individuazione, non offrono una base per la realizzazione dell’individualità , mentre contemporaneamente la gente ha perso quei legami che le davano sicurezza, questo ritardo trasforma la libertà in un peso insopportabile. Si identifica così col dubbio, con un tipo di vita privo di significato e direzione.

Sorgono così forti tendenze a fuggire da questo tipo di libertà verso la sottomissione o qualche tipo di relazione con l’uomo e il mondo, che promette liberazione dall’incertezza, anche se ciò priva l’individuo della sua libertà (p. 52). Fromm descrive nel 1941 la difficile condizione di vita priva di significato e direzione in una società che offre troppo destinazioni cieche. E’qui venne a trovarsi Paul Zweig alla deriva nella cultura di narcisismo descritta da

Mentre il conflitto di sviluppo fra l’attaccamento e la separazione provoca sensazioni di isolamento ed impotenza, queste sensazioni possono essere particolarmente esacerbate quando lo stimolo del bambino alla separazione costituisce una minaccia ad un genitore povero e narcisisticamente vulnerabile oppure è contrastato da genitori negligenti o sadici. Miller vede il problema del bambino che diventa prigioniero di un genitore narcisistico come un fenomeno culturale diffuso nel nostro tempo. Fromm attribuisce la paura della separazione alle forze alienanti ed isolanti nella società durante la sua graduale ascesa secolare. Miller vede questa paura nascere nella scuola materna, dai modi con cui noi fraintendiamo o abusiamo dei nostri bambini, sia che preferiamo il punto di vista macrocosmico o quello microcosmico nel tentativo di capire il problema della paura della separazione e libertà, io ritengo queste prospettive complementari ed entrambe utili e necessarie. Per chi è tormentato dall’ansia della separazione, Fromm considera il masochismo come uno dei meccanismi primari per fuggire da questo tormento. Quando l’ambiente parentale e/o sociale non può offrire la sicurezza richiesta per lo sforzo di separazione, allora l’adozione di un atteggiamento masochistico di sentirsi piccolo e indifeso o sopraffatto da pene e dolori può essere un modo per evitare e proteggere se stessi dal dover combattere una battaglia considerata persa in partenza. Fra l’annullamento di se, che offre una specie di controllo, e la separazione e indipendenza senza supporti che inducono ad un vissuto di fuori controllo, l’annullamento di se può sembrare il meno terribile dei due mali. Tuttavia, l’annullamento di se è soltanto un lato del tentativo di superare le sensazioni insopportabili di impotenza. Fromm indica un’alternativa che riguarda più direttamente il soggetto dei culti. L’altro lato è il tentativo di divenire una parte di un insieme più grande e più potente al di fuori di se stessi, ove immergersi e di cui far parte. Questo potere può essere una persona, un’istituzione, Dio, la nazione, la coscienza od un impulso psichico.

Divenendo parte di un potere avvertito come incontrollabilmente forte, eterno, affascinante, uno partecipa della sua forza e gloria. Uno rinunzia al proprio io ed a tutta la forza e orgoglio ad esso connessi, uno perde la propria identità come individuo e la sua libertà, ma guadagna una nuova sicurezza e un nuovo orgoglio nella partecipazione ad un potere in cui si è immerso. Uno guadagna anche sicurezza contro la tortura del dubbio (p. 177). Fromm chiama il potere in cui uno si immerge ‘l’aiutante magico’. Quando uno si sente impotente e non in grado di esprimere e realizzare il proprio potenziale individuale, la dipendenza da un magico aiutante offre una soluzione che sposta l’enfasi fuori di se, sentito come vuoto e senza valore, verso il magico aiutante. Il magico aiutante, nella nostra fantasia, ha tutte le risposte, si prende cura di tutto, ci ama e ci accetta perfettamente, dando così una conferma ed un valore alla nostra esistenza. Immergersi nel magico aiutante elimina il vuoto, la solitudine e l’ansia, e viene stabilita una magica sicurezza. Poi la separazione, l’individuazione ed i relativi terrori possono essere completamente eliminati. Uno può entrare in un culto, effettuare una specie di separazione dalla propria famiglia e ambiente, ma il vero compito di individuazione non viene intrapreso. Il tentativo di pseudo-separazione degenera in una regressione a livelli più profondi di dipendenza e di involuzione. Nella relazione col magico aiutante ‘non si parla più di autonomia, ma è come manipolare l’altro al fine di non perderlo e fargli fare ciò che l’altro desidera, e renderlo inoltre responsabile di ciò che l’altro è responsabile (Fromm p. 199). Paradossalmente l’obbedienza e la bontà sono fra i più comuni metodi usati per tentare di manipolare e controllare il magico aiutante. Tuttavia la riduzione in schiavitù al magico aiutante, che viene allora sperimentata, crea risentimento e conflitto. Il conflitto deve essere represso per non perdere il magico aiutante. Inoltre, coloro che si atteggiano a magici aiutanti alla fine dimostrano inevitabilmente la loro imperfezione, se non la loro completa frode. Così, l’ansia latente sull’autenticità del magico aiutante o sulla possibilità di perderlo per indegnità, minaccia costantemente la sicurezza cercata nel rapporto. Questo è un vero doppio legame. Come dice Berger ‘l’attitudine masochistica è inerentemente condannata al fallimento perché l’io non può essere annullato da un lato, e dall’altro può solo essere assolutizzato nell’illusione'(p. 56). Quando il magico aiutante è la droga come l’eroina, allora l’annullamento di se può culminare nella morte fisica. Se è il cibo, il se si nasconde nell’obesità o schiavizzato dall’anoressia e dalla bulimia. Se il magico aiutante è un genitore idealizzato, ma traumatizzante, che viene ambivalentemente odiato ma dal quale si è totalmente dipendenti, l’annullamento di se si manifesta come impossibilità di separarsi ed individuarsi. Quando il magico aiutante è un guru, l’annullamento di se è la perdita della propria voce, dei valori personali e dell’integrità.

Anche qui la SYDA fornisce utile materiale a supporto di questo punto. Nella filosofia SYDA, l’Ego è sviluppato come qualcosa di egoistico e piccolo che deve essere consegnato al guru per essere magicamente trasformato in pura coscienza del trascendente intimo se, il quale è legato al guru e a Dio. Il senso dell’azione personale che riconosce o gusta i frutti delle proprie azioni, è in particolare un sicuro segno di comprensione errata. La vera comprensione è che qualunque cosa detta o fatta dal guru è una diretta espressione della volontà divina e che ogni cosa buona deriva dalla magica grazia del guru. Consegnando al guru il proprio Ego ed il senso di azione personale, si suppone che vengano così espiati i sensi di orgoglio e di egoismo. Praticamente ciò significa che lo sperimentare se stesso come centro di azione e di iniziativa, come persona creativa capace di provare piacere nell’uso del proprio talento e delle proprie abilità, dovrebbe essere causa di vergogna, perché nulla appartiene a se stessi, ma tutto appartiene al guru e proviene dal guru. D’altra parte, uno deve essere sempre pronto a confessare i propri peccati e trasgressioni, che in questo sistema costituiscono l’unica proprietà del piccolo, impuro ed egoistico Ego. Solo quando le nebbie di questi tortuosi offuscamenti si sono diradate, l’individuo scopre veramente una pseudo-moralistica base personale per l’annullamento della personalità. La persona che si atteggia a magico guru si rivela così come un imprenditore opportunistico, che ha imparato come ben approfittare dalla varietà di influenze, nel nostro mondo interiore esteriore, che ci hanno fatto sentire timorosi della libertà.

Lasch venticinque anni dopo. Mentre Fromm parla dei legami di sicurezza che si perdono nel processo di separazione, ci sono anche coloro che controbattono dicendo che molti bambini, nei primi stadi di sviluppo, possiedono poco più che una falsa sicurezza, nella migliore delle ipotesi. Alice Miller, nel Dramma del bambino dotato (1981) ipotizza che lo sviluppo del vero ego, lo scopo della separazione ed individuazione, è contrastato quando i genitori hanno bisogno dei loro figli e li usano per soddisfare i loro desideri egoistici. I genitori possono educare i bambini a considerare i loro bisogni naturali ed i tentativi di realizzazione di se, come distruttivi e vergognosi. Tali bambini imparano a nascondere o a sopprimere queste parti di se stessi ed a sviluppare un falso ego che accontenta i bisogni dei genitori, in sostanza un atto di annullamento di se (Winnicott, 1960).

 

TRAUMI SOFFERTI DA MEMBRI DEL CULTO

Quando finalmente i membri del culto lasciano il gruppo e cercano aiuto, si sentono esauriti a causa della loro lunga lotta per conservare l’illusione di un perfetto maestro, ed anche a causa del concomitante deterioramento della propria stima di sé.

Molti operatori clinici non hanno dimestichezza con questi particolari problemi presenti in queste persone. La conoscenza di certe dinamiche e di tali precisi argomenti è però utile per capire come aiutare i membri del culto.

Il trauma da culto implica violazione ” da parte del leader idealizzato e deificato ” della parte più intima e personale di chi è stato il suo adepto. Analogamente a come stupro, incesto e violenza, spesso perpetrati da un adulto di fiducia o da altre persone importanti per la vittima,  sono pure estreme violazioni e smembramenti del se (Bell J., 1995; Blake-White e Kline, 1983; Mc New e altri, Patten, Gaz Jones e Thomas, 1989).

 

STUPRO

 

Una cliente da me curata durante questi ultimi due anni, la signora R., è stata vittima di un serio abuso emotivo da parte della madre.

Sebbene tale esempio non implichi un vero e proprio stupro, i principi in esame sono simili ed utili ai fini di questa discussione. La signora R. è un’intelligente quarantenne della media borghesia, che è estremamente fobica, ossessiva e soggetta a timor panico. Benchè ella svolga con successo un lavoro da dipendente, ritiene di guadagnare ben al di sotto del suo potenziale ed è profondamente isolata e insoddisfatta, senza un lavoro e relazioni intime appaganti.

Ella attribuisce queste sue difficoltà alla sua traumatica educazione. La madre della signora R. era una donna disturbata, assuefatta a una grande varietà di tranquillanti e barbiturici. Ciò nonostante la signora R. da piccola, vedeva sua madre come una figura idealizzata, in possesso di magica onnipotenza. La signora R. viveva nel terrore delle richieste materne di perfezione o dei suoi imprevedibili scoppi d’ira. Nulla di ciò che faceva era considerato abbastanza buono e le era stato fatto sentire come distruttiva ogni forma di espressione di sé. Aveva imparato che contavano solo i bisogni di sua madre,considerando vergognosi i propri bisogni e sentimenti.

La signora R. usando la metafora dello stupro, descrive così la sua esperienza delle parole e degli sguardi materni crudeli e dispregiativi, sputati su di lei con rabbia e penetranti nel suo

intimo da farla sentire ancor più sola e vergognosa. L’abuso verbale materno simile ad uno stupro ha raggelato la signora R. nel terrore e nell’impotenza, e l’ha resa incapace di dissociarsi o di formarsi uno stabile senso d’identità. Ella ha rotto ogni rapporto con la madre, dicendo che riconciliarsi con lei sarebbe come ‘andare a letto con il mio stupratore.

Tuttavia ella ha interiorizzato questa madre punitrice e vive in costante timore della gente che la circonda. Nel suo transfert, queste persone sono tutte ‘stupratrici psichiche’. L’esempio di crudeltà della madre della signora R. è assai simile al comportamento dei leader di un culto. Herman dichiara che ‘la violazione è infatti sinonimo di stupro, lo scopo dello stupratore è di terrorizzare, dominare e umiliare le sue vittime, rendendole assolutamente impotenti’. (p. 58).

Nei culti le vittime vengono rese impotenti come le vittime degli stupri, quando esse sono ripetutamente chiamate e costrette a confessare peccati e trasgressioni. Questo fenomeno è chiamato talvolta ‘stare su una sedia che scotta’. Il paragone con la sedia che scotta, in cui le parole accusatorie sono lanciate dai leader del culto come coltelli allo scopo di penetrare e ferire l’intimo sé dell’adepto, è una violenta e dolorosa invasione dei propri confini mascherata come purificazione per il bene dell’adepto. Quest’ultimo viene comunemente accusato di comportarsi in modo da dimostrare sfiducia e slealtà al leader. Questa presunta mancanza nell’adepto viene dipinto come un mostruoso e biasimevole difetto o trasgressione.

Nel corso di questa aggressione, che spesso si protrae per lungo tempo, il membro del culto seduto sulla sedia che scotta, deve tentare di sentire ed esprimere rimorso, come pure di gradire gli sforzi del leader per purificarlo. Spesso i leader che ricorrono a questo metodo sollecitano i colleghi delle vittime a cooperare, invitandoli ad associarsi all’assalto.

Ciò crea una situazione non dissimile ad uno stupro di gruppo. Questi confronti possono terminare con l’ultima umiliazione, la scomunica, che per il membro è l’equivalente di annullamento psichico, oppure con la completa sottomissione e confessione del membro, che condurrà alla sua riabilitazione come membro buono. In entrambi i casi ex adepti del culto sotto trattamento terapeutico descrivono invariabilmente la loro esperienza di abuso nel culto come stupro spirituali (Tobias e altri). Come un violento stupratore minaccia la sua vittima se non si sottomette, così il guru ha l’adepto in un suo potere durante gli episodi di confronto/confessione.

PERCOSSE.

Le percosse comprendono un ciclo di aggressività domestiche da parte di un partner contro l’altro, seguito da un periodo di riconciliazione, che a sua volta è seguito da una fase di escalation ed un ritorno alla violenza. Herman nota che le percosse possono anche includere l’essere aggrediti di sorpresa, imprigionati od esposti fino all’esaurimento. La vittima delle percosse vive in uno stato di impotenza e di terrore. La signora R. sopra menzionata ha percepito come percosse gli imprevedibili scoppi d’ira e di crudeltà della madre, talora accompagnati da schiaffi, ma più spesso fatti di parole e di sguardi. Durante il trattamento ella ha dichiarato di sentirsi come impazzita quando la madre prolungava i suoi scatti d’ira e poi scompariva nella sua camera, per poi riuscirne qualche ora dopo come se nulla fosse successo e offrendosi di leggere alla sua bambina una storiella prima di dormire.

La signora R. descrive altri ricordi, in cui si pretendeva da lei durante i sabati tutto il lavoro di ripulitura delle stanze prima di ottenere il permesso di uscire a giocare. Ma poiché la madre dormiva fino alle prime ore del pomeriggio e la bimba non doveva far rumore per non svegliarla, il lavoro di ripulitura era rimandato all’ora di pranzo, quando gli altri bambini erano già tornati a casa e per lei sarebbe stato troppo tardi per uscire. La signora R. odiava sua madre per averla in tal modo intrappolata ed isolata. Tuttavia quando la madre suonava il piano e chiedeva alla figlia di cantare, quest’ultima era orgogliosa di riscuotere l’approvazione della madre, erano rari e preziosi doni che considerava tesori. Ma tale approvazione significava così tanto per la signora R. che ogni volta che la perdeva era sopraffatta dal dolore, dalla rabbia e dal senso di colpa. Gli imprevedibili cambiamenti sperimentati dalla signora R. fra l’essere oggetto di rabbia e di scherno in un primo tempo e affetto esagerato ed iperstimolante in un secondo tempo, le creavano una disperata confusione. All’età di otto anni la signora R. sentì il bisogno di impegnarsi in coercitivi rituali di lavaggio delle mani. Benchè questi rituali ossessivi siano cessati molto tempo fa, la signora R. è rimasta imprigionata e paralizzata dai suoi dubbi e timori riguardo a se stessa. Simili condizioni sussistono per i membri di un culto. Ci si attende spesso che lavorino dalle 12 alle 18 ore al giorno per 7 giorni la settimana con poco o nessun tempo libero. Ciò li mantiene costantemente isolati entro il sistema, vulnerabili ed esauriti. Nel periodo in cui i membri del SYDA avevano un giorno libero la settimana, Gurumayi venne a sapere che un membro della staff aveva passato il pomeriggio al cinema.

La guru informò prontamente tutto lo staff che non erano più consentiti né giorni liberi né vacanze. Al contrario la passione della Gurumayi per i video noleggiati e la TV satellitare sono alcuni dei suoi numerosi segreti ben custoditi. Ma anche se essi fossero conosciuti, la missione del seguace è di considerare il guru al di sopra degli standard umani di condotta giusta, logica o etica. Essi devono mantenere e difendere la convinzione della di lei perfezione, o affrontare il collasso della struttura delle convinzioni che la sorregge. Parimenti, il bambino percosso deve dare la colpa a se stesso per il comportamento irrazionale dei genitori, oppure rischiare di perdere i genitori da cui dipende. D’altro canto la Gurumayi fa plateali dimostrazioni di generosità ad alcuni adepti, in modo calcolato, prima o dopo che questi sia posto sulla sedia che scotta. Che della sua cerchia interna sia considerato ‘in'(favorito) e chi ‘out'(sfavorito) è una costante fonte di pettegolezzi fra i membri della staff, che sono ansiosi di essere opportunamente allineati per o contro coloro che sono favoriti o sfavoriti.

Lo status del singolo fluttua costantemente ed imprevedibilmente. Quando i membri del culto sono ripetutamente insultati ed umiliati dal guru senza apparente ragione ed il guru fa lo show di concedere il perdono, mietendo lode ed attenzione, e quando questo ciclo è ripetuto continuamente, senza preavviso o senza ragione, allora la vittima prova paura, disperazione ed impotenza, proprio come ha provato la signora R. e come ha provato la moglie percossa. Il guru non ha necessariamente bisogno di usare la violenza fisica, come fa invece il violento, per comandare i seguaci a bacchetta, per quanto molti guru, come quelli del SYDA, propongono anche punizioni corporali. Siccome l’intimo senso di sé è posto completamente sotto il potere del guru, le ferite emotive e psichiche derivanti dalle osservazioni crudeli e dispregiative del guru, vengono avvertite come colpi devastanti e dolorosi. Quando queste osservazioni si alternano con lodi o ostentate dimostrazioni di gentilezze, ci si sente confusi e ancor più dipendenti.

INCESTO

 

Un altro caso.

La signora B. fu molestata durante l’infanzia in due occasioni, da parenti. Poi, dai 13 ai 16 anni fece giochi erotici con suo padre. All’età di 16 anni il padre l’ha stuprata ed ha avuto con lei regolari rapporti sessuali per i successivi tre anni.

La signora B. ha avuto esperienze poi come tossicodipendente e di prostituzione. Ora si trova in riabilitazione. La signora B. è una donna attraente e intelligente. Sotto molti aspetti è infantile e si succhia ancora il pollice prima di addormentarsi. Le piace flirtrare come un bambino che cerca approvazione ed attenzione. Ma naturalmente lei possiede il corpo di un adulto.

I suoi bisogni originali infantili per ottenere affermazioni furono soddisfatti mediante comportamenti di carattere sessuale. Adesso, tutti i bisogni della signora B. sono tradotti in bisogni di gratificazione sessuale.

Quando per la prima volta vidi la signora B., ella stava tornando a casa dal suo trattamento di riabilitazione fissato durante i week-end, e riferì di godere nel ritrovarsi con la sua famiglia. Quando le chiesi se provasse disagio a ritrovarsi col padre, rispose di no. In queste occasioni ed in altre fui colpito di quanto la signora fosse priva di reazioni affettive, riguardo ai suoi ricordi sull’incesto.

Sebbene i suoi sentimenti verso suo padre fossero stati rimossi, scoprii che re-inscenava l’incesto a suo piacimento. La signora B. rivelò che era sconvolta in numerose segrete relazioni sessuali in violazione delle regole della casa. Provava un tormento continuo per paura di essere scoperta ed allontanata dal programma. Al tempo stesso si dava incessantemente da fare per mantenere segrete le relazioni e proteggere così gli uomini dall’essere scoperti. I suoi amanti le dissero chiaramente che se venivano scoperti lei sarebbe stata incolpata della loro rovina. Ella provava una disperata confusione ed ansia in queste situazioni, mentre non sentiva nulla per suo padre, il carnefice originale.

Non è stato facile aiutare la signora B. a farle capire che queste relazioni si richiamavano alla storia dell’incesto. Il padre della signora B. era riuscito a manipolarla in modo tale da farla sentire responsabile per averlo eccitato. Ella aveva paura di accusarlo per timore di essere disprezzata da sua madre, che mai si era accorta della tresca. Non voleva neppure ferire sua madre ed addolorarla, o distruggere il matrimonio dei genitori e perdere l’unica casa che conosceva.

La droga riuscì a provocarle un vero sollievo dalla disperata confusione, fino a quando l’ha spinta alla prostituzione, alla degradazione e quasi alla morte. Quando finalmente la signora B. ha affrontato i suoi genitori qualche mese fa, raccontando la verità, suo padre non ha negato quanto successo, come lei aveva temuto. Egli invece colse l’occasione, in un momento in cui la madre non poteva sentire, per dire alla signora B. ‘Se tu almeno mi avessi detto no’. La madre invece, piangendo, le ha addossato la responsabilità del fallimento del suo matrimonio. In realtà nessuno dei due genitori era preoccupato della distruzione della vita della figlia.

Anche i culti distruttivi sono incestuosi ed assomigliano a famiglie incestuose. Come la vittima di incesto, così le vittime del culto sono state ingannate e sfruttate, persuase ad obbedire e a mantenere il segreto, da una figura parentale/autoritaria fidata e idealizzata.

I membri possono mantenere i segreti sugli abusi sessuali altrui o quelli personali.

Nel Syda il precedente guru si chiamava ‘Baba’(Padre), ed il suo successore si da chiamare Gurumayi (Guru

madre). Muktananda ebbe rapporti sessuali con molte giovani donne che lo adoravano come un padre divino. Gurumayi, succeduta a Muktananda come capo del Syda, era ben consapevole che molte giovani erano state sedotte e stuprate nell’ashram da altre figure autoritarie maschili. La sua reazione è stata quella di proteggere i carnefici e biasimare le ragazze e le giovani donne, imponendo loro il segreto. Blake-White afferma che,essendo il perpetuatore dell’incesto un genitore fidato, la vittima può sentirsi ambivalente e confusa circa i propri sentimenti al punto di dubitare della propria realtà.

A causa del fatto che adepti di culti vengano violati dai loro idolatrati guru (oppure da violentatori protetti dal guru), essi possono provare analoga confusione della realtà. Ciò è dimostrato nel Syda, per esempio ove molti genitori accettano l’abuso sessuale delle loro figlie da parte di Muktananda come dono della grazia divina, ed i seguaci a conoscenza delle attività sessuali le ignoravano o le razionalizzavano come aventi uno scopo divino. Oltre ai problemi di abuso sessuale, altri tipi di segreti che i membri del culto devono mantenere includono pratiche illegali come il riciclaggio del denaro sporco, violenza contro i nemici del gruppo, uso di armi illegali, contrabbando, ecc.

Quei membri che tentano di rivelare gli abusi nel culto possono essere screditati, intimiditi o svergognati facendo credere che essi proiettano la loro propria interna corruzione. Allo stesso modo alla vittima dell’incesto viene detto che è stata lei a provocare l’abuso.

I membri fedeli compiono ogni sforzo per manipolare i meccanismi di colpa dei critici del gruppo, con commenti contorti illogici come ‘le cose distruttive che stai dicendo danneggiando il progresso spirituale delle persone’. Analogamente, la vittima dell’incesto viene convinta che rivelare tale segreto distruggerebbe la famiglia.

Quando i membri di un culto fuoriescono dalla confusione e diventano consapevoli di essere stati ingannati e traditi, la loro rabbia e disperazione possono essere enormi.

Tuttavia i membri lottano anche con problemi di fedeltà al proprio carnefice e molti restano emotivamente paralizzati e al contempo confusi e dubbiosi.

Come la signora B. che riviveva ripetutamente il suo trauma, molti adepti delusi da un culto passano ad un altro. Molti sentono l’urgenza di tornare al culto originale dove hanno subito l’abuso.

 

LAVORARE CON I FUORUSCITI DAI CULTI

 

Non dovrebbe sorprendere il fatto che i fuorusciti dai culti, avendo subito abusi traumatici, come quelli precedentemente descritti, si presentino spesso come multiproblematici.

 

Non è obiettivo di questa relazione esaminare in dettaglio le linee teoriche di lavoro con queste persone, desidero tuttavia presentare brevemente alcuni aspetti importanti su questo argomento.

 

Sia Gimbalvo che Tobias offrono informazioni particolareggiate sul loro lavoro con i membri di culto (vedi anche Hassan e Langone, 1993).

Essi suddividono le aree problematiche dei sopravvissuti del culto, di cui gli operatori dovrebbero tener conto, come segue:

1) I meccanismi di controllo mentale disarmanti e interiorizzati, e la dimostrazione dell’inganno e dall’abuso nel culto (questo passo è spesso perfezionato quando si consiglia di uscirne, essendo questo un intervento educativo specializzato, non coercitivo, fissato a breve termine e rivolto specificamente ai problemi del culto);

2) la liberazione dalla paura di essere danneggiati dai leader e membri del culto

3) I timori specifici che potrebbero includere: assalto fisico o verbale; rilascio di informazioni confidenziali e potenzialmente imbarazzanti, oppure ‘divina retribuzione’ sotto forma di incidenti o sfortuna. A causa dell’indottrinamento queste paure sono intense all’inizio e possono raggiungere livelli di timor panico;

4) la gestione dei sintomi di stress post-traumatico, in particolare la fluttuazione, stato dissociativo provato in relazione al danno derivante da eccessiva meditazione, canti, ripetizioni di mantra, ecc.;

5) il lavoro sul dolore provato da perdita e tradimento;

6) i problemi relativi ad abuso sessuale che può aver avuto luogo nel culto;

7) i problemi di salute e terapia medica, compreso la dieta, che stata spesso carente di proteine;

8) l’aiuto per recuperare la stabilità finanziaria e pianificazione del futuro, compreso i progetti vocazionali ed educativi;

9)  i problemi relativi alla sessualità;

10) il recupero della fiducia nelle relazioni e gestioni dell’intimità, nel contesto degli amici e della famiglia; Ripristino della stima di sé;

11) Trovare il significato dell’esperienza, perseguire la spiritualità, i valori e le convinzioni.

 

Mentre la suddetta lista è abbastanza completa, ci sono aspetti cruciali di guarigioni da trauma che Herman (p. 213) consiglia di non sottovalutare quando si lavora con le vittime del culto.

Questi inducono l’aiutare il cliente a;

1)       Creare una narrazione coerente collegata alle sensazioni provenienti dal trauma, e

2)       Ristabilire relazioni importanti.

3)       L’ultimo punto è particolarmente importante per i membri del culto che possono ritrovarsi in completo isolamento, essendosi estraniati da tutti quanti coloro che non erano membri del gruppo. Ricostruire significative relazioni pre-esistenti al culto, specialmente le relazioni familiari, possono offrire al sopravvissuto l’aiuto di cui ha disperatamente bisogno.

 

Steve Hassan, un consulente per la fuoruscita di membri dai culti e per le loro famiglie, considera la terapia familiare come elemento essenziale per la guarigione dal culto.

Prima di intervenire con un membro del culto, Hassan lavora con la famiglia del membro per affrontare i problemi sistematici di comunicazione e relazione, che possono aver contribuito all’alienazione del membro.

Poi assiste la famiglia ed il membro del culto con un complesso processo di ricucitura. Inoltre, le famiglie dei membri del culto soffrono spesso di una terribile angoscia e confusione per la tremenda condizione del membro. Spesso loro stessi cercano aiuto per rimediare alla devastazione causata dal culto nelle loro vite.

Le cliniche di culto a New York e Los Angeles, sostenute da agenzie ebraiche di aiuto alle famiglie, si servono di modalità individuali, o di coppia, o di gruppo per aiutare le famiglie con membri coinvolti in culti. I fuorusciti dal culto possono beneficiare enormemente del lavoro di gruppo. Lorna e William Goldberg (Goldberg ed altri) sono operatori sociali ed hanno gestito gruppi di mutuo-aiuto per fuorusciti da culti, per oltre 15 anni, in cui ex-adepti si offrono vicendevolmente aiuto per riadattarsi alla società.

I Goldberg considerano tre stadi di recupero, in grado di aiutare membri di gruppo a identificarsi e realizzarsi:

1) Stadio di incertezza, confusione e depressione

2) Riaffioramento della personalità pre-culto, spesso accompagnate da azioni tendenti a smascherare il gruppo, e

3) Stadio di integrazione, che include la capacità di accettare gli aspetti positivi delle esperienze del culto assieme a quelli negativi e che è contrassegnato da una ripresa delle attività mirate verso la produttività e la realizzazione del sé.

I Goldberg ritengono che gli adepti impegnati attraverso questi tre stadi nel gruppo di mutuo-aiuto sono spesso interessati ad intraprendere la psicoterapia individuale, come mezzo di migliore comprensione delle dinamiche, che li avevano resi vulnerabili alla partecipazione al culto. La terapia individuale o di gruppo o di famiglia può essere un modo utile di intervento coi fuorusciti da culto. Inoltre, il più utile tipo di trattamento per il fuoruscito è un operatore motivato che conosce e comprende i problemi dei culti.

CONCLUSIONI

Negli anni recenti il pubblico generale è stato abbondantemente informato dai media sugli abusi sui bambini, violenze domestiche, stupri e incesti. I problemi dei culti invece sono generalmente riferiti quando fanno uso di

armi o gas nervino, oppure coinvolgono in omicidi o suicidi di massa.

Questi culti estremi procurano ai media storie sensazionali ed il pubblico percepisce i culti come limitati a questo tipo di gruppo. Invece, questi gruppi sono l’eccezione, non la regola.

Molto più numerosi sono i culti che non hanno arsenali, o che stringono patti suicidari o che tentano di impadronirsi del mondo. Questi gruppi meno apertamente pericolosi possono apparire benigni o eccentrici, ma innocui.

Sfortunatamente raramente risultano quasi mai innocui.

I culti si dotano di leader paranoici e psicopatici, che acquistano potere e spesso grandi ricchezze attraverso il controllo e lo sfruttamento dei membri, sia che si tratti di uno solo oppure centinaia di migliaia di seguaci (Hochman, Tobias).

Questi leader si autodefiniscono guru, preti, maestri, allenatori o psicoterapeuti.

L’omicidio ed il suicidio possono o non possono esserci, ma avvengono violenze simili in sostanza alle percosse, stupro ed incesto. Queste violazioni traumatiche sono assassini dell’anima, assassini segreti, invisibili che non fanno mai sensazione.

Recentemente ho assistito ad una seduta per la fuoruscita da un culto, un intervento richiesto da un signore poco su i 40 anni, il quale voleva liberare la moglie dal culto in cui era entrata e che era stato anche il culto da cui egli stesso era fuoruscito. L’intervento era educativo ed interamente volontario, con il consigliere dirigente che parlava sulla base della sua profonda conoscenza generale dei culti, mentre io offrivo specifiche informazioni basate sulla mia personale esperienza del SYDA.

Mentre il marito era stato persuaso della frode del culto prima dell’intervento, la moglie lottava accanitamente per integrare quello che stava udendo con le estatiche illuminazioni provate nel gruppo.

Verso la fine dell’intervento, quando cominciava ad accettare i fatti riguardanti il gruppo, ella disse con grave emozione: ‘Nel corso della mia vita ho tanto desiderato l’esperienza personale, intima di un Dio amoroso; dove lo troverò adesso?

Tale sfogo emotivo ha evidenziato chiaramente che la famiglia d’origine e il matrimonio non erano stati dei contesti i cui ella aveva potuto provare l’intimità amorosa sufficientemente appagante. Non motivata e non soddisfatta dalla fede tradizionale, in cui era cresciuta, ella aveva riposto le speranze nella ricerca di un amore esclusivo grazie ai magici operatori della New Age.

Se è dolorosamente difficile che uno senta di essere amato per quello che è, allora egli potrebbe bramare un amore perfetto, un amore in grado di instillare la convinzione, una volta per tutte, di essere davvero degno di essere amato.

Molti clienti che ho visto hanno pure sperimentato cocenti delusioni ed ostacoli nei loro tentativi di amare e sentirsi amati. Hanno provato tradimenti e sfruttamento da parte dei genitori da loro idealizzati. Hanno dovuto sacrificare se stessi per soddisfare le richieste narcisistiche di coloro da cui dipendevano. Alcuni non hanno mai ricevuto la coscienza del proprio ego, magari da sviluppare; od hanno concluso che essi erano da considerarsi non amabili e non desiderati. La loro ricerca di accettazione e di amore è stata, soprattutto, solitaria ( a senso unico). Per Kohut (1984) il nocciolo della cura terapeutica è il senso di sicurezza del cliente derivata dalla sua ritrovata capacità di provocare una evidente risonanza dai suoi ambienti umani circostanti, o. in altre parole, la capacità di sentirsi sostenuto e nutrito da diverse forme di umana interdipendenza. Per alcuni l’incapacità di immaginare questa interdipendenza conduce alla dipendenza da droga, coercizione, isolamento e disperazione. Per altri la ricerca di interdipendenza conduce alla schiavitù da un guru, magico aiutante.

Come operatore sociale, l’uso del mio io è stato profondamente influenzato dalla mia esperienza e comprensione dell’abuso del culto. Molti dei clienti che ho visto negli ultimi due anni, venuti per il trattamento, avevano raggiunto l’estremità della fune. Dipendevano dai magici aiutanti ” droga, sesso, cibo e molti altri ” fino ad un punto tale da sentirsi sull’orlo dell’annullamento di sé. Vogliono trovare una via d’uscita dalla schiavitù, ma l’alternativa della libertà appare insondabile. Vogliono essere rassicurati che, in caso di abbandono del magico e di terrore per la mancanza d’importanza e solitudine, la loro pena non sarà infinita e insopportabile.

Fra i vari compiti che potrei avere nell’aiutare questi clienti, uno che ravviso essenziale è quello di stare con loro, aiutarli a sentirsi meno soli, mentre stanno trovando il coraggio di rivivere la pena di quello che non avevano osato affrontare.

Se posso aiutarli a sentirsi meno soli, allora, gradualmente, posso tentare di aiutarli anche a far capire loro il senso della sofferenza. Questo è il passo verso la guarigione da trauma al quale Herman si riferisce quando dice ‘finalmente la persona ha ricostruito un coerente sistema di significati e di credenze che racchiude la storia del trauma‘ (p. 213).

Mentre ho lottato per costruire un coerente sistema di significati e convinzioni relativi alla mia traumatica esperienza in un culto religioso, il mio lavoro sociale e il mio contesto lavorativo mi hanno procurato una forte adesione alla conoscenza e ai valori di una professione, che ho abbracciato e dalla quale mi sento abbracciato. E’ mia speranza che quello che ho imparato serva d’aiuto ad altri.

di Daniel Shaw C. S. W.

Dipendenza psicologica nelle sette distruttive

Steven Arterburn nel libro ‘Toxic Faith’ (Fede Tossica), evidenzia le caratteristiche patologiche di una fede che portano ad una adesione incondizionata e ad una sorta di dipendenza psicologica del neofita e poi  adepto.
Egli suddivide il percorso in una serie di fasi e chiama il neofito ‘dipendente’, riferendosi quindi ad una persona che ha già di per sé caratteristiche di predisposizione a relazioni di dipendenza.

Prima fase

1. il dipendente è generalmente stressato. Lo stress in aumento impedisce un lucido giudizio e non favorisce l’analizzare con tranquillità i segnali di allarme di una ‘fede tossica’.
2. il soggetto riceve delusioni continue, convinzioni che nulla vada bene. Quindi si pone alla ricerca di facili e subitanee soluzioni ad ideali finti.
3. Il dipendente si guarda intorno e cerca aiuto e non ne trova.

4. Vive sentimenti di fallimento, di incapacità. Il dipendente crede che la vita non sia vivibile. Non c’è posto per lui al mondo.
5. Spera che una forza al di sopra di lui possa aiutarlo.
6. Vive un senso di solitudine. Ogni attenzione da parte di chicchessia è benvenuta.
7. Spera che qualcuno si occupi delle sue problematiche. C’è un forte bisogno di salvezza.
8. Aumentano in lui dubbi su Dio. C’è Dio? Perché non si occupa di me?
9. Il dipendente si apre alle novità della fede tradizionale.
10. Aumenta la sua dipendenza dagli altri. La compagnia di altri dipendenti apre la strada a pensieri deludenti e ad un mondo di esistenza ideale, non reale
11. Nascono i sentimenti di colpa. Non si può far nulla per superare questi sentimenti di colpa.
12. Senso di instabilità. Un terribile disastro sembra essere alle porte, ed ogni cosa sembra essere un potenziale segno di un destino amaro.
13. Il dipendente crede che aprendosi ad una nuova strada risolverà facilmente i suoi problemi. Complica invece le cose.

14. Perdita di interessi. Famiglia, amici, attività varie sono rimpiazzate da altre attività suggerite da altri di fede tossica.
15. Il dipendente è abbandonato da amici e parenti. La condotta non molto lineare e comprensibile del dipendente fa sì che gli altri lo allontanino.
16. Cattiva voglia a discutere i problemi. Il dipendente diventa inavvicinabile a causa della sua condotta fuori controllo.
17. I suoi discorsi sono sempre a senso unico. Ordini, idee fisse, giudizi perentori riempiono il discorso del dipendente tossico. La conversazione cessa perché il dipendente fa noiosamente ricorso alla Bibbia o a frasi fatte.
18. Ci si attacca al maniaco religioso che conforta e permette di ripetere gli stessi slogans.
19. Inizia l’affiliazione alla religione tossica. Prime esperienze nella fede tossica. La vita di gruppo cambia immediatamente l’umore.
20. L’attrazione cresce. Ogni nuova adunanza, persona ed esperienza, attirano al gruppo dalla fede tossica.
21. Frequenza smoderata alle adunanze del gruppo tossico. L’adunanza è mezzo per evadere dai problemi e per divenire un numero di un gruppo che non ha nulla a che vedere con la vera fede.
22. Conformità agli altri dipendenti religiosi. Il nuovo dipendente comincia a comportarsi, a vestire, a parlare il linguaggio stereotipato del gruppo.

23. Assenza di relazioni intime. Viene sacrificata la vera amicizia con gli amici e parenti a motivo della fede tossica.
24. Maggiori sacrifici e maggiore discolpa di sé. La persona diviene cieca ai problemi e giustifica il suo comportamento.
25. La Bibbia o l’ideologia del gruppo sono un’arma per difendersi. Versi sono sciorinati in abbondanza e senza capo né coda per giustificare il proprio stato tossico.

Fase media della mania religiosa
1. il dipendente è ormai immerso nel sistema. Diventa membro attivo. Si identifica completamente col gruppo
2. conosce e pratica la propaganda del gruppo. Impara a memoria versetti biblici e citazioni chiave del giornale del gruppo.
3. il dipendente risponde con tracotanza a chi si oppone alla sua propaganda
4. da’ al gruppo offerte esorbitanti rispetto alle sue condizioni. Si sacrificano urgenti bisogni in famiglia pur di portare soldi alla setta, essere notato, salire in quotazione
5. i contatti con gli altri sono ristretti a quelli della propaganda. Ci si associa solo con gli altri settari.
6. comincia la fase del reclutamento. Portare altri alla fede tossica.
7. la nuova esperienza religiosa mitiga le proprie pene.se la religione guarisce, bisogna immergersi nella religione sempre di più.
8. da questo intenso coinvolgimento si attende l’estasi ed i miracoli. Cominciano le prime delusioni
9. si aspira ad una catarsi emotiva che porta sollievo. Quando il sollievo stenta a venire il dipendente comincia a cercare altre forme di sollievo.
10. le dipendenze aumentano. Si ricorre al cibo, alle bevande, ad illeciti rapporti sessuali.
11. ogni aspetto della vita è ormai dominato dalla fede tossica
12. si crede di essere dotati di autentici doni spirituali.
13. si crede di appartenere ad una classe privilegiata
14. coinvolgimento per sopravvivere. Il maniaco religioso ormai è intrappolato nel sistema così da non avere altra scelta: o conformarsi o rischiare il totale cambiamento mentale. Per sopravvivere il maniaco è completamente dipendente dal sistema.
15. immersione e dedizione piena. Incapacità di capire il prezzo che si paga per il pensiero magico della setta; il maniaco rifiuta di guardare in faccia alla realtà di questa fede tossica che lo sta distruggendo.

Terza fase della fede tossica

1. disperazione. Il maniaco si accorge che la nuova fede non gli da’ sollievo sperato
2. comportamento errato. Pur sapendo che qualcosa è sbagliato, per non cambiare credenze, il maniaco cambia atteggiamenti.
3. Risentimento e rabbia. Mentre crolla il suo mondo, l’ormai dipendente si accusa di tutto e tutti ed ogni cosa è fonte di rabbia.
4. Ossessione delle credenze. E’ un continuo chiedersi che c’è di sbagliato nella fede. Il maniaco chiede, pondera, cerca, ma fa fatica a concentrsi.
5. Profonda depressione. Il crollo delle credenze cancella ogni capacità di funzionamento dei propri processi logici.
6. deterioramento fisico. stress, ansia, depressione si evidenziano sempre più. Il soggetto si affatica facilmente, non ha più appetito, sta male fisicamente.
7. persa la fede tutto è perso. non si fa altro che riflettere sui propri errori.
8. In cerca di un altro appoggio: cibo, droga, intensa attività sessuale.
9. Paura. L’esprienza di una maggiore insicurezza porta alla paura di tutto e tutti. Ogni persona è una minacciaIl soggetto ha paura sia di restare nella fede tossica sia di uscire.
10. Collasso finanziario.
11. I rapporti in famiglia sono deteriorati. Stress e sfiducia distruggono tutte le relazioni.
12. Qualche volta i crede che il suicidio possa essere una valida soluzione.
13. Per tornare a vivere occorre spogliarsi di tutto questo controllo
mentale ed esistenziale di cui si è stati vittima.
14. Tornare indietro al punto di partenza e imboccare la strada giusta è
penoso, ma non impossibile.

Da ‘Toxic Faith’, pp.139-157 di Steven Arterburn

A cura di Lorita Tinelli